10 luglio 2020 - 20:26

Damiano Michieletto: «Il mio Rigoletto, un’opera noir tra i clan degli anni 80»

Il regista veneziano dirige l’opera kolossal che debutta giovedì 16 luglio al Circo Massimo di Roma. Allestimento cinematografico su un palco da 1500 metri quadrati

di Valerio Cappelli

Damiano Michieletto: «Il mio Rigoletto, un'opera noir tra i clan degli anni 80»
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In questi mesi si è detto che le regie d’opera andranno ripensate in funzione dello spazio scenico. «Questo però non era un progetto già esistente che è stato cambiato per mantenere il distanziamento, nasce proprio così, rispettando le norme del Covid, ed è uno dei primi», racconta il regista Damiano Michieletto, artefice del «Rigoletto» kolossal che debutta il 16 luglio al Circo Massimo, sotto l’ala dell’Opera di Roma, davanti al presidente Mattarella, ai presidenti di Camera e Senato Fico e Casellati e della Regione Zingaretti, e al ministro Franceschini. Diretta su Rai 5. Sul podio Daniele Gatti, le voci di Roberto Frontali, Rosa Feola e Ivan Ayon Rivas.
Qual è l’idea?
«“Rigoletto” è un noir: il killer, il cadavere, l’agnizione finale. Il protagonista è un uomo in lotta col suo destino che si vendica e va a saldare i conti col passato, un po’ come in “The Hateful Eight” di Tarantino. Sono partito da un materiale che avevo in mente, per un “Rigoletto” in versione cinematografica. Il pubblico non noterà la distanza tra i personaggi, gli sembrerà normale, naturale, almeno questo è l’obiettivo, in un palco che copre una superficie di 1500 metri quadrati».
Ambientazione?
«Si svolge nella criminalità degli anni 80, un po’ a cavallo tra l’Italia e il mondo slavo, ma la percezione non sarà così netta. Il duca è un edonista sfrenato, l’ennesima incarnazione di “Don Giovanni”; Rigoletto vuole proteggere la figlia e tenerla lontana da quella violenza dispotica. Ci saranno delle automobili come elemento scenografico».
Si muovono?
«No, non è necessario, ma consentono la distanza e diventano metafora dei personaggi. Poi la roulotte dove Maddalena si prostituisce… Se volete uno slogan, è un “Rigoletto”on the road. Infine una giostra fatta a catene, Rigoletto è come se fosse un giostraio che cerca di fare affari col mondo criminale, è alla corte del duca per acquisire privilegi e una possibilità di riscatto».
E sua figlia Gilda?
«Non la vedo come la vittima che si immola, cerca con la pistola in mano di salvare il duca, è una donna con un certo coraggio. Rigoletto non accetta che si innamori di lui, lei dice al padre di non cercare la vendetta ma il perdono, sceglie di amare il duca anche di fronte alle evidenze, disubbidisce in nome di non si sa bene quale idea».
La gobba di Rigoletto?
«C’è, vede la sua deformità nello specchietto dell’auto e dice di essere un reietto. Ha accumulato ferite, non sappiamo chi sia, è uno incattivito dalla vita».
In uno spazio così smisurato…
«Abbiamo un maxischermo di 20 metri per 8 e tre steadycam che seguono i cantanti. Tre i livelli di narrazione: lo spettacolo; le riprese con i dettagli dei personaggi (penso a Rigoletto che entra in auto, lo vediamo spalle al pubblico che apre il portafogli con la foto della figlia, il suo segreto); il terzo livello sono piccoli film girati a Cinecittà che interrompono le riprese live, dove vedi i sogni di Rigoletto, il suo passato, Gilda da bambina, quello che succede altrove».
Lei aveva già fatto «Rigoletto»…
«Ad Amsterdam, in una versione del tutto diversa, concettuale e intimista. Quanto ai gangster, Jonathan Miller propose un “Rigoletto” nella Little Italy anni 50, ma in un linguaggio tradizionale: questo è un lavoro cinematografico che si svolge in contemporanea e crea tensione narrativa».
Chi sono oggi i buffoni di corte?
«Tutti quelli che leccano la mano ai padroni con la paura di riceverne una scudisciata. Altra cosa i buffoni scespiriani, in grado di dirti la verità con una risata. Ma Rigoletto è un vile, un codardo che si sfoga a luci spente e dice cortigiani vil razza dannata».
Prossima sua tappa, un’opera contemporanea.
«Su musica di Giorgio Battistelli. Ho curato l’adattamento da “Le baruffe chiozzotte” di Goldoni, è la mia lingua il dialetto veneziano. La regia… Si è fatta troppa retorica sulla pandemia che cambia il modo di fare teatro, in breve tempo si tornerà come prima, spero meglio per la qualità».

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