L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Innamorati e brontoloni a Venezia

di Irina Sorokina

Per la prima volta al Filarmonico di Verona, Il campiello di Wolf Ferrari conquista il pubblico, sinceramente divertito dallo spirito della commedia goldoniana.

Verona, 20 marzo 2024 - Prima di invitare il gentile pubblico a buttarsi nell’avventura della stagione lirica estiva areniana, il Teatro Filarmonico di Verona propone una graziosa operina di Ermanno Wolf-Ferrari, compositore italo tedesco nato a Venezia e alla città lagunare devoto. Il Campiello prende ispirazione dalla commedia omonima di Carlo Goldoni e appare un po’ strano il fatto che quest’operina simpatica non sia mai apparsa a Verona. Ma adesso i veronesi possono conoscerla e godersela sotto la direzione di un veneziano autentico, Francesco Ommassini, come tipicamente veneziano è il soggetto, fin dal titolo. Il campiello, la tipica piazzetta della città lagunare, è difatti un termine che non sempre trova un equivalente in varie lingue: ad esempio, nella lingua russa il titolo dell'opera viene tradotto comeПерекресток (Perekrjostok) cioè L’incrocio.

L'elegante scena fissa di Giulio Magnetto porta lo spettatore proprio in un campiello veneziano dove la vita brulica e le persone comunicano dai balconi delle graziose case tradizionali veneziane, stavolta in tinta pastello, con le finestre e le porte tipiche di tutto il Veneto. Gli edifici sono un po’ datati, ma questa circostanza fa parte del loro fascino. In buona armonia con le scenografie sono i sobri costumi firmati Manuel Pedretti. Certamente, non avrebbero potuto essere dello stesso colore delle scene, ma evitano accuratamente le sfumature sgargianti preferendo decisamente quelle più tenui: “la veste” della produzione risulta simpatica, elegante e con un pizzico di nostalgia, mentre sembrano poco variegate le luci di Claudio Schmid.

Il giovane regista Federico Bertolani instaura con lo scenografo una buona intesa, il suo lavoro appare simile a un pittore che prima ha disegnato il paesaggio o una veduta urbana e poi ci ha inserito le figure umane. La parola “simpatia” potrebbe essere la chiave per dare la caratteristica alla messa in scena veronese del Campiello; simpatiche le scenografie, simpatici i costumi e veramente simpaticissimo il cast che alla fine dello spettacolo ottiene un successo grandioso facendo apparire sui volti degli spettatori un gran sorriso che attesta il piacere causato dal divertimento. Buona l’idea di impiegare i mimi che con la loro partecipazione contribuiscono al ritmo e la velocità dello spettacolo.

La squadra dei cantanti è capitanata, senza un minimo dubbio, da due signori en travesti, due “done”, due comari veneziane, dona Cate Panciana e dona Pasqua Polegana, rispettivamente interpretate da Leonardo Cortellazzi e da Saverio Fiore. Cantanti esperti e attori consumati, sono loro “colpevoli” delle sane risate suscitate dalla loro recitazione saporita e dalle loro doti canore.

Troviamo nei panni di Gasparina una graziosa Bianca Tognocchi, che abbiamo avuto alcune occasioni di ascoltare in parti importanti del belcanto romantico quali Lucia di Lammermoor e Norina, in Italia e in Austria. Il giovane soprano dalla voce pulita e dalle notevoli capacità virtuosistiche dimostra nella produzione veronese di potersi calare in un personaggio completamente diverso dalle eroine donizettiane, rivelandosi una Gasparina amabile e delicata. Del tutto differente è Sara Cortolezzis nei panni di Lucieta, che disegna un carattere piuttosto deciso e desideroso di imporre le proprie regole. Rivela voce salda, senza alcun problema e desta ammirazione per la sua preparazione tecnica, sorprendendo soprattutto nel registro acuto. Lara Lagni, una Gnese frizzante, completa la parte femminile del cast. A fianco di Lucieta e Gnese, i loro “morosi” Anzoleto, Gabriele Sagona, e Zorzeto, Matteo Roma, sviluppano una naturale intesa attoriale e vocale con le innamorate.

Biagio Pizzuti sa sorprendere sempre per le sue qualità canore pari a quelle attoriali. Gli stanno bene i personaggi un po’ robusti, simpatici a dal carattere bonario e risulta un Cavalier Astolfi perfetto. Anche la voce è perfettamente adatta al personaggio, ben timbrata, omogenea dalle note basse a quelle acute; una lode particolare merita la dizione chiarissima. Il momento più alto del divertimento arriva quando, puntando sul fascino del dialetto napoletano, il “Cavalier Pizzuti” chiede agli abitanti del Campiello qualche soldino dopo il pranzo. Una vera bomba in una messa scena ben riuscita.

Bravi e spigliati sono Paola Gardina, Orsola, e Guido Loconsolo, Fabrizio dei Ritorti.

Francesco Ommassini ben conosce lo spirito veneziano e questa la chiave del suo successo. Guida l’orchestra areniana con mano leggera e sicura, traendo un piacere evidente dall’immersione nella raffinata orchestrazione di Wolf-Ferrari. I professori d’orchestra godono delle sue attenzioni esattamente come i cantanti e questa è la chiave del successo della produzione. L’orchestra areniana, abituata alle partiture verdiane e pucciniane, risulta più raffinata e trasparente e sviluppa una buona intesa con le voci. I frammenti dell’opera che danno più piacere sono gli intermezzi strumentali in cui Ommassini trasmette la delicatezza della partitura di Wolf-Ferrari.

Alla fine, i grandi applausi per un’operina graziosa che quasi quasi non vogliono finire, un meritato successo per tutti gli artisti.


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