L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il Trovator! Io fremo!

 di Andrea R. G. Pedrotti

Un Verdi incandescente apre la stagione lirica a Liegi con i debutti all'Opéra Royal de Wallonie di Yolanda Auyanet, Fabio Sartori, Violeta Urmana e Daniel Oren, l'esordio nei panni del Conte di Luna di Mario Cassi.

LIEGI, 22 settembre 2018 - Parafrasando il libretto di Salvadore Cammarano, Il trovatore può dirsi tale solamente se al suo arrivo si freme. All’Opéra Royal de Wallonie l’operazione riesce appieno e in Vallonia si freme come si conviene alle note di Verdi; infatti è proprio la musica a prevalere nella piovosa serata del 22 settembre e ci pensa il melodramma italiano a scaldare il pubblico avvolto, fino a pochi istanti dall’inizio dell’opera, dalla nebbia dell’autunno belga.

La regia di Stefano Vizioli è assai tradizionale e punta su una caratterizzazione dei personaggi canonica e collaudata. La scenografia, nei primi tre atti, è composta da due tribune laterali che pongono il fuoco visivo su un fondale centrale. Questo mostra, nel primo atto, una luna piena che, talvolta, scompone la propria immagine per mutarsi in un occhio, probabilmente un riferimento al Conte di Luna.

Anche nel quarto atto la scena mantiene una forma triangolare con vertice opposto alla sala, ma senza più l’effetto ottico precedente, al fine di ottenere una semantica dell’oppressione che suggerisse il carcere. Lo stesso vale per lo studio del Conte di Luna, scuro non solo per effetto teatrale, ma anche per filologico riferimento all’ambiente d’un maniero medievale che, com’è noto, non presentava molteplici punti di luce. Di bell’effetto le variazioni cromatiche, volte ora al rosso e a tinte calde, durante il coro delle religiose “Ah!... se l'error t'ingombra” in principio del finale secondo.

Il cast di primo livello internazionale vedeva il debutto locale di tre dei quattro protagonisti (il solo Mario Cassi aveva già cantato all’Opéra Royal de Wallonie) e, assieme alla concertazione di Daniel Oren, ha garantito qualità d’esecuzione e una resa che ha prestato fede alle rosee previsioni.

Eccellente è stata la Leonora di Yolanda Auyanet: il soprano spagnolo, ormai italiano d’adozione, si è distinto per precisione tecnica e accurata preparazione musicale. Il fraseggio è perennemente intenso e passionalmente conforme alla psicologia del personaggio. La Auyanet si distingue fin dalla cavatina “Tacea la notte placida” per dare il meglio di sé nel quarto atto, grazie a una linea di canto e a un fraseggio, specie nell’aria “D'amor sull'ali rosee”, impreziositi da bei pianissimi e variazioni cromatiche. Affascinante il suo modo di porgere la frase “scordarmi di te”, che passa, nel tono, dal dubbio al rimprovero nei confronti di Manrico per la sua esortazione, fino a mostrare al pubblico la decisione della donna nel suo proposito, sottolineato nella successiva cabaletta “Tu vedrai che amore in terra”, così arricchita di significati e uniformità drammatica.

Finalmente, dopo averlo scritto fin dal debutto critico del sottoscritto per un Don Pasquale veronese del 2013 [leggi la recensione], abbiamo l’occasione di ascoltare Mario Cassi in quello che dovrebbe essere il suo repertorio d’elezione del momento e per gli anni a venire. Se prima erano intuizione e presentimento, l’ascolto del cantante aretino in un ruolo integrale da baritono nobile fortifica la convinzione. Il colore e la qualità della voce, sempre più scura e pastosa, risultano ideali per questo repertorio. Gli anni trascorsi a interpretare ruoli più brillanti consentono a Cassi di affrontare la scrittura verdiana senza alcuna apparente difficoltà. I centri giungono al pubblico ricchi di armonici, mentre lo squillo in acuto esalta la vocalità baritonale di un artista capace di affrontare senza tema il passaggio di registro e far girare il suono perfettamente. La sua miglior qualità, tuttavia, resta nella serata la capacità e la comprensione della scrittura musicale e dell’accento verdiano, offrendo al pubblico vallone un fraseggio con pochi eguali nel panorama canoro contemporaneo. Ottima l’esecuzione dell’aria “Il balen del suo sorriso” e memorabile la cabaletta “Per me, ora fatale”.

Ottima anche la prova di Violeta Urmana, la più esperta in questo titolo verdiano fra i colleghi della serata. La sua è un’Azucena nota, che consente all’artista di confermarsi, anche qui a Liège, come una fra le migliori interpreti del ruolo. Il mezzosoprano lituano si distingue particolarmente nei momenti più drammatici, su tutti il racconto di “Condotta ell'era in ceppi”. Splendida e passionale nel fraseggio del terzetto “Giorni poveri vivea” sia nel cantabile sia nella stretta conclusiva, è eccellente nel finale ultimo.

Fabio Sartori (Manrico) porta a termine la serata senza sbavature. Si fa apprezzare per lo squillo e la gestione dei fiati assai corretta. L’aria “Ah! sì, ben mio, coll'essere” è eseguita con sicurezza e bella linea, parimenti alla successiva cabaletta “Di quella pira l'orrendo foco”. Molto bello il finale, quando il tenore trevigiano può puntare sulle sue caratteristice migliori, grazie a frasi più ampie che ne esaltano il bel colore vocale.

Corretto il Ferrando di Luciano Montanaro.

Molto bene anche la concertazione di Daniel Oren, anch’egli al debutto nel teatro. Già recensito nel medesimo titolo dall’Arena di Verona [leggi la recensione], si conferma ottimo interprete del titolo verdiano. La linea musicale è conforme alla drammaturgia, garantendo un innalzamento del pathos specialmente nel racconto di Azucena, nella prima parte del terzo atto e in tutto il quarto. L’orchestra è guidata con precisione e accurate scelte agogiche. La dinamica è piuttosto serrata e uniforme nell’arco dell’intera opera. Peccato solo per alcuni tagli, fra i quali i più macroscopici hanno riguardato tutte le riprese delle cabalette e per alcune concessioni allo sfogo in acuto (in primis del tenore nel finale secondo) dal gusto un po’ datato. Nel complesso la prova del direttore israeliano può dirsi convincente, anche per la qualità del suono che è capace di ottenere dall’orchestra.

Completavano il cast l’interessante Inès di Julie Bailly, il Ruiz di Xavier Petithan, oltre a Alexei Gorbatchev (un vecchio zingaro) e Stefano De Rosa (un messo). Bene il coro diretto da Pierre Iodice.

Oltre a Stefano Vizioli, hanno partecipato alla messa in scena Alessandro Ciammarughi (scene e costumi) e Franco Marri (luci).

Al termine, grande successo col pubblico intento a salutare con entusiasmo e applausi ritmati tutti gli interpreti.

Da sottolineare, per quanto ci riguarda, la perfetta organizzazione dell’ufficio stampa, che ringraziamo pubblicamente per l’efficienza e la professionaità.

foto © Opéra Royal de Wallonie-Liège


 

 

 
 
 

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