L'inquietante Salome di Michieletto

Milano: stavolta con il pubblico in sala e la direzione di Axel Kober

Salome (Foto Brescia e Amisano)
Salome (Foto Brescia e Amisano)
Recensione
classica
Teatro alla Scala, Milano
Salome
14 Gennaio 2023 - 31 Gennaio 2023

Quest'edizione di Salome di Richard Strauss ha alle spalle una vita turbolenta. Nel 2020 Riccardo Chailly aveva iniziato le prove già con la pandemia in atto, aveva poi lasciato il podio a Zubin Mehta che però si era ammalato, quindi Chailly ci era risalito per la prima del febbraio 2021, a teatro chiuso per Covid e distanziamenti, per registrare lo spettacolo destinato a Rai 5 con l'orchestra sulla grande pedana in platea. Un effetto destrutturante di grande impatto, anche grazie alla visionaria regia di Damiano Michieletto. La ripresa di quest'anno, finalmente col pubblico in sala, era ancora destinata a Mehta, che però ha dovuto rinunciarvi per motivi di salute, e la bacchetta è passata a Axel Kober (pure per le repliche del 17, 24, 31 gennaio, mentre il 20 e il 27 ci sarà Michael Güttler).

Per forza di cose anche la messa in scena ha subìto non poche modifiche (per il resoconto della serata originaria del 2021 cfr. il GdM). Rimane però l'impostazione generale, che prevede un antefatto inedito, l'abuso subìto da Salome bambina da parte di Herodes. Questo permette siparietti ben riusciti, come la presenza contempomporanea di due protagoniste in età diverse, lo zio che conduce per mano la piccola vittima, ma muta radicalmente la vicenda, perché mette in secondo piano l'infatuazione di Salome per Jochanaan per privilegiare una resa dei conti. Il trauma e la vendetta qui hanno uno sviluppo elementare, sono a senso unico, non lasciano spazio alle ambiguità e ai chiaroscuri previsti da Wilde-Strauss. La prima a esserne stravolta è La danza dei sette veli, che non è più una erotica merce di scambio per ottenere la testa di Jochanaan, ma si riduce a una sorta di orgia psicoanalitica dove la protagonista viene posseduta da quattro o cinque doppi del patrigno. A questo si aggiunga l'enfasi posta dalla regia a un passaggio della pièce teatrale che ricorda come il padre di Salome sia stato gettato dal fratello nella stessa cisterna dove verrà imprigionato Jochanaan. Il che crea un cortocirciuto fra Amleto e Salome, entrambi con madri che sposano gli zii dopo un delitto. Se nella versione televisiva il tema era appena accennato, qui viene sottolineato, tanto che la protagonista va a dissotterrare il cranio paterno e lo lascia in proscenio. Ma non si tratta di una vanitas come quello di Yorick sulla quale meditare, ma di una presenza conturbante durante tutto il finale, quando dalla cisterna spunta la testa mozza di Jochanaan, nella raggiera dorata del famoso quadro di Moreau. Col rischio d'interferire con lo straziante e folle canto d'amore di Salome per il profeta, perché il fatidico bacio sulla bocca lei lo dà al teschio paterno. A meno che sia quello di Jochanaan, prematuramente scarnificato, lo spettatore è lasciato nel dubbio.

A parte questa complicazione parecchio distraente, rimangono comunque irrisolti non pochi interrogativi già posti dalla versione televisiva, uno per tutti, come mai gli Ebrei e i Nazzereni a furia di discutere debbano finire in canottiera. Un vezzo anche di Herodes che rimane in mutande quando tenta di contrastare la folle richiesta della nipote. Forse si vuol far coincidere lo spogliarsi con l'arrendersi, ma in scena ha uno strano effetto.

La direzione di Axel Kober al contrario non crea sorprese di sorta, è più che corretta, con un controllo assoluto fra buca d'orchestra e palcoscenico. Ma senza quell'estro che richiederebbe Richard Strauss per insinuare in ogni momento colori varianti, contrasti, scarti improvvisi. Straordinaria Vida Miknevičiūtė nei panni della protagonista, con una voce duttilissima e sicura nei passaggi più impervi e un'impressionante presenza sul palco. Di grande effetto quando indossa il vestito insanguinato, da cui poi si libera lasciandolo ascendere al cielo. Buono tutto il cast, a partire da Wolfgang Ablinger-Sperrhacke (Herodes) e Linda Watson (Herodias). Michael Volle, pur non corrispondendo all'immagine emaciata che ne dà la fantasiosa Salome, è uno Jochanaan più che autorevole, anche se non troppo tonante. Sebastian Kohlhepp è un Narraboth dolente al punto giusto, mentre Liuba Braun non è il Paggio previsto, ma una housekeeper onnipresente che ne ha viste di tutte a corte e commenta con gesti disperati quanto accade. Un tocco registico ben riuscito.

Al termine della serata applausi per tutti, direttore e regista compresi.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Napoli: per il Maggio della Musica

classica

Nuova opera sul dramma dell’emigrazione

classica

Al Theater Basel L’incoronazione di Poppea di Monteverdi e il Requiem di Mozart in versione scenica