Recensioni - Opera

Scala: Médée di Cherubini con la regia di Michieletto

Sostituzione in corsa per Marina Rebeka indisposta

Il personaggio di Medea rimane uno dei pilastri della letteratura occidentale: a cominciare da Euripide ha saputo affascinare innumerevoli autori i quali sono stati nel tempo folgorati dalla complessa struttura psicologica di questa barbara, innamorata e maga, tanto da farne l’emblema dell’eterno conflitto umano fra passione e ragione. Siamo di fronte ad una figura di donna titanica, dominata dal furore, per certi versi manipolatrice, che si ribella nel profondo al pregiudizio culturale che grava su di lei e patisce l’esclusione.
Dal canto suo Giasone è un marito pessimo, freddo, razionale che ragiona talvolta per frasi fatte, al quale interessa sposare una greca per mantenere il proprio ruolo sociale, che non mostra sentimenti.
 
Tutti questi elementi si fondono e si intrecciano anche all’interno del libretto di François- Benoit Hoffmann e vengono ben resi scenicamente dalla regia di Damiano Michieletto che trasporta la vicenda all’interno di un elegante quanto spoglio appartamento borghese, quasi a sottolineare l’atemporalità della vicenda e il fatto che il pregiudizio verso chi è straniero non è estraneo a certo perbenismo contemporaneo.
 
In questo allestimento però l’attenzione viene intelligentemente spostata sui figli e sulla visione che essi hanno del conflitto genitoriale: sono loro, o meglio le loro voci registrate, a commentare, in sostituzione degli ormai obsoleti recitativi originali, quanto avviene sul palco.
La scena è fissa, dominata da un vasto salone sul cui muro di fondo, dipinto di un lilla acceso, apparirà la frase “Maman vous aime” poi distrutta quasi da una forza interna al muro stesso la quale produce calcinacci e polvere nera. Sempre sulla parete di fondo si apre la porta della stanza dei piccoli, luogo di giochi ma anche della dipartita finale dei bambini che, per un pudore quasi ancestrale legato anche all’uso della tragedia greca, avviene fuori campo seppur ripresa da una telecamera di sorveglianza. Sul finale tutto crolla, la sala si riempie di pietre che irrompono dal soffitto a causa di un terremoto: è la facciata di un mondo borghese perbenista e convenzionale ad essere lacerata dalla violenza istintiva di una donna che tutto travolge. Michieletto è abile nel muovere masse e personaggi e nel rendere significativo e pregnante ogni loro gesto attirando con sapienza l’attenzione dello spettatore.
 
Protagonista della serata nel ruolo eponimo avrebbe dovuto essere Marina Rebeka che purtroppo già nel primo atto ha dato segni di ritorno dei sintomi influenzali che l’avevano recentemente afflitta e che in questo caso l’hanno costretta ad abbandonare lo spettacolo. Nonostante la problematica la sua performance è comunque stata straordinaria, ricca di pathos, con salite in acuto da brivido e una interpretazione trasudante rabbia repressa, dolore e follia.
A sostituirla all’ultimo momento Claire de Monteil, anch’essa vocalmente impeccabile, ma dotata di uno strumento meno potente e, quel che più conta, di un registro grave non così rilevante. Vanno comunque fatti a lei i complimenti per aver avuto il coraggio di subentrare in scena nella parte finale così da consentire alla rappresentazione di giungere a conclusione.
 
Buoni anche gli altri due ruoli femminili. Martina Russomanno veste i panni di una Dirce dal bel timbro che, al netto di qualche sciabolata di troppo in acuto, porta a casa una prova di tutto rispetto; Ambroisine Bré è invece un’ottima Néris, degna interprete della devota schiava e amica di Medea.
 
Meno a fuoco le parti maschili. Stanislas De Barbeyrac incarna un Jason dalla personalità non così spiccata, dotato di una voce non immensa, ma comunque in grado di affrontare una parte certo non semplice con punte di una certa raffinatezza. Al suo fianco Nahuel Di Pierro è un Créon poco regale ed autorevole, corretto, ma con lievi difficoltà in acuto. Bene Greta Doveri e Mara Gaudenzi che interpretano le confidenti di Dircé. Una particolare menzione per i piccoli Thomas Nocerino e Elisa Dazio che incarnano con estrema efficacia il ruolo dei figli. Bravissimo il Coro che spicca per compattezza e precisione, ben preparato come sempre da Alberto Malazzi.
 
Splendida la concertazione di Michele Gamba che sa porre in perfetto equilibrio l’elemento neoclassico, condito da qualche guizzo preromantico, con quel sentimentalismo teso, vibrante, percorso da impeti di violenza e da tratti quasi nervosi che ben identifica il dramma di Medea. Il fraseggio è duttile, ricco di contrasti, ma sempre inserito all’interno di una spiccata ricerca di piacevole nitore, così da rendere questa partitura magnificamente lacerante come è giusto che sia.