Recensioni - Opera

A Genova Werther messo in scena da Dante Ferretti

Uno spettacolo da incorniciare, il Werther messo in scena all’Opera Carlo Felice di Genova domenica 19 novembre.

La prima prevista la sera del 17 è stata annullata per lo sciopero confermato dalle Organizzazioni Sindacali Fials e Snater, relativo alla questione legata allo stallo delle trattative per il rinnovo del CCN dei Lavoratori delle Fondazioni lirico-sinfoniche.

“Werther”, Drame lyrique in quattro atti, composto da Jules Massenet su libretto di Edouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann, ispirato al romanzo di Johann Wolfgang von Goethe “I dolori del giovane Werther” è stato presentato in un nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice (in coproduzione con HNK-Croatian National Theatre di Zagabria), che si è avvalsa del contributo dell’artista di fama internazionale Dante Ferretti (che ha ricevuto nel corso della sua lunga e fulgida carriera tre premi Oscar alla miglior scenografia), curatore di regia, scene e costumi.

A concertare la colorita orchestra ligure il Maestro Donato Renzetti, che guida gli strumentisti attraverso l’esecuzione di una partitura che sin dal preludio iniziale rivela i cupi contorni della storia che sarà raccontata.

Al pubblico può sembrare di essere al cinema a guardare un film, tutto è curato al dettaglio. Nel primo atto il palcoscenico è occupato al centro da un grosso gazebo, che domina il giardino dove i bambini giocano e si esercitano nel canto, a sinistra c’è la bella casetta del borgomastro, a destra una costruzione e si scorge la via per raggiungere il centro cittadino. In fondo figura un muretto abbellito dalla presenza di vasi colmi di fiori mentre distanti si intravedono alberi ed altre abitazioni disperse sui campi collinari. Nel secondo atto emerge un contrasto tra sacro e profano. A destra del palcoscenico, dal punto di vista dello spettatore, c’è la Chiesa protestante con il Pastore che invita la comunità a celebrare la ricorrenza dei suoi cinquant’anni di matrimonio. A sinistra un mondano caffè, dove la gente consuma cibi e bevande. Sullo sfondo non ci sono più le colline, ma un agglomerato di case. È sera, da un comignolo fuoriesce del fumo. Il terzo atto è ambientato, invece, nel salotto dell’alloggio di Albert e Charlotte. La vasta stanza è ben arredata: c’è l’abete di Natale circondato da tanti pacchetti infiocchettati, il pianoforte, dei quadri appesi, uno specchio, una scrivania, un tappeto e un tavolino da studio. Le luci sono soffuse, nell’aria la magia del 24 dicembre, l’incanto che riflette un’atmosfera di gioia e serena pace.

Il quarto e ultimo atto è quello della morte del protagonista Werther. Ferretti presenta l’interno di un garage, a malapena illuminato da due lampadari accesi. Werther si è sparato e giace morente, davanti al frontale della sua automobile Balilla. Chiaramente visibile la salita che porta ad uscire dal sotterraneo immettendosi in strada. La metafora è significativa: Werther si prepara alla morte, pronto a lasciare le sofferenze della sua vita abbracciando il Cielo e quel Dio che ama e rispetta e che non lo condannerà per l’insano gesto. Mentre egli trascorre i momenti estremi in compagnia dell’adorata Charlotte, parte all’esterno la processione di bambini e giovani adulti ripresi di profilo, che camminano portando ciascuno una candela, preparandosi a festeggiare il Natale. L’ultimo istante è quello del contrasto più struggente: i bambini hanno cantato e scoppiano a ridere proprio mentre Werther chiude gli occhi al mondo.

Dalla prova offerta dal cast emergono indicazioni positive. Il tenore francese Jean-François Borras canta in modo sublime l’amore a prima vista per la dolce Charlotte esprimendo le facce di una personalità variegata qual è effettivamente quella di Werther, un uomo garbato, cortese, che rievoca con nostalgia gli anni dell’innocenza infantile, vista riflessa sui volti dei piccoli, un sognatore che desidera Charlotte e vuole donarle tutto sé stesso. Borras ha personalità, talento, e convince nel terzo atto, quello del lungo confronto (segnato dal bacio a tradimento) con Charlotte. Il pubblico apprezza e applaude caloroso. Si avanzano timide richieste di bis.

Il mezzosoprano Caterina Piva presenta una delicata Charlotte, che si occupa con impegno dei bambini ed è legata ad un uomo verso cui non prova attrazione, ma che non allontana per via di un giuramento fatto alla madre morente. Piva recita bene e canta animata da un intenso trasporto emotivo.

Buonissima la performance di Albert, interpretato dal baritono Jérôme Boutillier, spesso in scena con la sigaretta, che fuma, tra le labbra. Un personaggio riuscito, l’Albert di Boutillier, caricatura di un uomo solo apparentemente realizzato e felice. Davvero brava il soprano Hélène Carpentier che porta in vita la giovanissima Sophie, sorella di Charlotte. Carpentier ha un timbro potente, eccelle nel vibrato, è sicura e ben gestisce le sue qualità canore. Infine tre personaggi, Le Bailli, il borgomastro (Armando Gabba) e i suoi due amici Schmidt (Roberto Covatta), e Johann (Marco Camastra). Inconsapevoli del dolore che avvince i cuori di Charlotte e del giovane Werther, essi vivono serenamente, seguaci del dio Bacco, e regalano al pubblico sorriso e istanti di spensieratezza.

Il cast si completa con Emilio Cesar Leonelli (Brühlmann) e Daniela Aloisi (Kätchen).