Melodramma in un prologo e tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave, Giuseppe Montanelli  e Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Versione 1881

Simon Boccanegra Luca Salsi
Jacopo Fiesco Ain Anger
Poalo Albiani Roberto de Candia
Pietro Andrea Pellegrini
Amelia (Maria) Eleonora Buratto
Gabriele Adorno Charles Castronovo
Capitano dei Balestrieri Haiyang Guo
Ancella di Amelia Laura Lolita Perešivana

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Lorenzo Viotti
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Daniele Abbado
Scene Daniele Abbado e Angelo Linzalata
Costumi Nanà Cecchi
Luci Alessandro Carletti
Movimento coreografici Simona Bucci

Nuovo allestimento


Milano, febbraio 2024

Ricordi tentava un ravvicinamento tra Verdi e Boito, lo scapigliato che aveva insultato l’arte di Verdi in una poesia malcelata. Prima della monumentale impresa dell’Otello il rifacimento parziale di Simone sembrava il punto giusto da dove partire. Boito, come sempre esagerato, pensa ad un rifacimento più ampio e scrive anche la “selva” di un grandioso atto nella chiesa genovese di San Siro, che ci è pervenuta. Verdi spiega a lui che il lavoro di revisione non deve essere così ampio. Punto per punto illustra a Boito ciò che rifarà da solo, cambiando solo la musica, e le scene che necessitano parole e musica nuova. Vengo abolite tutte le cadenze e cabalette e ogni brano termina con delle code aggiornate al 1881. Un grande lavoro anche nel prologo, col “nuovo” mare protagonista, linea vocali che con pochi aggiustamenti diventano perfette. Il personaggio di Paolo assume importanza e diventa un Jago ante litteram. Unico grosso cambiamenti è il nuovo Finale I con 20 minuti di musica e poesia nuova, una scena spettacolare, movimentata, un grande affresco che si conclude con la auto maledizione di Paolo. Con questi cambiamenti l’opera diventa un capolavoro assoluto da ascoltare e riascoltare.



In questi giorni abbiamo ascoltato 4 recite sempre con lo stesso cast e dopo un inizio incerto sembra che l’aspetto musicale sia migliorato di sera in sera. Luca Salsi ci restituisce un Simone molto complesso con una ampia mutevolezza di frasi. Le dinamiche sono molto varie, il fraseggio nel duetto con la figlia è mirabile sino all’ultima parola in pianissimo “Figlia” (disturbata dal leggero rumore di un sipario in discesa). Ma il regista non capisce che ci deve essere assoluto silenzio proprio in un pianissimo di orchestra e voce? Superbo l finale dell’atto I con Salsi protagonista: “Plebe! Patrizi! Popolo!” è sviluppato con autorità dal baritono fino alle cocente frase “E vo gridando: pace, e vo gridando: amor”. Gli ultimi 2 atti lo vedono avvelenato, morente e ciò traspare dalla voce affranta che talvolta sconfina giustamente nel parlato. La regia ridicolizza questo personaggio facendolo addormentare seduto su una stupida panchetta e facendolo morire con una caduta fuori luogo in un momento così solenne come suggerisce la musica.
Jacopo Fiesco è un discreto Ain Anger, basso estone che nelle prime recite denunciava vari problemi. Il 17 febbraio, data che stiamo recensendo, sembra che il basso sia in buona forma trovando ogni nota anche le più gravi e una sufficiente pronuncia italiana per il ruolo. Certo la voce non ha la corposità che gioverebbe al ruolo ma il suo canto è più che accettabile.
Poalo Albiani è l’eccellente Roberto de Candia, che di solito incontriamo in ruoli buffi e brillanti e qui ci stupisce in questo ruolo mefistofelico. Dopo un anno con problemi di salute personali De Candia ritorna in piena forma con una voce rotonda e pastosa senza la minima sbavatura. Attore e cantante provetto ci disegna un cattivo assoluto e senza morale. L’automaledizione è accompagnata dall’inusuale clarinetto basso è da manuale. Verdi usa questo strumento solo per questo brano e per pochi secondi all’inizio dell’atto secondo per una reminiscenza della stessa scena. Un colore grave ben azzeccato.
Amelia è l’eccellente Eleonora Buratto: anch’essa ha focalizzato il ruolo in una manciata di repliche fino alla perfezione di stasera. Iridescente l’aria che apre il primo atto che sfrutta tutti i benefici della versione 1881. Bene il rapido duetto con l’amato e gli interventi nel concertato del Finale I fino alle ampie frasi cromatiche che concludono l’opera. Nelle frasi più acute la voce rimane di grande spessore e il timbro è caldo e seducente.


Gabriele Adorno è americano Charles Castronovo che canta la sua romanza fuori scena per poi essere subito coinvolto in un duetto d’amore. Il timbro è giovanile e esuberante dotato di particolare squillo. Animata l’aria del secondo atto fino alla seconda sezione più meditata ed espansiva. Successo per la sua interpretazione piena di vitalità. Pietro è il preciso Andrea Pellegrini, con i suoi interventi con Paolo.
Spettacolo che delude per un regia anonima, che si avvale di scenografie brutte da vedere. Protagonista è il grigio di elementi che paiono di cemento, scale grigie e fondali sempre neri e plumbei. Non bastano le navi bianche che compaiono per pochi secondi al termine del prologo a risollevare lo spettacolo. Anche il primo atto che si dovrebbe svolgere all’aurora e invece costretto in un buio assoluto. Ridicola dicevamo la panchetta per il povero Doge e gli altri elementi scenici. Qualche bandiera tenta invano di animare la scena come le tre bandiere incendiate a fine atto secondo. Lo svizzero Lorenzo Viotti era stato molto elogiato per Thais e Romeo et Juliette. Qui la prova non è così eccellente; i tempi ci sembrano molto meditati e ma talvolta un poco lenti, appesantendo una opera già cupa. Gli impasti e il rapporto con le voci è comunque buono e l’opera procede scena dopo scena senza però una visione d’insieme. Il coro è sempre ben preparato per una opera che possiamo definire di repertorio. Le prossime recite avranno un cambio di cast nei ruoli principali con Anita Harting e Matteo Lippi.

Fabio Tranchida