Bologna, Comunale Nouveau: “I Vespri Siciliani”

Bologna, Comunale Nouveau, Stagione Opera 2023
“I VESPRI SICILIANI”
Opera in cinque atti su libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier
Musica di Giuseppe Verdi
Guido di Monforte FRANCO VASSALLO
Il sire di Bethune GABRIELE SAGONA
Il conte Vaudemont UGO GUAGLIARDO
Arrigo STEFANO SECCO
Giovanni da Procida RICCARDO ZANELLATO
La duchessa Elena ROBERTA MANTEGNA
Ninetta CARLOTTA VICHI
Danieli FRANCESCO PITTARI
Tebaldo MANUEL PIERATTELLI
Roberto ALESSIO VERNA
Manfredo VASYL SOLODKYY
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Elementi del Coro del Teatro Regio di Parma
Direttrice Oksana Lyniv
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini, Martino Faggiani
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Cristian Zucaro
Movimenti di scena Sandro Maria Campagna
Attori della Compagnia “Sud Costa Occidentale” diretta da Emma Dante; Figuranti della Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone”.
Nuovo Allestimento del Teatro Comunale di Bologna con Teatro Massimo di Palermo, Teatro San Carlo di Napoli, Teatro Real di Madrid
Bologna, 23 aprile 2023
La brevissima storia esecutiva dei Vespri a Bologna ci stimola e consente un’altrettanto breve divagazione. Per gli adattamenti di ambientazione imposti dalla censura, in città l’opera debutta (freschissima: 1856) sotto il falso nome di Giovanna de Guzman; e al San Carlo, l’anno successivo, diventa Batilde di Turenna. Il cosiddetto teatro di regia ci ha oramai abituati a spostamenti temporali e geografici: per primo De Lullo, inaugurazione scaligera del ‘70, sposta l’azione dalla Palermo del 1282 alla Palermo in impaziente attesa dell’arrivo dei Mille. Viene qui irresistibile domandarsi quale peso abbia o debba avere l’ambientazione della vicenda, se sia una cornice ornamentale o qualcosa di più (si provi ad immaginare la possibile risposta di un Verdi). In altre parole, quanto ci sia di siciliano nei Vespri siciliani. La regista siciliana per antonomasia sposta la vicenda in quella contemporaneità indefinita che è a ben vedere un non tempo, coerente quindi allo spazio della simbolica Fontana della Vergogna; ma, quel che più è rilevante, fa dell’oppressore straniero un oppressore del pari siciliano. Che definire mafioso sarebbe riduttivo (i Vespri mafiosi, tra l’altro, ce li avevamo già: Livermore, senza essere siciliano, aveva avuto la stessa idea nel 2011 a Torino, con la differenza che il fratel Federico diventava non Borsellino ma Vito Schifani, capo della scorta di Falcone): qui l’oppressore è un usurpatore dell’identità siciliana, che la banalizza, la brutalizza, la violenta e se ne approfitta (ma ce l’ha coi due consoli siciliani della moda milanese? Allora anche con se stessa?). Le scelte che destano più perplessità riguardano i costumi (curati da Vanessa Sannino) di questi oppressori, che non esprimono altro dalla generica arrogante volgarità connaturata alla tuta, e poi la curiosa svolta (animalista?) del finale, in cui gli oppressori si spogliano delle tute e boccheggiano dimenandosi nella rete della Provvidenza. Col fastidioso sottinteso che gli oppressori sono i cattivi e gli oppressi i buoni: il che è semplicemente falso, Giuseppe Verdi non essendo Walt Disney. La direzione di Oksana Lyniv si annuncia, sin dalla celeberrima sinfonia, come una delle sue più felici a Bologna: sinora, s’intende. Dall’alto d’un fraseggio panoramico (alla lettera), lunghissimi archi melodici si tendono nella loro vigorosa organicità, in tempi senza oscillazioni: una lettura di sobria eleganza. Poi intervengono le ragioni contingenti e la sobria eleganza si sacrifica alle necessità: l’opera è eseguita in italiano, senza ballabili, e senza l’ultimo duettino fra Elena e Arrigo nell’atto quinto (un taglietto, con ogni probabilità, “cautelativo”). Ma la scrittura resta francese: dunque avrebbe senso o aggiustare tutte le parti e praticare i gravi tagli necessari fino a ridurre il numero degli atti, oppure ripristinare ballabili e lingua originale. Siccome invece è sempre meglio fingere di non vedere, il barile finisce scaricato sui cantanti, che devono vedersela con tessiture alquanto diverse da quelle analoghe che frequentano abitualmente. Ed ecco che poi l’opera diventa più iettatrice di quella sua ottima collega che a Bologna sarà data a giugno.Se la cava magnificamente Roberta Mantegna nell’impervio ruolo di Elena: con un mezzo dalle già apprezzate molte qualità, con timbro liquido e fresco, ma pieno, ed emissione morbida tratteggia una Duchessa più dolce che agguerrita. Al netto di qualche incertezza sugli estremi della tessitura, che tuttavia non inficiano la bella prova. Franco Vassallo resta una delle principali attrazioni vocali di questa produzione benché l’accento sia, nel complesso, piuttosto generico: ma è la voce, appunto, ad esprimersi da sola. Un baritono così squillante e luminoso, che sale agli acuti con cappuccilliana disinvoltura, ma con centri morbidi e generosi d’armonici sempre, lo si direbbe a perfetto agio in questo ruolo, e di fatti è così; ma siccome siamo qui per fare le pulci, segnaliamo un insospettato irrigidirsi dell’emissione, che vira al fibroso, inspiegabilmente proprio nella salita al registro acuto. Al contrario, Riccardo Zanellato è un Procida che come un aristocratico decaduto sa dimostrare grande classe e stile, ma senza bisogno di spendere troppo: la voce può perdere di corpo ma non di fascino, animata com’è da un fraseggio vibrante. Il tenore, per le irrisolte problematiche di cui si è detto, è predestinato a diventare l’anello debole della catena: così avviene anche per Stefano Secco. Appare evidente lo sforzo nel registro acuto, ma soprattutto la tendenza dell’emissione che, sommata alle troppe sbavature, considerate forse espressive, frammenta la linea del canto. Ottimi comprimari completano la compagnia, e sempre d’alto livello si conferma il coro bolognese di Gea Garatti Ansini, per l’occasione beneficiario di rinforzi parmensi. Magari i prossimi Vespri a Bologna saranno finalmente i  Vêpres, e ci auguriamo non debbano passare altri trentasette anni.