Spettacoli

Guillaume Tell – Teatro alla Scala, Milano

Per la prima volta alla Scala Guillaume Tell, l’ultimo capolavoro di Gioachino Rossini, nella versione originale francese.

Un luogo plumbeo, illuminato solo dal tenue chiarore della speranza, così il pittore svizzero Johann Heinrich Füssli immagina il prato del Grütli, e lo rappresenta, insieme ai giurati, nel suo quadro del 1780, oggi conservato alla Kunsthaus di Zurigo. Ed è simile, concettualmente, a quanto il pubblico scaligero ha visto e aspramente contestato nella nuova produzione di questo Guillaume Tell, andata in scena al Teatro alla Scala con la regia di Chiara Muti e le scene di Alessandro Camera. Siamo in un futuro distopico che rimanda al film Metropolis di Fritz Lang. L’umanità vive in una sorta di città carcere, sotto una pesante oppressione di un dominatore straniero ma anche della tecnologia: ogni cittadino agisce solo guardando il suo tablet, una delle tante metafore che uniscono la mela ed il male. In questo allestimento tutto è giocato in chiave dark e fantasy che a volte strizza quasi l’occhio al linguaggio della serialità televisiva, di Once Upon a Time, ad esempio. Uno spettacolo indubbiamente ricco di trovate, registicamente curatissimo, che ha però suscitato tante, forse troppe, proteste dal loggione. Certo non tutte le idee sono parimenti riuscite: illogica e esteticamente sgradevole, ad esempio, risulta la scena della crocifissione. Se poi si vogliono trovare dei difetti possiamo far notare come le troppe pensate non trovino sempre lo spazio adeguato svilupparsi a fondo e soprattutto non è possibile portarle avanti con costanza, cosa che crea spesso un senso di caos. Vogliamo spendere qualche parola sul nodo del contendere: il balletto di terzo atto (coreografie di Silvia Giordano) che prevedeva una sorta di sevizie perpetrate da Melethal e dai suoi scagnozzi, qui rigorosamente abbigliati in toni fantasy, contro i cittadini. A nostro avviso questa scelta è coerente con quanto la musica e la storia suggeriscono, e benché la trovata non sia del tutto innovativa, basti pensare all’allestimento pesarese firmato da Graham Vick, si è creato un quadro interessante e realizzato con grande capacità tecnica, scenica e con eccezionali ballerini. Bello poi il finale, dove torna prepotentemente, così come deve essere, la natura, ma al tempo stesso anche un teatro antico e rossiniano, con questo grande fondo dipinto a monti e cascate. Un poco monotoni, ma coerenti con la visione registica i costumi “carcerari” di Ursula Parzak che sa però stupire con i vestiti di Melethal e della sua corte. Veramente ispiratissime e riuscite le luci di Vincent Longuemare. Uno spettacolo per sua natura complesso: non è semplice accompagnare quasi quattro ore di musica; forse l’allestimento non è perfettamente riuscito ma ha saputo comunicare il senso del grand opéra, attualizzato e ripensato per il pubblico odierno, che, però, evidentemente, ha apprezzato solo in parte.

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Luca Tittoto

L’esecuzione musicale è dominata dalla splendida lettura che Michele Mariotti riesce ad imprimere a questo grande, quanto complesso, capolavoro rossiniano. Il direttore pesarese, infatti, coglie alla perfezione le molteplici nuances della partitura, qui eseguita nella sua pressoché totale integralità, e le ricomprende in una architettura sonora raffinata e minuziosamente cesellata. Sin dalla celeberrima ouverture, Mariotti elabora il dettato rossiniano attraverso una fitta rete di dinamiche accuratamente definite nella propria valenza espressiva, nel preciso intento di costruire un racconto che, pagina dopo pagina, diviene emotivamente sempre più coinvolgente. Una interpretazione ispirata e mai scontata, in grado di far affiorare distintamente i diversi temi su cui si fonda l’ossatura stessa di questo capolavoro: l’elemento naturale, l’afflato rivoluzionario, la grandiosità dei tableaux corali, e, ancora, gli abbandoni delle pagine più liriche. Una prova di gran pregio, giustamente premiata dalle ovazioni del pubblico che si sono scatenate al termine della sinfonia e ad ogni apparire di Mariotti sul podio, oltre che alla ribalta finale.

L’eccellenza della orchestra scaligera, poi, è espressione della qualità del lavoro che Mariotti ha saputo compiere sulla compagine strumentale, giunta a questo appuntamento in forma smagliante. Il suono, infatti, si leva dalla buca impalpabile e compatto come un magma iridescente che avvolge il palcoscenico con tutta la sua carica espressiva.

