Berlino, Staatsoper im Schiller Theater: “Tosca”

Berlino, Staatsoper im Schiller Theater, stagione lirica 2016/2017
“TOSCA”
Drama lirico in tre atti, Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, tratto dall’omonimo dramma di Victorien Sardou.
Musica di Giacomo Puccini 
Floria Tosca LIUDMYLA MONASTYRSKA
Barone Scarpia, capo della polizia ERWIN SCHROTT
Mario Cavaradossi, pittore YONGHOON LEE
Cesare Angelotti GRIGORY SHKARUPA
Sagrestano JAN MARTINIK
Spoletta FLORIAN HOFFMANN
Sciarrone  VINCENZO NERI
Carceriere DAVID OŠTREK
Orchestra Staatskapelle
Staatsopernchor e Kinderchor der Staatsoper Unter den Linden di Berlino
Direttore Domingo Hindoyan
Maestro del coro Martin Wright
Regia Alvis Hermanis
Scene e costumi Kristine Jurjane
Luci Gleb Filshtinsky   
Berlino, 19 febbraio 2017 
E’ senza dubbio una Tosca di gran classe quella che si è appena conclusa allo Staatsoper di Berlino. Alvis Hermanis, che si potrebbe definire senza indugi un esteta dei nostri tempi, tiene fede agli allestimenti storici ponendo in essi dei piccoli ma sostanziosi squarci di modernità, un tutt’uno tra antico e nuovo, perfettamente amalgamato, che cattura l’attenzione del pubblico senza però esagerare con l’invettiva solita degli allestimenti contemporanei, nei quali pur volendolo trovare, il filo conduttore sembra essersi interrotto, e ormai da tempo. Ed è così che il dramma di Sardou, una delle opere più strazianti che Puccini abbia mai scritto, sotto le mani del regista lettone, diviene nonostante la sua imponenza scenica, piacevole da seguire. Gli interni della basilica di Sant’Andrea della Valle di Roma, sembrano quelli originari, con un solo dettaglio: al posto dei quadri e del dipinto della madonna ( la bionda marchesa Attavanti, che il pittore Mario Cavaradossi confronta alla sua amata bruna Floria Tosca) ci sono delle proiezioni, con disegni simili ad un fumetto, ma senza parole, che pian piano, raccontano quel che sta accadendo. Nei disegni, le scene della chiesa, il sorriso e la gelosia della cantante nello riconoscere che la donna del quadro è la sorella dell’ex console della caduta Repubblica Romana, Cesare Angelotti. Una trovata senza dubbio interessante, originale e sobria al tempo stesso.Che quasi vien da chiedersi, se farà forse questa semplicità, unica nel suo genere, quell’elemento essenziale per la buona riuscita di un allestimento come questo.
La Staatskapelle di sicuro fornisce sempre a modo suo, il proprio sostanziale contributo. Sotto la direzione di Domingo Hindoyan, è sontuosa e passionale. Il direttore d’orchestra venezuelano, assistente di Daniel Barenboim, e proveniente dal programma “El Sistema” di Abreu, ha un temperamento spontaneo ma caloroso al tempo stesso, e ha talento. Ha talento soprattutto nel supportare i cantanti, permettendo di colmare i loro “punti deboli”, e a tal proposito risulta al quanto generoso e comprensivo. Forse per molti potrebbe addirittura peccare di troppa indulgenza. Ma in effetti il bravo direttore deve anche saper aiutare quando è possibile. Ed è, infatti, grazie a lui che il tenore coreano Yonghoon Lee, ha potuto portare a termine la recita, conservando quell’aria necessaria per il terzo atto. La sua non è stata una performance da “bravo bravo!”, sebbene la sua presenza scenica si possa ritenere interessante. Non si può certo dire però che sia adatto ad un ruolo pucciniano come questo. L’unico suo pregio, il volume, rischia di esser, infatti, compromesso dalla cattiva gestione che ha della voce. Per un coreano, è comprensibile che la lingua italiana non sarà di certo uno scoglio facile da superare. E sarà forse per facilitare l’emissione delle vocali, che il tenore ha adottato un canto eccessivamente immascherato e di conseguenza “nasaleggiante”, di tanto in tanto persino fastidioso all’orecchio, non idoneo ad esempio ad una “Recondita armonia”, romanza che il pubblico attende con ansia nel primo atto, che si apre per l’appunto con un fa acuto apertissimo e tutt’altro che chiuso, motivo per il quale tecnicamente poco camuffabile con il sol volume a più non posso. Un trucco ormai noto tra i furbetti! E’ un po’ insolito, invece, sentir Erwin Schrott nel ruolo del barone Scarpia. Soprattutto dopo la sua lunga, lunghissima, lista di Leporello, Escamillo e Dulcamara… Ma di tanto in tanto il bravo uruguayano ci riserva belle sorprese. E c’è da dire che questo sadico e malvagio capo della polizia si addice tutto sommato abbastanza bene a Schrott . Nel suo Scarpia coesistono malvagità, perfidia, prepotenza e persino sarcasmo e signorilità nobiliare ( caratteristiche importanti per questo personaggio). Insomma a Schrott non manca proprio nulla. Complice è una solida gestione  vocale. Potremmo definire la sua voce quasi “camaleontica”, perché capace di adattarsi a ruoli più disparati con estrema precisione. Ed è corposa e sicura, accompagna ogni singolo suono alla corretta dizione e chiarezza della pronuncia vocale, permettendo a esso stesso di scorrere senza brusche interruzioni. Molto preciso nel Te Deum, e qui arriva quasi un finale tremate dalla furia nervosa di colui al quale quella donna gli “ fa dimenticare iddio”. Voce matura e dal timbro gradevole è, invece, quella di Liudmyla Monastyrska, evidente soprano spinto. La sua vocalità è ben gestita, dal timbro pieno e limpido, intensa negli acuti che accompagna con estrema eleganza, ed è chiara la sua dizione.  C’è da dire che difficilmente nei teatri berlinesi si può incontrare una Tosca non idonea, i tedeschi, infatti, sembrano esser particolarmente legati a questo dramma lirico di Puccini. Ed il prossimo 28 di marzo, per chi fosse interessato, al Deutsche Oper nel ruolo di Tosca, reduce dal successo di Madama Butterfly al Teatro alla Scala di Milano, sarà possibile sentire Maria José Siri.
Tornando alla regia di Hermanis, appare interessante assistere ad alcuni cambiamenti che interessano il secondo atto. Tra Scarpia e Tosca, infatti, c’è un primo approccio, i due addirittura si baciano, e la cantante incanta il perfido barone toccandolo, tra movenze sinuose e sguardi penetranti e sembra quasi di concedersi, un momento prima di trafiggerlo a morte. Niente croci e niente riferimenti cattolici, per una Tosca che resta sospesa nel tempo, con costumi che anzi lasciano appena intravedere una moda degli inizi del 900’, ma giusto appena accennata. Interessante è Angelotti, il basso russo Grigory Shkarupa. Bravi il Sagrestano, Jan Martinik, e Florian Hoffmann ( Spoletta). Promettenti i giovani dell’opera studio Vincenzo Neri ( Sciarrone) e David Oštrek (il carceriere). Insomma una Tosca che ha soddisfatto a pieno le aspettative del pubblico tedesco, nonostante si sa, molti di loro non avrebbero di certo rifiutato una versione più anti convenzionale. Ma il pubblico della lirica è un po’ come le mode, di tanto in tanto, messo di fronte allo stile Vintage, ne rivede qualcosa di familiare e ne rimane ammaliato.