Genova, Teatro Carlo Felice: “Don Pasquale”

Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione lirica 2022-2023
 DON PASQUALE
Opera buffa in tre atti su libretto di Giovanni Ruffini
Musica 
Gaetano Donizetti
Don Pasquale OMAR CEPPAROLLI
Dottor Malatesta NICOLA ZAMBON
Ernesto 
ANTONINO MANDRILLO
Norina ANGELICA DISANTO
Un Notaro MATTEO ARMANINO
Solisti dell’Accademia di alto perfezionamento e inserimento professionale dell’Opera Carlo Felice di Genova
Orchestra e Coro dell’Opera Carlo Felice Genova
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro
Claudio Marino Moretti
Regia Andrea Bernard 
Scene
Alberto Beltrame
Costumi 
Elena Beccaro
Luci Marco Alba
Videomaker Pierpaolo Moro
Allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
Genova, 10 giugno 2023
Don Pasquale, in questo allestimento genovese, è un biscazziere che da una gestione senza scrupoli del suo locale si è fatto ricco. L’impostazione della scena ricorda quella del Così fan tutte scaligero di Guth. Due pareti attrezzate, ortogonali tra loro, l’una quasi frontale ospita un enorme bancone di mescita, con infiniti superalcoolici in bellavista, sormontato dalla gigantesca insegna luminosa Sofronia Casino, che con o senza accento finale è sempre comunque appropriato. Un gigantesco maxischermo, come in molti film che abbiamo visto, ha inquadrature fisse di sorveglianza dei tavoli da gioco e degli accessi periferici al locale. L’altra parete, ad angolo retto con la prima, è rivestita fino a metà da uno specchio che moltiplica tutto quanto accade in sala, in alto ospita un praticabile che parrebbe affacciarsi a salottini per intimi rendez-vous; i due livelli sono collegati da un ampio scalone. Il resto della sala è ingombro da tavoli da gioco, roulette, poker e quattro slot-machine fanno bella mostra dei loro luminosi montepremi. Durante la sinfonia iniziale il nostro Don Pasquale, elegantone, smilzo appena brizzolato di capelli e barba, sta seduto ad un tavolino, alla destra del proscenio, ed osserva la gran cagnara che coristi e figuranti combinano in sala. Non manca neppure l’angolo dello spaccio: in un recesso all’estrema sinistra della scena, c’è chi compra e chi vende. L’ottima Orchestra del Teatro Carlo Felice, e il direttore Francesco Ivan Ciampa, per farsi sentire, sul gran trambusto del palco, ci danno dentro con molta decisione, ritmi scanditi, sonorità assertive e bacchetta zavorrata. Ci riescono a meraviglia. Complessivamente ne sortisce un Don Pasquale quadro veritiero di vita affannosa ed avventurosa, in equilibrio tra malavita e onorabilità borghese.Non è Opera Buffa, lo affermano convintamente sia la risoluta direzione di Ivan Ciampa che il realismo dell’azzeccata regia di Andrea Bernard. Il patetismo del vecchio burlato e schiaffeggiato, il sentimentalismo della tresca amorosa vengono felicemente diminuiti di temperatura dalla comparazione con quanto quotidianamente si legge nelle pagine di cronaca dei giornali o nei deliri dei social. A completare questa visione cronachistica si inserisce, bruscamente, quello che ci è parso un geniale intervento sulla drammaturgia originale: il “convento” da cui Malatesta sottrae Sofronia/Norina per condurla alle nozze con Pasquale, è la struttura espositiva della troupe di ragazze da vetrina, stile angiporto nordeuropeo. Malatesta ne è il gestore ed Ernesto l’ossessivo e ingenuo frequentatore pagante. Non so se l’idea sia assolutamente originale, di certo è ben esplicativa della situazione e assai efficace. Anche il siparietto che realizza sul palco i box delle vetrine contribuisce a confermare l’impegno speso dal Teatro Carlo Felice in questa produzione; lo scenografo Alberto Beltrame con le luci di Marco Alba, ha dato forma alla complessa operazione con impegno formidabile e gusto indiscusso. Il videomaker Pierpaolo Moro si è servito del maxischermo a parete per confermare l’attualità della proposta registica. Una gran massa di figuranti e coristi, questi ultimi ammirevoli oltre che per l’agire anche pel canto, solcano incessantemente il palco. Il Coro del Carlo Felice e il loro maestro Claudio Marino Moretti si confermano punto di forza degli allestimenti genovesi a cui affidarsi fiduciosi. Elena Beccaro ha vestito tutti quanti in uno stile da discoteca di lusso e da casinò per clienti danarosi: vistose paillettes e Swarovski, gonnelline e boa da can-can per le signore, smoking di fantasia per i signori. Esilarante la Norina/Sofronia, post matrimonio, che si aggira tra i tavoli, novella Carrà con piumato bolerino azzurro e biondissimo caschetto.Il teatro ha allestito questa produzione anche per valorizzare i Solisti dell’Accademia di alto perfezionamento e inserimento professionale dell’Opera Carlo Felice di Genova diretta da Francesco Meli. I cast scesi in campo nelle 6 recite previste sono stati due, noi abbiamo ascoltato quello che annoverava Omar Cepparolli Don Pasquale, Nicola Zambon Malatesta, Antonio Mandrillo Ernesto, Angelica Disanto Norina e Matteo Armanino Notaio. Tutti hanno mostrato di stare bene sul palco e di recitare con scioltezza e disinvoltura. Sicuramente le indicazioni di Meli hanno rafforzato le prestazioni canore che in nessun caso si sono rivelate deficitarie. La differenza di timbro tra le due voci più scure non è così accentuata e se Pasquale canta con scrupolo e proprietà da professionista affermato, Malatesta ha il diavolo in corpo e il personaggio è vivo in tutte le sue sfumature, anche in quelle più scellerate. Il loro duetto dello scilinguagnolo del terzo atto è sortito pepato e con bollicine al punto giusto: gli applausi si sono quindi scatenati. Ernesto par che abbia più lo spartito in testa che il cuore in mano: non male negli esiti. Né crooner, né posteggiatore ma tenore, più lirico che leggero, con ottime prospettive. Sa ben tenere a bada, quando si arrampica sui righi, le scivolate di testa. Norina, unica femmina in tal ossessivo contesto maschilista, sa farsi valere. Le sue virtù magiche son state ben coltivate e non contraddicono “scherzare mi piace, mi piace brillar”. È di timbro più brillante e spigoloso del suo compagno quindi l’intesa sonora del “Tornami a dir che m’ami” ne soffre. Il buon volume della parte brillante sconta una maggior flebilità della parte lirica. Col Notaio, sia Donizetti che Ruffini, il librettista, sono stati avari di versi e di note, al Carlo Felice il 10 di giugno sono comunque state dignitosamente pronunciate. La mancanza di nomi di richiamo non ha troppo frenato la partecipazione del pubblico genovese che alla fine si è mostrato soddisfatto applaudendo tutti con grande intensità.