L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Un flauto poco magico

di Giuseppe Guggino

La stagione dell’Orchestra Sinfonica Siciliana torna ad indugiare nel repertorio operistico con una selezione dalla Zauberflöte. L’esperienza di Gérard Korsten dal podio guida un cast di giovani ancora piuttosto acerbo e poco convincente.

Palermo, 22 aprile 2023 - La selezione di arie e di alcuni insiemi dalla Zauberflöte mozartiana proposta in forma semiscenica al Politeama Garibaldi dall’Orchestra Sinfonica Siciliana, nonostante un tangibile successo al botteghino, segna una battuta d’arresto di una stagione dagli esiti finora assai convincenti. Non che alla bacchetta di Gerard Korsten, mozartiano di lungo corso, manchi l’autorevolezza per declinare le sfaccettature di una partitura tanto varia ma il racconto stenta a decollare intanto in orchestra, dopo un’ouverture molto ben curata. Non aiuta di certo la selezione drastica che si riduce alle arie dei protagonisti e a qualche insieme, rinunciando a Monostatos, alle tre dame, ai tre genii, a sacerdoti, oratori e soprattutto senza un coro. Non aiuta nemmeno il racconto di Giampiero Mancini che, oltre a fungere da sutura di dialoghi e numeri mancanti, anticipa anche la trama intelligibile nei numeri superstiti, ma soprattutto non è indispensabile – a fronte del risultato artistico – la mise in espace, se affidata a fondali proiettati dalla cifra stilistica vagamente vignettistico-surrealista di Fulvio Di Piazza e ai discutibili costumi provenienti dal Teatro Nazionale di Tbilisi.

Né le cose si risollevano col cast, in cui spicca la spontanea Vittoria Magnarello, giunta in extremis come Pamina in sostituzione di altra collega, ancorché dalla linea di canto ancora acerba, degna figlia dell’esile Regina della notte di Maria Sardaryan, pur rispondente all’appello per agilità, acuti e picchettati. Airam Hernández è un Tamino di buon volume, ma che difetta in morbidezza del porgere, caratterizzato da una voce tendenzialmente opaca che ritrova squillo nel registro acuto.

Eugenia Vukkert è una funzionale Papagena mentre il Papageno di Giovanni Romeo pare muoversi nello scivoloso terreno del singspiel con più di qualche impaccio, sia nel gusto, talvolta troppo incline al caricaturale, sia nell’emissione, quantomeno poco stilizzata. Infine George Andguladze difetta per autorevolezza nella profonda parte di Sarastro.

Del numeroso pubblico in sala s’è detto; la nota positiva è che la composizione anagrafica risultava insolitamente varia: magari la poca magia di questo Flauto sarà stata sufficiente a destare la curiosità di qualche neofita.


 

 

 
 
 

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