Recensioni - Opera

Daniel oren ritorna a Trieste con Otello

Lettura orschestrale affascinate con un buon cast vocale

Apriamo la recensione, relativa alla seconda compagnia del titolo inaugurale della stagione triestina, con una serie di considerazioni, che riguardano alcune scelte registico organizzative, formulate prima dell’apertura del sipario.

La prima delle osservazioni si riferisce alla scelta di andare in scena con due intervalli, proponendo un primo atto di mezz’ora, un secondo ancora di mezz’ora ed il terzo ed il quarto uniti per settanta minuti complessivamente.

Certamente ci saranno ragioni pratiche, organizzative, economiche che hanno indotto a questa scelta, ma forse sarebbe stato il caso di valutare meglio il peso degli equilibri voluti da Verdi.

Avendo oltretutto una scena sostanzialmente fissa, con dei pilastri agevolmente removibili, si sarebbero potuti benissimo organizzare tre intervalli di quindici minuti e mantenere la divisione voluta dal compositore, finendo sostanzialmente alla stessa ora.

Così, invece, si è persa l’opportunità di percorrere quel viaggio intenso e raffinato che porta il protagonista a passare dalla dimensione del trionfo pubblico a quella prettamente politico-strategica, per arrivare alla sfera persone degli amici e della famiglia, per concludersi nella dimensione intima.

Verdi proponeva un viaggio cadenzato, regolare, di grande modernità, alla ricerca dele fragilità umane, della sostanza dietro la maschera dell’ufficialità. Non un viaggio nella storia, ma un percorso dentro l’uomo, con i suoi tempi, le sue soste, Eliminare l’intervallo fra terzo e quarto atto vuol dire svuotare di pathos la grande scena di Desdemona, collocata immediatamente a ridosso del terzo atto, che di fatto racconta la caduta di Otello nella ragnatela di Jago. Quando si accorpano gli atti nelle opere giovanili di Verdi è sostanzialmente una azione indolore, mentre nei lavori della maturità deve essere azione attentamente meditata.

Altra questione è la scelta di un Otello bianco. Quando Rossini scriveva ‘Otello ossia l’Africano di Venezia’ e Verdi sceglieva di far entrare il protagonista cantando: ‘Esultate! L’orgoglio mussulmano sepolto è in mare’, è evidente che la volontà degli autori era di sottolineare l’importanza dell’integrazione, si volevano ripudiare stereotipi e preconcetti. Sbiancare il protagonista, opzione che il regista ha scritto di aver delegato alle agenzie degli interpreti, è una scelta che non condivido, perché edulcora il senso della scelta politica di Verdi, nega il valore profondo della vicenda narrata e svuota il lavoro di una chiave di lettura importante. Oltretutto sui manifesti che pubblicizzano lo spettacolo, Otello ostenta la sua carnagione ambrata.

Speravo che le mie perplessità venissero spazzate dalla messa in scena di Giulio Ciabatti, uomo di teatro dalla lunga esperienza. Alla fine invece le mie perplessità rimangono tutte, ampliate da alcune scelte che non ho capito, come il balletto del primo atto, che mi ricordava il ‘Macbeth’ molto più che Cipro, la scelta di una scena unica, il fatto che spesso le parole cantate non avessero rispondenza nei gesti. Chiariamo che sono mie impressioni, perché il lavoro del regista è stato premiato da un ampio riscontro del pubblico che ha apprezzato la messa in scena di gusto tradizionale, i costumi firmati Margherita Platè e le luci di Fiammetta Baldisseri.

Come si diceva la scenografia, peraltro non firmata, è costituita da un ambiente fisso, un po’ claustrofobico, con alcuni pilastri ed una piattaforma che si trasforma fino a diventare un gigantesco talamo. Una scelta narrativa particolare, che al di là dele scelte personali di chi scrive, avrà sicuramente delle precise motivazioni.

Dal punto di vista musicale il grande evento era il ritorno a Trieste di Daniel Oren, direttore amatissimo, che a partire dai primi anni Ottanta con il Verdi ha avuto un rapporto intenso e conflittuale, che ha prodotto spettacoli indimenticabili e che si interruppe in modo tumultuoso una quindicina d’anni fa.

