Recensioni - Opera

Monaco: l’umanità accampata di Guerra e Pace

Complessa e corale la messa in scena di Dmitri Tcherniakov per l’opera di Sergej Prokof’ev

Una monumentale produzione corale per la Bayerische Staatsoper, che affida “Guerra e pace” di Sergej Prokof’ev alla bacchetta esperta di Vladimir Jurowski, mentre regia e scene sono di Dmitri Tcherniakov con i costumi di Elena Zaytseva.

Tcherniakov opta per un taglio a metà fra il contemporaneo e lo storicizzante, mescolando sapientemente attualità, passato prossimo e passato remoto di una nazione, la Russia, che oggi più che mai è al centro del dibattito sociale, politico e culturale in Europa. Gli interrogativi sono numerosi e aperti, le questioni tanto semplici da un lato quanto complesse e sfaccettate dall’altro.

Il regista sceglie coerentemente di ambientare tutta la complessa vicenda, che si snoda con molti salti temporali e di luogo, in un unico luogo iconico di Mosca: la casa del sindacato. Edificio storico che ha caratterizzato la vita politica della capitale russa negli ultimi duecento anni e ha ospitato, nel suo grande salone con colonne neoclassiche, vari snodi della storia: dalle feste al tempo degli Zar, passando per le manifestazioni sovietiche, fino a importanti avvenimenti dei tempi più recenti. In questo palazzo fu esposta la salma di Michail Gorbaciov nel 2022.

La scenografia riproduce con scena fissa questo grande salone neoclassico, in cui il regista immagina accampata un’umanità profuga, in fuga da una guerra o una tragedia imprecisata, in perenne stato di precarietà e sovraffollamento. I costumi sono contemporanei e richiamano le immagini che spesso vediamo rimbalzare nei mass media, l’ambientazione è realistica, a tratti cruda. Non mancano riferimenti al teatro e all’arte della rappresentazione, con file di poltrone teatrali sparse qua e là.

Il palcoscenico non si svuota mai, tutto avviene in veloce sequenza fra masse di persone, non manca mai qualcuno che dorme per terra o su brande improvvisate, c’è sempre movimento, l’affollamento è palpabile. Nel primo atto, il più intimo e dedicato al periodo di pace, le scene si alternano a proscenio in modo sostanzialmente tradizionale. Nel secondo atto, dominato dalla guerra, il coro prende maggiormente la scena con indubbia efficacia e l’impatto, sia vocale che scenico, di una massa arrabbiata e stanca è impressionante.

Non mancano poi vari rimandi al teatro nel teatro, quasi che tutta la storia fosse messa in scena per passatempo dai profughi accampati. Così la festa da ballo del primo atto sembra una recita improvvisata da questa umanità sfollata che si trova suo malgrado a dover convivere e passare il tempo, mentre la scena di Napoleone del secondo atto sembra una farsetta fatta per divertire i bambini, con l’imperatore francese che altro non è che una caricatura del potere.

Lo stesso dicasi per il generale Kutuzov, che appare in modo dimesso, in canottiera, sorseggiando flemmaticamente del the. Quasi l’immagine di un potere indifferente verso l’umanità sofferente.

Se nel primo atto ci si concentra sostanzialmente sulla storia personale dei personaggi, nel secondo abbondano i riferimenti politici a varie epoche. Nel finale poi appare sullo sfondo un busto di Lenin e il generale Kutuzov viene glorificato distendendosi su un catafalco pieno di bandiere rosse, in pieno stile da cerimoniale sovietico.

I riferimenti sono dunque numerosi e complessi, spesso più politici e simbolici che relazionati alla storia dei personaggi. La regia, accuratamente orchestrata e precisa, organizza bene le masse pur lasciando in una certa genericità le parti soliste. Nel complesso ci sono cose molto buone, ma alla lunga la folla risulta forse troppa, ottenendo un effetto “alla Zeffirelli”, in cui si fa fatica a seguire i cantanti persi in una massa eccessiva di persone. Se i cori risultano molto efficaci, la scena, unica per quasi quattro ore di spettacolo, mostra qualche limite pur nella sua imponenza.

Certamente pochi altri teatri in Europa sono in grado di proporre una produzione di tale complessità con quaranta parti soliste in scena, oltre a figuranti e coro.

Vladimir Jurowski dirige da par suo gli ottimi complessi bavaresi, regalandoci una lettura moderna e coinvolgente della partitura, senza mai perdere il controllo dell’insieme fra buca e palcoscenico.

Nella sconfinata compagnia di canto spicca il Bolkonski di Andrei Zhilikhovsky, dalla voce calda e pastosa, capace di accenti convincenti e di belle sfumature. Non da meno al suo fianco la Natascha Rostowa di Olga Kulchynska, che sfoggia una voce sicura e svettante presentandoci un personaggio asciutto e convincente. Splendida Violeta Urmana nella piccola ma intensa parte della Achrossimowa, così come sempre appropriato e stilisticamente ineccepibile Sergei Leiferkus nella parte di Bolkonski padre. Inarrivabile Arsen Soghomonyan come Pierre Besuchow, fraseggiatore attento e coinvolto in tutte le scene, padroneggia la parte grazie ad una voce dallo scintillante timbro tenorile. Da citare anche Tómas Tómasson, che ha interpretato in modo convincente un Napoleone trasformato in una caricatura.

Ottimi, affiatati e professionali tutte le altre voci in un lavoro d’ensemble magistrale in cui tutti diventano protagonisti e artefici della buona riuscita dello spettacolo: Alexandra Yangel, Kevin Conners, Alexander Fedin, Olga Guryakova, Mischa Schelomianski, Victoria Karkacheva, Bekhzod Davronov, Alexei Botnarciuc, Christian Rieger, Emily Sierra, Martin Snell, Christina Bock, Alexander Roslavets, Oksana Volkova, Elmira Karakhanova, Roman Chabaranok, Stanislav Kuflyuk, Maxim Paster, Dmitry Cheblykov, Nikita Volkov, Alexander Fedorov, Xenia Vyaznikova, Dmitry Ulyanov, Alexander Fedin, Liam Bonthrone, Csaba Sándor, Alexander Fedorov, Stanislav Kuflyuk, Bálint Szabó, Granit Musliu, Aleksey Kursanov, Thomas Mole, Alexander Vassiliev, Mawra Kusminitschina, Xenia Vyaznikova, Andrew Hamilton, Platon Karatajew, Mikhail Gubsky, Christian Rieger, Jasmin Delfs, Jessica Niles.

Molti applausi per tutti nel finale.

Raffaello Malesci (18 Marzo 2023)