Recensioni - Opera

Amsterdam: Agrippina e i giochi del potere

Splendida messa in scena di Barrie Kosky all’Opera Nazionale Olandese

Agrippina, l’opera italiana per eccellenza di Georg Friedrich Händel, scritta nel 1709 per Venezia e per il Teatro San Giovanni Grisostomo, gestito dalla famiglia Grimani, infatti lo stesso Vincenzo Grimani è autore del libretto.

Committenza privata dunque per un tipico prodotto tardo barocco, con otto interpreti e senza coro.

Barrie Kosky azzecca una regia contemporanea tutta basata sulla recitazione e sulla credibilità dei cantanti attori. Rebecca Ringst concepisce una scena mobile su due piani, tutta in acciaio, che richiama in un certo modo le moderne case galleggianti olandesi. Finestre con veneziane automatiche, ponti mobili e stanze che si aprono meccanicamente consentono una varietà infinta di situazioni sceniche che il regista sfrutta ampiamente. I costumi di Klaus Bruns, divertenti e contemporanei, sono azzeccati senza scadere mai nella provocazione fine a sé stessa.

Kosky monta una regia millimetrica, gestendo con i cantanti ogni accento, ogni controscena, ogni sguardo al pubblico, ogni secondo tempo. Un recitar cantando perfetto, che esalta la drammaturgia e gioca con ironia con le arie e gli assoli dei cantanti, a cui viene richiesto a volte di fare una simpatica parodia di loro stessi. Nessuna entrata od uscita convenzionale, nessuna posa da teatro d’opera. L’archetipo insomma di cosa dovrebbe essere oggi una regia contemporanea.

Certo ci vogliono prove e capacità attoriali oltre che canore. Ad Amsterdam si è visto il lavoro, l’investimento nelle prove e il risultato non ha deluso.

Stéphanie d’Oustrac è stata un’Agrippina magistrale, magnetica, ironica e divertente nella recitazione; solare, precisa e timbrata nel canto. Il controtenore John Holiday un formidabile Nerone dall’emissione timbrata e fluida. Gianluca Buratto un Claudio gaglioffo e divertente, forte di una bella voce di basso pastosa e svettante per volume. Ying Fang una Poppea capricciosa e volitiva. Tim Mead e Tommaso Barea, rispettivamente Ottone e Pallante, formavano una praticamente una coppia comica, entrambi ottimi sia vocalmente che scenicamente. Completavano il cast Jake Ingbar e Georgiy Derbas-Richter.

A dirigere perfettamente l’orchestra Accademia Bizantina brillava Ottavio Dantone che era anche Maestro al clavicembalo.

A conclusione di una serata assolutamente inarrivabile per esecuzione musicale, concezione registica e recitazione non si può tuttavia nuovamente sottolineare come l’opera barocca nasca per un pubblico e una fruizione completamente diversa da quella odierna e che alcuni tagli sono indispensabili per la messa in scena contemporanea. Tutto era perfetto ma neanche Kosky può salvare lo spettatore contemporaneo dalle lungaggini barocche di opere che venivano fruite da un pubblico distratto e che stava a teatro per delle ore non solo per sentire l’opera, ma per fare conversazione e giocare a carte. O torniamo a quella modalità di fruizione oppure le tempistiche vanno adattate ai tempi di fruizione attuale, con buona pace dei musicologi.

Ottimo successo di pubblico nel finale.

Raffaello Malesci (28 Gennaio 2024)