Trieste: Orfeo rockstar

La figura di Orfeo è senza dubbio una delle più celebri e celebrate nella mitologia greca. Sarebbe impossibile dar conto di tutte le riscritture che la riguardano. Certo è che, nella narrazione di Apollonio Rodio, il cantore tracio è nell’equipaggio degli Argonauti, i naviganti che con Giasone si recano alla ricerca del vello d’oro.

In una prima fase del mito, Orfeo è il poeta tra i poeti, e con la lira è rappresentato, per esempio, nei vasi attici fino al V secolo avanti Cristo. L’iconografia lo rappresenta quasi sempre da solo, spesso nel momento in cui, con la sua musica, ammansisce gli animali feroci.

Nel mito greco Orfeo, figlio della musa Calliope e di Apollo, con la sua lira e le sue parole riesce a sedurre uomini, animali di ogni specie e perfino alberi, pietre. Riesce a calmare perfino il mare in tempesta. Con la forza dei suoi versi commuove, intenerisce, appassiona, tocca l’animo e le fibre di chi ha modo di ascoltarlo. Per questo sin dall’antichità ogni artista si è identificato con lui, ha voluto vestire i suoi panni e ha cercato di ravvivare il mito con una sua personale interpretazione.

Gradualmente, quest’affascinante figura inizia ad accompagnarsi a una donna, la ninfa Euridice, e il suo canto, che l’ha reso famoso, acquista nuove sfumature.

Christoph Willibald Gluck lo ritrae nel momento più tragico della sua vita, quello della perdita della sua amata sposa, morta in seguito al morso di un serpente.

È l’originaria versione viennese del 1762 che il Teatro Verdi di Trieste ripropone al centro della sua programmazione lirica 2022/2023 in un nuovo allestimento della Fondazione, a otto anni dalla sua ultima apparizione in loco.

Per l’occasione il mito di Orfeo è rivisitato dal regista Igor Pison, che con la collaborazione di Nicola Reichert per le scene, Manuela Paladin per i costumi e Lukas Zuschlag per le scarne coreografie che coinvolgono un gruppo di danzatori non più giovanissimi, ne restituiscono la vicenda in chiave contemporanea. Orfeo e la sua sposa sono due stelle della musica rock assalite da seguaci e paparazzi a ogni loro comparsa in pubblico. Lui è una sorta di Elton John dalle scarpe dorate, e impugna costantemente l’inseparabile chitarra elettrica. Lei è meno appariscente, forse intimamente depressa o semplicemente conscia della sua fine imminente.

L’azione si dipana in uno spazio unico, l’abitazione del musicista, dove fa bella mostra di sé un pianoforte verticale. È qui che l’artista si rifugia mentre riceve le visite di condoglianze.

Dopo un inizio in qualche modo spiazzante, lo spettacolo di Pison e dei suoi collaboratori, non sembra volare però molto alto, costretto com’è a uno spazio tanto modesto.

La discesa agli inferi, dove Orfeo, oppresso dal dolore per la perdita, decide, su suggerimento di Amore, di andare a recuperare l’amata è allusa più che rappresentata. L’incontro fra i due è invece ben risolto, pur riservando all’azione la forzatura di una seconda morte di Euridice in seguito all’assunzione di non meglio identificate pasticche.

Come dire, una lettura fantasiosa, che solo in parte rende giustizia al capolavoro gluckiano.

Sul fronte musicale la concertazione e direzione del giovanissimo Enrico Pagano è nel complesso appagante e dinamica: dà un bel ritmo narrativo al tutto in virtù di tempi stringati, ma di sonorità a tratti eccessive. Si ha l’impressione, specie nella prima parte dell’opera, che il volume dell’orchestra stabile del Teatro Verdi non rispetti le voci in palcoscenico chiamate a fare del puro belcanto.

Peccato, perché Daniela Barcellona è un commovente Orfeo, dal timbro ambrato e dal fraseggio emozionante. Il suo canto è fermo, nitido, omogeneo in tutta la gamma di una voce delicata, capace però anche di momenti di ribellione. Incantevole il suo “che farò senza Euridice”.

Ruth Iniesta, dal canto suo è un’Euridice ideale vocalmente, il suo canto elegante e la linea morbida. Convince anche l’ucraina Olga Dyadiv, frizzante Amore, nonostante l’abito hollywoodiano che la fa assomigliare a Mae West.

Molto impegnato il Coro stabile della Fondazione, preparato scrupolosamente da Paolo Longo, è sempre molto a posto in tutti i suoi numerosi interventi.

L’opera, che è eseguita senza soluzione di continuità, è stata applaudita con moderazione alla prima. Anzi, gli applausi sono arrivati spesso in momenti poco opportuni, come a metà della celebre aria di Orfeo, e hanno coinvolto tutta la sala che si è presentata tutt’altro che esaurita.

Al termine successo di stima per tutti, in particolare per Daniela Barcellona, e qualche buh ad accogliere il regista e i suoi collaboratori.

Rino Alessi
(14 aprile 2023)

La locandina

Direttore Enrico Pagano
Regia Igor Pison
Scene Nicola Reichert
Costumi Manuela Paladin
Coreografie Lukas Zuschlag
Personaggi e interpreti:
Orfeo Daniela Barcellona
Euridice Ruth Iniesta
Amore Olga Dyadiv
Ballerini solisti Alexandru Ioan Barbu, Goran Tatar,
Georgeta Capraroiu, Urša Vidmar
Orchestra, coro e tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Solisti del corpo di ballo della Sng Opera in Balet Ljubljana
Maestro del coro Paolo Longo

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