Parma, Teatro Regio: “Pagliacci”

Parma, Teatro Regio, Stagione Lirica 2023
“PAGLIACCI”
Dramma in un prologo e due atti su libretto di Ruggero Leoncavallo
Musica di Ruggero Leoncavallo
Nedda VALERIA SEPE
Canio GREGORY KUNDE
Tonio VLADIMIR STOYANOV
Peppe MATTEO MEZZARO
Silvio ALESSANDRO LUONGO
Contadino LUCA FAVARON
Contadino GIANMARCO DURANTE
Orchestra dell’Emilia Romagna Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma e Coro di Voci bianche del Teatro Regio di Parma
Direttore Andrea Battistoni
Maestro del coro Martino Faggiani
Maestro Voci bianche Massimo Fiocchi Malaspina
Regia e scene Franco Zeffirelli
Riprese da
 Stefano Trespidi, Carlo Centolavigna
Costumi Raimonda Gaetani
Luci Andrea Borelli
Allestimento della Fondazione Franco Zeffirelli
Parma, 12 maggio 2023
Protagonista di questo spettacolo è lo spettacolo: di Zeffirelli.
In altri casi da una stessa idea sono figliate diverse produzioni sorelle (per esempio la sua Turandot: alla Scala, al MET, all’Arena, a Muscat). Pagliacci invece è uno di quei pochissimi titoli (con Traviata, Aida e Don Giovanni) su cui il regista d’opera per antonomasia è ritornato più e più volte dimostrando una certa inquietudine interpretativa.Molto brevemente. La prima volta è nel ‘59 al Covent Garden: con una buona approssimazione potremmo chiamarli Pagliacci “neorealisti”, e se Canio non è Zampanò, poco ci manca. Col passare del tempo la compagnia girovaga cresce scatenata, innestando sulla sobria palette di misero dopoguerra un tocco di kitsch: è così già nella produzione scaligera dell’81, da cui nasce anche il film. Nel ‘92 all’Opera di Roma si registra un primo aggiornamento attualizzante, ma è nel 2005 che Zeffirelli crea l’ultima produzione per il Teatro Erode Attico di Atene. Spettacolo sul quale poi, negli ultimi anni, è ritornato più volte in occasione delle riprese italiane. Sono questi, dunque, i Pagliacci che il Regio, dopo l’Opera di Roma a marzo, ha voluto riproporre nel centenario zeffirelliano. Scelta migliore davvero non si poteva dare per celebrare Zeffirelli, scrostandone il nome dai luoghi comuni. È fra i suoi lavori più maturi, più meditati, più amati e più riusciti. Il suo infaticabile pensiero visivo rifulge divertito nel ribollire delle masse, gestite con quella maestria ineguagliata che anche i detrattori gli hanno sempre dovuto riconoscere. E che Stefano Trespidi, che ha curato la ripresa, ha saputo rievocare. Le scene naturalmente sono del Maestro, riprese dal fido Carlo Centolavigna; e i costumi di Raimonda Gaetani, altra storica collaboratrice, da Zeffirelli a buon diritto considerata un’autorità in fatto di meridione (lo aiutò anche nei suoi lavori eduardiani). Ma c’è un altro protagonista, ed è l’incredibile Gregory Kunde. Fuor di retorica, si tratta d’un cantante semplicemente prodigioso. E il prodigio, come capita spesso, è l’intelligenza del musicista. Canio è uno di quei ruoli impensabili che il suo sterminato repertorio è invece arrivato ad abbracciare. E, come sempre, con una pertinenza stilistica impeccabile. La salute della voce sessantanovenne è ancora sbalorditiva: squillo, brillantezza, smalto. La sua oculata amministrazione di fiati ed energie evita o maschera piccole screziature. E se questi sono i motivi per cui ha potuto bissare Vesti la giubba, il motivo per cui tutti glielo abbiamo chiesto è l’interpretazione: giusta, vincente, che funziona. L’altro Pagliaccio, quello che giustifica il plurale del titolo (e che nella persona del suo primo ed influente interprete questo plurale lo pretese ed impose) è Vladimir Stoyanov. In forma non smagliante, ma perdonato dal pubblico affettuoso del Regio, tratteggia un Tonio graffiante, più convincente nell’interpretazione che nel canto. Valeria Sepe è una Nedda valorosa, dalla voce solidissima e impavida nell’approccio agli acuti, dalla presenza scenica improntata ad una non spiacevole sobrietà. Alessandro Luongo è il suo buon Silvio, dal timbro molto bello: solo l’emissione meriterebbe d’essere un poco più rilassata. Peppe, Arlecchino nella commedia, ha la voce luminosa e brillante di Matteo MezzaroLa direzione di Andrea Battistoni è assai efficace nel generare i necessari effetti con sicuro mestiere. Ottima la gestione delle masse sonore negli equilibri fra buca e palco, dove al coro del Regio diretto da Martino Faggioni si sommava, fra mille figuranti ed acrobati, quello delle voci bianche, sempre del Regio, con il suo Maestro, Massimo Fiocchi Malaspina. Nel suo eclettismo, la lettura di Battistoni pecca forse di fantasia cromatica e di organicità: ma in fondo è la partitura che trova la sua unità nel rigido schematismo delle simmetrie strutturali.