Superba è anche la prova del coro scaligero che, sotto la magistrale guida di Alberto Malazzi, sembra caratterizzare ogni suo intervento con sfolgorante intensità. Oltre alla compattezza e alla precisione delle masse, non si può certo non lodare anche la capacità di dosare ogni inciso con la giusta valenza drammaturgica, in perfetta simbiosi con il tappeto sonoro preparato in buca da Mariotti.
Ben affiatata ed amalgamata la compagnia di canto, nella quale possiamo trovare alcune punte di eccellenza.
A cominciare dal protagonista, un bravissimo Michele Pertusi. Il basso parmigiano sfoggia ancora oggi una vocalità dal fascinoso colore notturno e dal suggestivo timbro brunito. La frequentazione del repertorio belcantista consente a Pertusi di porgere la frase rossiniana con morbidezza ed eleganza e di superare abilmente tutte le richieste della scrittura, affrontata con sapiente pertinenza stilistica. Brilla, poi, l’interprete, dal fraseggio sempre carismatico e dalla presenza scenica sensibilmente coinvolta. Ecco, dunque, che nel Tell di Pertusi convivono perfettamente le due anime del personaggio: da una parte la sensibilità e la tenerezza del padre e del marito e, dall’altra, la pietas dell’uomo del popolo, che ne difende le tradizioni e il diritto alla libertà.

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Guillaume Tell, Teatro alla Scala, 2024

Dmitry Korchak si cimenta con Arnold, uno dei ruoli tenorili più temibili non solo della produzione rossiniana, ma del teatro musicale di sempre. Il tenore presenta una linea di canto duttile e pastosa nei centri, che sale, poi, con una certa facilità ad un registro superiore luminoso e squillante. Degne di menzione sono anche le suadenti mezze voci esibite nei momenti di maggiore abbandono romantico. Sempre a fuoco anche l’interprete, ben caratterizzato nel delineare il dissidio interiore di questo personaggio diviso tra amore e onore.

Salome Jicia presta a Mathilde uno strumento dal peculiare colore screziato. Grazie ad una organizzazione vocale piuttosto salda ed equilibrata, il soprano si rende protagonista di una esecuzione complessivamente convincente che passa con disinvoltura dalle arcate melodiche dell’aria d’ingresso alla frastagliata scrittura della lunga scena con Arnold in terzo atto. Ben riuscito l’aspetto interpretativo del personaggio, attraverso un accento piuttosto curato e rifinito.

Catherine Trottmann dona al personaggio di Jemmy la freschezza di una linea di canto educata e ben appoggiata. Una prova che rifulge, in particolare, nei centri mentre nella salita verso le note più acute il suono tende occasionalmente ad assottigliarsi. Perfetta l’aderenza al personaggio, tanto sulla scena quanto nell’articolazione della frase musicale.

Bravissima Géraldine Chauvet nel ruolo di Hedwige. L’artista possiede uno strumento vibrante ed omogeneo, piegato alla giusta valenza espressiva del momento. Particolarmente riusciti sono, in tal senso, la preghiera e il successivo terzetto con Mathilde e Jemmy in quarto atto.

Degno di nota il Gesler di Luca Tittoto, in possesso di una vocalità corposa e compatta. Notevoli sono la proprietà d’accento e la capacità di scandire ogni intervento del personaggio con la giusta enfasi. Eccellente, inoltre, la presenza scenica, resa con impareggiabile allure demoniaca.

Dave Monaco affronta con la giusta morbidezza l’aria del pescatore Ruodi di primo atto.
Molto bravo Evgeny Stavinsky che, grazie ad una emissione voluminosa e ben proiettata, rende al meglio l’austerità e la saggezza di Melcthal.
Note positive anche per Nahuel di Pierro, la cui vocalità brunita si presta al meglio per disegnare un Walter appassionato ed incisivo.
Ben a fuoco ed adeguatamente caratterizzati sono, infine, Paul Grant, Brayan Ávila Martinez e Huannhong Li, nei panni, rispettivamente, di Leuthold, Rodolphe e di un cacciatore.

La lunga serata, quasi cinque ore e mezzo di spettacolo compresi gli intervalli, si conclude con grande successo per tutta la compagnia. Il pubblico presente, che di fatto esauriva ogni ordine di posto, riserva un trionfo personale a Pertusi e Korchak accogliendo, poi, con una vera e propria apoteosi Mariotti.

GUILLAUME TELL
Opéra in quattro atti di
Étienne de Jouy e Hippolyte-Louis-Florent Bis
(Edizione critica a cura di E.C. Bartlet
della Fondazione Rossini di Pesaro
in collaborazione con Casa Ricordi, Milano)
Musica di Gioachino Rossini

Guillaume Tell Michele Pertusi
Arnold Melcthal Dmitry Korchak
Walter Furst Nahuel Di Pierro
Melcthal Evgeny Stavinsky
Jemmy Catherine Trottmann
Gesler Luca Tittoto
Rodolphe Brayan Ávila Martinez
Ruodi Dave Monaco
Leuthold Paul Grant
Mathilde Salome Jicia
Hedwige Géraldine Chauvet
Un chasseur Huanhong Li*
*Allievo della Accademia di perfezionamento
per cantanti lirici del Teatro alla Scala

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Michele Mariotti
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Chiara Muti
Scene Alessandro Camera
Costumi Ursula Patzak
Luci Vincent Longuemare
Coreografia Silvia Giordano

FOTO: BRESCIA E AMISANO TEATRO ALLA SCALA