Melodramma in 4 atti
Libretto di Étienne de Jouy e Hippolyte-Louis-Florent Bis
Musica di Gioachino Rossini

Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Casa Ricordi, Milano

Arnold MelchtalDmitry Korchak
Guillaume TellMichele Pertusi
Walter FürstNahuel Di Pierro
MelchtalEvgeny Stavinsky
GesslerLuca Tittoto
RodolpheBrayan Ávila Martinez
LeutholdPaul Grant
RuodiDave Monaco
MathildeSalome Jicia
JemmyCatherine Trottmann
HedwigeGéraldine Chauvet
Un chasseurHuanhong Li
DirettoreMichele Mariotti
RegiaChiara Muti
SceneAlessandro Camera
CostumiUrsula Patzak
LuciVincent Longuemare
CoreografiaSilvia Giordano

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Allievi della Scuola di Ballo
dell’Accademia Teatro alla Scala


Nuova produzione Teatro alla Scala

Rossini è maestro anche nell’opera seria. La sua esperienza napoletana lo portò a sviluppare una grande sensibilità per soggetti drammatici e tragici. Due opere napoletane Maometto II e Mosè in Egitto diventarono, con una profonda trasformazione, due opere francesi di enorme successo a loro volta tradotte in italiano alla conquista dei palcoscenici mondiali. Ma Rossini non aveva ancora scritto una opera completamente nuova in francese a soggetto tragico, ci riuscì con Guillaume Tell opera epocale, universale, il non plus ultra. Dopo questa fatica in 4 atti molti fattori portarono il pesarese a non comporre più per il teatro: depressione, malattie, cause legali con il regno francese per il vitalizio, rivalità con Meyerbeer e Halevy. Compose solo per le sue serate musicali, poi due capolavori sacri e i peccati di vecchiaia. Il Faust, che doveva nascere dopo il Tell, non ebbe mai luce.  Guillaume Tell rimane quindi l’ultimo capolavoro in cui il suo linguaggio si adatta ai gusti francesi innervato alla nuova sensibilità romantica già abbozzata nella sua Donna del lago. Per la prima volta al Piermarini viene presentata le versione originale francese, l’unica a nostro parere a dover essere eseguita, poiché ogni frase è più ricca ed armoniosa nella lingua per cui è stata scritta. Strano che Muti nel 1988 usasse ancora l’italiano visto che già aveva a disposizione una versione preliminare dell’edizione critica. Michele Mariotti, concittadino e interprete di riferimento di Rossini, lo abbiamo appena ascoltato in Maometto II al San Carlo con una terribile regia. Qui a Milano dirige in maniera analitica questo capolavoro. Già nella sinfonia ascoltiamo gli archi in particolari mai uditi prima, i cori sono intonati con tempi sia bucolici che con tempi più energici. Gli ottoni hanno gran parte per descrivere l’universo delle valli svizzere anche se queste non compaiono nella presente regia. Purtroppo il direttore scegli di fare qualche taglio di troppo, anche se furono tagli fatti già durante le prime rappresentazioni assolute: il Pas de duex con la sua sezione introduttiva dell’Atto II, il Final del Divertissement dell’Atto III, il termine originale della tempesta nel IV atto con interventi di Tell e del Coro necessari a dare al pezzo una giusta conclusione. Grave la mancanza dell’aria di Jemmy vero capolavoro in musica nella sua forma AbAC che fu eseguita sempre da Mariotti alcuni anni fa al ROF. Lo spettacolo con questi brani sarebbe durato 30 minuti in più ma per la musica di Rossini sarebbe stato un grande vantaggio: saremmo stati a teatro tranquillamente 6 ore.  

