Bologna, Teatro Comunale: “L’elisir d’amore”

Bologna, Teatro Comunale, Stagione d’opera 2015
“L’ELISIR D’AMORE”
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Felice Romani.
Musica di Gaetano Donizetti
Adina ROCIO IGNACIO
Nemorino FABRIZIO PAESANO
Belcore VITTORIO PRATO
Il dottor Dulcamara MARCO FILIPPO ROMANO
Giannetta ELENA BORIN
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Stefano Ranzani
Maestro del Coro Andrea Faidutti
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti
Luci Daniele Naldi 
Allestimento del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 18 dicembre 2015
E ad ogni stacco di cabaletta, i balletti dei personaggi. Ormai sembra una trovata irrinunciabile dell’odierna arte registica applicata all’opera italiana. Non manca all’appello Rosetta Cucchi, che pensò questo Elisir d’amore per la scena bolognese nel 2010. Nelle sue note allo spettacolo afferma di voler esaltare la giovinezza dei personaggi del donizettiano melodramma giocoso. E giovani appaiono, anzi giovanissimi, dacché l’agreste vicenda è ricollocata in una scuola d’arte degli States, in pieni anni Ottanta. Nemorino è dunque l’imbranato della classe, uno sfattoncello dalla mimica alla Pierino (quello di Alvaro Vitali, Prokof’ev non c’entra), Adina una cheerleader brillante, Dulcamara un rider assai simile a Jack Black intento a vendere spinelli, Belcore il bullo cattivo con banda al seguito. I membri del cast aderiscono convinti alla rilettura e la nuova cornice ha una sua coerenza. Eppure proprio non ci stanno quegli scagnozzi di Belcore che tiranneggiano rabbiosi Nemorino o il rito iniziatico (una firma col sangue? una dose di eroina?) con cui si sancisce il suo ingresso nella truppa del baritono sergente. Perché in fin dei conti l’Elisir è commedia di mezzo carattere, la violenza non c’entra punto. E quanto spiace vedere la magia di “Una furtiva lacrima” dissipata da un Nemorino che di colpo si fa writer e scrive con rumorosa bomboletta spray il nome di Adina a terra. Tanto più che il signor tenore (Fabrizio Paesano, bel timbro, volume non troppo, squillo faticoso) compita l’aria senza gran fraseggiare e nella cadenza smarrisce la giusta tonalità. Più a fuoco l’Adina di Rocio Ignacio: le note le ha tutte, gli acuti suonano un filo troppo sforzati e aperti ma ci sono, il physique du rôle è garantito. Quello non manca neppure a Vittorio Prato, Belcore aitante, dal timbro forse non preziosissimo ma composto nel porgere la sua aria di sortita, forse il più in linea con il concetto di belcanto, qui non sempre onorato. Brillantissimo sulla scena il Dulcamara di Marco Filippo Romano: fin troppo vociferante al suo ingresso, dimostra solida linea di canto, ovunque scandisce, si diverte molto (e si vede) senza eccedere in caccole vecchia maniera. Non sempre piacevole Elena Borin nel ruolo di Giannetta. In buca Stefano Ranzani ha spesso una gran fretta: se il Coro del Comunale ha bel suono ma è quasi sempre indietro sul suo gesto, l’Orchestra è pronta ai comandi, sfoggia la consueta professionalità e sta leggera. Ranzani sa accompagnare il canto senza mai sbracciarsi e tiene saldo le redini dello spettacolo. Non abbondano le grandi idee musicali? Può darsi. C’è chi la chiama routine. In sala un po’ si è fatta sentire, ma in fin dei conti Donizetti è salvo. Foto Rocco Casaluci