Trieste: nell’Ariadne trionfa lo Jugendstil

Un pubblico caloroso ma non particolarmente folto, ha accolto l’altra sera al Teatro Verdi di Trieste, e in diretta su RadioTre, Ariadne auf Naxos, ossia Arianna a Nasso, secondo titolo nella vasta produzione teatrale di Richard Strauss che trae linfa e ispirazione da un testo del letterato viennese Hugo von Hofmannsthal. La versione è quella che si rappresenta più frequentemente, in un Prologo e un atto, che all’antefatto, ambientato nella dimora di un ricco signore nella Vienna del diciottesimo secolo, fa seguire l’opera vera e propria, ispirata al mito di Arianna abbandonata da Teseo sull’isola di Nasso, e ivi ritrovata dal Dio Bacco. La vicenda mitologica è rappresentata per il divertimento del padrone di casa e dei suo illustri ospiti. In buona sostanza, la finzione, il fatto mitologico a lieto fine, si rispecchia nella realtà dei preparativi dello spettacolo, in un gioco di rimandi e di ambiguità – realtà e finzione possono essere invertite in qualsiasi momento – in cui si inserisce una compagnia di guitti della Commedia dell’Arte, capitanati dalla bella Zerbinetta, portatrice del messaggio hofmannsthaliano della Verwandlung, la trasformazione, indicata alla Principessa triste come rimedio dei suoi mali.

Rappresentata per la prima volta alla Hofoper di Vienna nel 1916 Arianna a Nasso, nella versione ritmica italiana, arrivò al Teatro Verdi nel febbraio del 1942 sotto la direzione di Franco Capuana cui fu affidata anche la successiva ripresa del 1964 abbinata a Mavra di Igor Stravinskij.

La lingua originale di Hugo von Hofmannsthal fu adottata nelle successive rappresentazioni del 1988, diretta da Spiros Argiris, e del 2004, affidata alle cure di Stefan Anton Reck.

L’edizione in scena ora a Trieste è coprodotta dal Teatro Verdi con il Comunale di Bologna, che l’ha presentata con buon esito nel marzo del 1922 nella sede temporanea del Comunale Nouveau, e con la Fenice, dove sarà rappresentata nel prossimo mese di giugno.

Dello spettacolo allestito da Paul Curran per la regia, qui riprodotta con puntualità da Oscar Cecchi, con la collaborazione di Gary McCann per le scene e i costumi, e di Howard Hudson, per il disegno luci, si può dire che decolla nella seconda parte quando il movimento ipercinetico di tutti e i luoghi comuni del teatro nel teatro (il Maestro di Ballo effeminato, le tre attricette in competizione e via dicendo) cessano e cedono lo spazio al canto di Arianna e Zerrbinetta, e al fascino di una musica che spesso si può definire sublime.

La cornice Jugendstil, insomma, prende il sopravvento sugli interventi modernizzanti che nel Prologo l’avevano messa in ombra, e il gioco del teatro nel teatro, caro a Strauss, si fa più sottile, come nei fatti deve essere.

La parte musicale offriva innanzitutto un’eccellente prova dell’Orchestra stabile del Teatro Verdi concertata con acume e diretta con grande magistero tecnico dal suo nuovo direttore musicale stabile Enrico Calesso che, avendo a lungo operato nei teatri austro-tedeschi, conosce bene questo repertorio e lo sa restituire “comme il faut” .

La nutrita compagnia di canto aveva il suo principale richiamo nel canto austero ma ricco di emozione della Primadonna Arianna, una Simone Schneider dal timbro ricco di armonici e di grande fascino espressivo, cui fa da contraltare l’applauditissima Zerbinetta del soprano russo Liudmila Lokaichuk, che coniuga spigliatezza e virtuosismo nelle giuste dosi, come a questo emblematico personaggio conviene, e ne fa una creazione riuscitissima.

Molto appropriati sono risultati gli interventi delle tre Ninfe che commentano la solitudine di Arianna: la magnifica Olga Dyadiv (Naiade), la longilinea Eleonora Vacchi (Driade) e l’evanescente Chiara Notarnicola (Eco).

Più ridondanti, seppure di grande vivacità, gli interventi delle quattro maschere che si contendono i favori di Zerbinetta: Gurgen Baveyan (sapido Arlecchino), Mathias Frey (Scaramuccio), Christian Collia (Brighella) e Vladimir Sazdovski (Truffaldino).

Al tenore Heiko Börner va il merito di aver imbrigliato onorevolmente la tessitura acutissima di Bacco. Non è poco.

Nel Prologo si sono prodigati con grande professionalità Francesco Samuele Venuti (un lacché), Dario Giorgelé (un parruccaio) e Gianluca Sorrentino (un ufficiale), ma i personaggi più rilevanti hanno sostanzialmente deluso.

Marcello Rosiello è un eccellente baritono, ma il suo Maestro di Musica canta in un tedesco incomprensibile e in un ruolo da recitare più che da cantare questo è un notevole freno.

Allo stesso modo il personaggio esclusivamente recitato del Maggiordomo, che dovrebbe rappresentare l’autorità e l’autorevolezza del padrone di casa, non le restituisce nella prova sbiadita di Peter Harl.

Andrea Galli, complice la regia, fa del Maestro di Ballo una macchietta.

Quanto al Compositore en travesti, vero centro musicale del Prologo, cui spettano frasi di lancinante bellezza, la danese Sophie Haagen ha mezzi vocali rimarchevoli, ma sembra più una segretaria sull’orlo di una crisi di nervi che il musicista appassionato disegnato da Hofmannsthal e Strauss.

Alla prima, successo per tutti dopo le tre intense ore di spettacolo, e un plauso al Maestro Calesso che, con la calma dei forti, ha condotto la nave in porto.

Rino Alessi
(17 febbraio 2024)

La locandina

Direttore Enrico Calesso
Regia Paul Curran
Ripresa da Oscar Cecchi
Scene e costumi Gary Mc Cann
Light designer Howard Hudson
Personaggi e interpreti:
La primadonna / Arianna Simone Schneider
Il tenore / Bacco Heiko Börner
Zerbinetta Liudmila Lokaichuk
Il maestro di musica Marcello Rosiello
Compositore Sophie Haagen
Brighella Christian Collia
Najade Olga Dyadiv
Echo Chiara Notarnicola
Driade Eleonora Vacchi
Arlecchino Gurgen Baveyan
Il maestro di ballo Andrea Galli
Il maggiordomo Peter Harl
Scaramuccio Mathias Frey
Truffaldino Vladimir Sazdovski
Un lacchè Francesco Samuele Venuti
Un parruccaio Dario Giorgelè
Un ufficiale Gianluca Sorrentino
Orchestra della fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

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