La regia affidata a Chiara Muti è stata molto criticata in questi giorni. Noi ci ergiamo a paladini di Chiara e apprezziamo molto il lavoro fatto con citazioni del film espressionista Metropolis, Il settimo sigillo, l’arte di William Blake, Dante e i 7 peccati capitali. Una regia grand-opéristica molto varia nei pur cupi 4 atti. Il nero e il grigio sono prevalenti come in un film espressionista ma le idee non mancano. Il popolo è sotto giogo dei tablet luminosi con cui è stato indottrinato in una città sotterranea e nera. Ma già nel secondo atto vediamo una notte stellata per l’aria di Mathilde e il duetto d’amore. Riflessi di un bosco si vedono nella ampia scena del giuramento che conclude l’atto. Stupendo l’atto III con un albero malefico (stile Tim Burton) ai cui piedi stanno Gesler/Dante/La Morte e le mele con i sette peccati capitali, sette donne dai vestiti anni ’20 ideati con estrema inventiva e ricchezza. Stiamo vedendo 5 recite di questo spettacolo e lo apprezziamo sempre più anche perché i movimenti di danza sono caratterizzati da una aderenza alla drammaturgia e non avulsi dal contesto. Nel Pas de six del primo atto assistiamo allo stupro delle tre spose come succederà da lì a poco alla figlia di Leuthold. Ancora più complesso il “balletto” del terzo atto ottimamente ideato.  Chiara Muti si è formata al Piccolo Teatro di Milano ha firmato allestimenti operistici all’Opera di Roma, al San Carlo di Napoli e al Regio di Torino.



Dmitry Korchak è un Arnold sanguigno e virile, le melodie maschie che ci riserva sono esaltate da un canto sempre di petto come gli squillanti acuti. Ottimo il duetto iniziale con Tell dove la frase cantabile viene ripetuta un tono più acuta, caso unico in Rossini. Eccellente il terzetto del II atto e la grande aria del IV atto svolta con impeto guerresco e sostenuta dal coro dei cospiratori. Salome Jicia sostituisce l’ammalata Rebeka (Norma l’anno prossimo) nel ruolo di Mathilde. La romanza del II atto è crepuscolare ed intima grazie ad un canto molto concentrato e soffuso. Incisiva l’aria del terzo atto così come gli interventi nel finale III. Il terzetto nel IV atto è accompagnato da soli fiati e le voci delle tre donne si amalgamano perfettamente. Michele Pertusi cantò la prima volta Guillaume Tell nel 1995 al ROF in una versione più integrale della presente. In questi 30 anni ha cantato questo ruolo sia a Zurigo che a Vienna. La sua grande esperienza nel ruolo ne fa un Tell ideale, sempre galvanizzato per l’indipendenza e libertà (parole cancellate nelle varie versioni italiane). Fin dalle prime parole nell’introduzione la sua indole è manifesta, contrasta tutti, ha forte personalità, scuote Arnold dal suo torpore e risulta un vero leader nel Giuramento. Il canto non ha perso lo smalto del tempo e questa parte basso/baritonale si adatta perfettamente alle capacità di Pertusi.


Walter Fürst è un ruolo piccolo ma importante: Nahuel Di Pierro ne trae un gioiello e ricordiamo che cantò il medesimo ruolo anche al Festival di Rossini a Bad Wildbad. Melchtal è il solenne e profondo basso Evgeny Stavinsky che nel primo atto benedice le tre coppie di sposi. Nel 2° atto verrà crocefisso. Gessler è il duttile Luca Tittoto che è bravissimo nel perfido ruolo. Gestisce bene sia il canto che la parte attoriale nella sua ampia cappa rossa.

Rodolphe è Brayan Ávila Martinez che si distingue nel sostenere il finale I e in particolare la furiosa stretta. Leuthold è il valido e drammatico Paul Grant, mentre Ruodi è l’eccezionale Dave Monaco che nell’introduzione canta dolcemente alla sua amata Lisbeth raggiungendo con facilità il do acuto. Jemmy è la superba Catherine Trottmann che emerge nell’introduzione dell’atto 1° ne nel finale dello stesso atto. Bello il suo terzetto nel IV atto con la madre Hedwige, cantata con espressione da Géraldine Chauvet. Il coro della Scala è superbo in ogni momento. Impressiona il numero dei coristi in scena e il canto risulta particolarmente compatto. La lingua francese fa il resto. Nel 2° atto il coro maschile è diviso nei tre parti come i tre cantoni che arrivano uno alla volta per poi compattarsi nel giuramento, una scena indimenticabile. Meyerbeer cercò di superare questa scena con tre bande in scena nel finale II dell’Etolie du Nord.
Un vero capolavoro dove tutte l’energie sono state spese al massimo creando una vero grand-opéra bello sia da vedere che d’ascoltare. Vi sono ancora tre recite per non perderlo.

Fabio Tranchida