Milano: nella Médée parlano i figli

Cherubini restituito a se stesso e al pubblico, non solo dal punto di vista strettamente musicale ma anche e soprattutto da quello drammaturgico e teatrale.

Alla Scala non “ritorna” Medea, ma arriva finalmente Médée e in un attimo – bastano le prime note dell’ouverture e i trimetri euripidei che recitano “questa famiglia non esiste più” proiettati sulla teletta che cela la scena – il passato, seppur glorioso, entra a far parte dei ricordi.

Sono passati più sessant’anni da quando la Callas portava in scena la sua maga infanticida che oggi appare quasi verista negli accenti, “aiutata” anche dalla sbilenca versione ritmica italiana di inizio ‘900 e dai recitativi cantati che con Cherubini non hanno nulla a che fare, e l’ora di andare avanti era giunta, con buona pace dei vedovi.

Damiano Michieletto – e insieme a lui il genio di Paolo Fantin, il sommo buongusto di Carla Teti e l’acume luminoso di Alessandro Carletti – è autore di una prova registica di forza dirompente che riporta in vita tutta la tragicità del testo che è innanzitutto un dramma familiare che assurge ad universale.

Tornare integralmente alla versione originale, con i recitativi in dodecasillabi alessandrini, non sarebbe stata scelta praticabile e dunque si è felicemente deciso di rileggere la tragedia partendo dal punto di vista dei figli dei figli di Médée e Jason, vere vittime dello scontro non solo tra i genitori,  attraverso interventi loro affidati e  scritti assai bene da Mattia Palma.

Come il coro nella tragedia greca i piccoli, che hanno l’età per ricordare il passato e comprendere il presente, sono sempre in scena diventando il paradigma degli scontri tra la madre e il padre, delle manipolazioni di Creonte aspirante nonno  e di Dircé, matrigna non esattamente amorevole.

I bimbi, nei loro dialoghi, segreti e sussurrati, si fidano della madre e diffidano degli altri, sperando però, come tutti i figli di coppie separate, che tutto si aggiusti.

L’ambiente “domestico” immaginato da Paolo Fantin circoscrive la vicenda ad un ambito privato, con il popolo – vestito da Carla Teti in abiti contemporanei – a fare comunque da spettatore attivo e cattivo, perché il diverso, il perturbatore della normalità, fa sempre e comunque paura è Médée è elemento disturbante per eccellenza.

Michieletto fa sì che la tensione drammatica non venga mai meno: da brividi Jason che sul finale primo si rannicchia tra le braccia di una Médée moglie-madre e la scritta “Maman vous aime” che nel terzo atto si sgretola in una pioggia di carbone prima che un video ci mostri come la maga uccida col veleno-sciroppo “buono” i figli che hanno in lei fiducia cieca e si addormentano nella morte.

L’eroina eponima diventa una delle donne del Neorealismo: potrebbe essere la Magnani di Roma città aperta o la Loren della Ciociara, assumendo un carattere di universalità che la consacra.

Michele Gamba è protagonista, insieme all’Orchestra in grande spolvero, di una prova maiuscola; la sua concertazione ripulisce la pagina cherubiniana dalla melassa romanticheggiante che la ricopriva, affliggendola, da decenni e la restituisce all’ascolto in una lettura tesa, vibrante, giustamente nervosa nella quale la parcellizzazione delle dinamiche e l’attenzione alle agogiche fanno sì che il narrato si incardini in una dimensione tanto cerebrale – nell’accezione più positiva del termine – quanto coinvolgente dal punto di vista emotivo.

Nel ruolo eponimo Marina Rebeka dimostra di essere interprete di prim’ordine, restituendo una Médée ferina e disperata, lucidamente impulsiva, poggiando tutto su un canto meditatissimo e ricco di accenti e colori cui si accompagna una recitazione sempre partecipata.

Meno bene fa Stanislas de Barbeyrac, Jason dalla voce corta e dagli acuti sottili e chiusi che una buona prova attoriale fanno dimenticare solo in parte.

Ambroisine Bré è Neris dalle caratteristiche interessanti, peccato che il volume della voce sia davvero esile e Martina Russomanno dà voce e corpo ad una Dircé troppo spesso incline a strillare.

Corretto e nulla più il Créon di Nahuel Di Pierro mentre assai bene fanno Greta Doveri e Mara Gaudenzi nei panni delle Confidenti di Dircé.

Bravissimi i due figli di Jason e Médée Thomas Nocerino ed Elisa Dazio e le loro voci registrate Timotée Nessi e Sonia Barri.

Superbo il Coro diretto da Alberto Malazzi.

Successo pieno, con qualche immancabile ma sparuto dissenso per Michieletto & Co., per tutti.

Alessandro Cammarano
(14 gennaio 2024)

La locandina

Direttore Michele Gamba
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Drammaturgia Mattia Palma
Personaggi e interpreti:
Médée Marina Rebeka
Jason Stanislas de Barbeyrac
Créon Nahuel Di Pierro
Dircé Martina Russomanno
Néris Ambroisine Bré
Confidantes de Dircé Greta Doveri, Mara Gaudenzi
Orchestra e coro del Teatro Alla Scala
Maestro del coro Alberto Malazzi

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