Recensioni - Opera

Luca Salsi salva il Boccanegra alla Scala

In bella evidenza il Coro Scaligero

Ritornare alla Scala è sempre un’emozione, ma tornare per assistere all’opera Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi ha per me un sapore particolare in quanto fu l’opera che nel lontano 1971 mi fece innamorare di quest’arte e della voce del baritono. Impossibile ed ingiusto fare confronti con quel Simone in quanto è forse l’edizione più riuscita di questo teatro, il suo fiore all’occhiello.

Vi è mai capitato di andare a teatro ed assistere a una ...rappresentazione nata male, una di quelle recite sfortunate? La recita dell'11 febbraio è stata una di queste. Dal tempo che fu prendo il prestito il modus operandi ovvero come si parlava allora degli spettacoli lirici, partendo prima dalla parte musicale per concludere con la parte scenica e registica.

Verdi e Boito hanno reso Simon Boccanegra un capolavoro assoluto: e se Verdi vi ha messo mano era perché amava profondamente quest’opera. Senza la grande Scena del Consiglio effettivamente era un tavolo a tre gambe.

Iniziamo parlando del direttore d’orchestra. Il Maestro Lorenzo Viotti non ha saputo cogliere i colori verdiani soprattutto nel prologo e nell'atto primo, dove l’orchestra della Scala, definita la migliore orchestra del mondo, era completamente in ritardo e scollata dal palco. Per questo i cantanti hanno fatto molta fatica per arrivare all'intervallo. Il momento più saliente e meglio riuscito è stata la maledizione a Paolo forse perché la frase musicale era cantata a cappella. Negli altri due atti la serata si è raddrizzata e la scollatura non c'era più. Capita a tutti una serata storta.

Il Coro del Teatro alla Scala è sempre stato la punta di diamante di questo teatro e lo è ancora: il suo direttore Alberto Malazzi è al pari dei suoi predecessori e sotto la sua direzione il coro è sempre una colonna importante degli spettacoli rappresentati.

Il baritono Luca Salsi ha aggiunto un altro ruolo verdiano a quelli già cantati alla Scala e si vede che nei panni dei Dogi si trova a proprio agio. Ricordo la sua pregevole interpretazione scaligera di Francesco Foscari e devo dire che anche in Simone è stato all’altezza della sua fama. Molto attento alla parola scenica, ha sudato sette camicie nella prima parte per le difficoltà dette sopra, ma dalla scena del Consiglio in poi è stato un vero mattatore. Per lui meritate ovazioni alla fine dell’opera, sia quando è uscito da solo sia con grida di "bravo" partite dal pubblico.

Il soprano Eleonora Buratto ha faticato anch'essa nella prima parte, per poi fare molto bene il secondo e il terzo atto dove ha saputo e potuto mettere in mostra la sua arte scenica e vocale. Anche per lei applausi alla fine dell'opera

Il basso Ain Anger era fuori ruolo e mi chiedo come mai è in questo cast: la risposta è che viene da Vienna, ma il suo Fiesco è sicuramente da dimenticare e la sua non brillante performance è stata sottolineata da qualche dissenso e da timidi applausi da parte del pubblico.

Il baritono Roberto De Candia è un Paolo di lusso, una vera scoperta. Infatti siamo abituati ad apprezzarlo in ruoli più buffi. Invece ci ha regalato un Paolo decisamente perfetto per malignità e desiderio di potere. Veramente bravo e gli applausi ricevuti l'hanno sottolineato.

Il tenore americano Charles Castronovo, al debutto in questo teatro, ha espresso il meglio nell’aria del secondo atto, mentre nei duetti e concertati non ha brillato. Anche lui in difficoltà per la serata infelice della direzione.

Buono il Pietro di Andrea Pellegrini, e i due allievi dell'accademia di perfezionamento del Teatro alla Scala Haiyang Guo come Capitano dei balestrieri e Laura Lolita Peresivana come Ancella di Amelia

Le scene di Daniele Abbado e Angelo Linzalata erano...indefinite. Pezzi di muri che forse indicavano palazzi, mossi da macchinisti nascosti neanche troppo bene, la stanza del Doge fatta da una panca bianca e un tavolino che sembrava una infermeria, neanche un piccolo sgabello per il Doge nella scena del Consiglio, solo una scalinata bianca con drappi rossi che poi verranno strappati all'entrata del popolo. Una scenografia ridotta veramente all’osso, meglio sicuramente così che con scene che non c'entrano nulla con la vicenda.

I costumi di Nanà Cecchi sono atemporali come si usa spesso ora ma ben curati. Le luci di Alessandro Carletti evidenziano bene i passaggi dal giorno alla notte. D'effetto il finale quando il Doge giace morto al suolo: le luci si concentrano su di lui e quando Fiesco chiude l 'opera informando il popolo della morte di Simone le luci si affievoliscono fino ad arrivare al buio totale, ad indicare il dolore cupo per la morte di un giusto.

La regia di Daniele Abbado era minimale, tanto che sembrava che gli artisti fossero lasciati a sé stessi: ma meglio così piuttosto che regie astruse e per niente pertinenti.

In conclusione serata che si è raddrizzata dopo un inizio non brillante con una menzione d'onore ai due baritoni, soprattutto Salsi.