Si è trattato di un rientro trionfale, con un’orchestra che ha saputo rispondere agli stimoli del Maestro, che si è dimostrato ancora una volta un conoscitore attento e sensibile della complessa partitura, della quale offre una lettura affascinante, senza eccessi o forzature, che cattura l’attenzione del pubblico, che segue l’esecuzione in silenzio, per esplodere in un franco applauso, quasi gesto liberatorio, alla fine di ogni atto e soprattutto alla conclusione dello spettacolo.

il coro ha un ruolo determinante ed in questo caso gli artisti del Verdi, preparati dal Maestro Paolo Longo e coadiuvati da I Piccoli Cantori della Città di Trieste diretti da Cristina Semeraro, hanno saputo offrire una prova di altissimo livello sia dal punto di vista musicale che interpretativo, che riportava alla mente i fasti di un passato glorioso.

Otello era Mikheil Sheshaberidze, che nonostante le difficoltà insite nella parte ha fornito una prova di valore. Il ruolo richiederebbe una voce di maggior peso, ma siamo davanti ad una voce interessante, che non ha mostrato cedimenti e che ha superato indenne la temibile entrata e tratteggiato diversi momenti suggestivi. Una maggior interiorizzazione gli consentirà di maturare qualche sfumatura in più, ma certamente la sua è stata una prova ampiamente apprezzata.

Nella parte di Jago Elia Fabbian supera facilmente, soprattutto dal punto di vista vocale, le insidie del ruolo. Una voce potente, un colore interessante, acuti squillanti, fiati notevoli sono i punti di forza di questo bravo baritono che farebbe bene a lavorare sul personaggio, per far emergere ancora di più la becera doppiezza del finto amico di Otello. In ogni caso sicuramente quello che abbiamo ascoltato era un personaggio compiuto, che ha retto la scena con grande autorevolezza per tutto lo spettacolo e che il pubblico ha ampiamente apprezzato.

Desdemona è la georgiana Salome Jicia. Soprano notevolissimo, che può vantare una voce ampia, con un colore intenso nella parte bassa e suoni purissimi nel registro superiore, decisamente sicuro, con dei filati sostenuti da notevoli fiati. L’apertura del quarto atto, con una commovente ‘Canzone del Salce’, seguita da una ‘Ave Maria’ di grande intensità è stato sicuramente il momento di maggior trasporto dell’intera serata, premiato dall’unico applauso a scena aperta, sollecitato dallo stesso Oren, che aveva accompagnato la cantante con una gestualità struggente, ed una orchestrazione raffinata.

Cassio è stato Mario Baha, dalla voce luminosa; Marina Ogii ha offerto una Emilia piuttosto riservata ed elegante.

Bene gli altri comprimari: Giovanni Battista Parodi, Lodovico elegante; Fulvio Parenti che ha saputo ben caratterizzare la parte di Montano; Enzo Peroni credibile Roderigo; Damiano Locatelli, presenza affidabile e preparata, nel breve intervento dell’Araldo.

Alla fine applausi meritati per tutti, in particolare per il terzetto dei protagonisti ed ovazioni autentiche per il Maestro Oren.

 

Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, stagione d’opera e balletto 2022-23
“OTELLO”

Dramma lirico in quattro atti su libretto di Arrigo Boito da William Shakespeare


Otello Mikheil Sheshaberidze

Iago Elia Fabbian
Desdemona Salome Jicia

Cassio Mario Bahg

Emilia Marina Ogii

Lodovico Giovanni Battista Parodi

Roderigo Enzo Peroni

Montano Fulvio Parenti

Un araldo Damiano Locatelli

Orchestra Coro e Tecnici della Fondazione
Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

 

Direttore Daniel Oren

 

Maestro del coro Paolo Longo
Con la partecipazione de I Piccoli Cantori della Città di Trieste
diretti da Cristina Semeraro

 

Regia Giulio Ciabatti
Costumi Margherita Platè

Luci Fiammetta Baldisseri

Allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste

Trieste, 5 novembre 2022