Zurigo: Jacquelyn Wagner salva Arabella

In questi due giorni di permanenza a Zurigo, ho avuto modo di toccare con mano l’operosità del teatro svizzero. Opera quasi tutti i giorni, a volte più di una al giorno, concerti in ogni momento disponibile, conferenze introduttive, visite al teatro, laboratori aperti al pubblico, progetti per bambini, l’Opernhaus di Zurigo non sta ferma un attimo. Come riescano a tenere un alto livello in tutte queste produzioni, ancora non lo so, ma un po’ di stanchezza si sentiva, nell’orchestra. Né si può paragonare il cast del Rheingold di sabato con l’Arabella di domenica 15 maggio. L’opera si fondava moltissimo sul ruolo del titolo, in teoria interpretato da Hanna-Elisabeth Müller, la quale però ha dato forfait per malattia il giorno prima e dunque il teatro si è trovato nella scomoda situazione di rintracciare subito la sostituta. Che considerando il titolo non dev’essere stato semplice. Fortunatamente, Jacquelyn Wagner ha dato disponibilità, è arrivata sabato per domenica, una prova musicale e via, lanciata sul palco. In queste situazioni o si trionfa o si dice “beh, dai, ha salvato la situazione”: in questo caso posso dire tranquillamente che Jacquelyn Wagner ha trionfato.

Partita un po’ in sordina, visibilmente spaesata e con gli occhi ben incollati a direttore e suggeritore, il soprano americano ha preso via via sempre più fiducia, trovando di scena in scena una voce sempre più piena e dal bel timbro, non fermandosi ad un’esecuzione sterile ma cercando di costruire un’interpretazione coerente del personaggio, forte dell’esperienza con il ruolo. Una volta in confidenza con le scenografie e i movimenti di scena (fortunatamente non troppo complessi), Wagner si è concessa ammiccamenti sia vocali che gestuali che le hanno permesso di rimanere sempre nel personaggio, aiutata anche da un physique du rôle che ben la inquadrava come la figlia maggiore di una famiglia nobiliare austriaca. Possiamo solo immaginare dai bei racconti lo scavo di Müller nel personaggio, ma Wagner ha comunque tenuto alta l’asticella in tutta l’opera, permettendo al pubblico di godersi uno spettacolo che, se non l’avessimo saputo, si sarebbe potuto supporre preparato con lei. Alla sua uscita sul palco al termine dell’opera, le ovazioni ricevute dal riconoscente pubblico svizzero sono state ben meritate.

Purtroppo, Jacquelyne Wagner è stata anche la cosa più interessante di questa produzione. La regia di Robert Carsen è molto fascinosa, ambienta la vicenda in una Vienna anni ’30 in pieno Anschluss alla Germania nazista, ma non convince. L’ambientazione starci come scelta “colore”, ma la totale irrilevanza delle svastiche naziste con la vicenda la rendeva un po’ superflua. Fosse rimasto agli stendardi e alle uniformi, però, sarebbe anche potuto andare bene, ma la questione è sfuggita di mano. Il passaggio al terzo atto, con nazisti e tirolesi in Lederhosen che ballano la breakdance insieme mi ha lasciato basito. Dopo tutta l’immersione, l’atmosfera, la caratterizzazione di luci, scene e costumi, mi viene smontato tutto così, per mettere un momento delirante sul proscenio? Lo scontro tra Germania nazista e Austria meno felice di unirsi alla brigata lo posso comprendere, ma la coreografia di Philippe Giraudeau superava la barriera del ridicolo. E che dire dunque del finale, in cui la famiglia di Arabella, ora allargatasi con il matrimonio tra Matteo e Szdenka, viene accerchiata da ufficiali nazisti e (presumibilmente) arrestata come in un Tutti insieme appassionatamente finito male? Posso capire l’accento sulle tensioni razziste che esplodono (una sola volta, in realtà) nelle parole del Conte Elemer contro il nuovo promesso di Arabella, così come è evidente che vi sia una forma di risentimento nei confronti di questo ‘straniero’ che viene a prendersi l’amore di lei che è desiderata da tutti, ma da qui a costruire un’intera regia sul contrasto etnico/politico è parsa una notevole forzatura, che peraltro tratta con svagata leggerezza un tema molto violento come quello della repressione nazionalsocialista, che appare, in queste scelte, svuotata del suo portato tragico e trasportata verso un grottesco che stonava con l’opera. Peccato, però, perché la gestione dei personaggi sul palco era estremamente ben curata e le scene di Claudia Blersch erano splendide.

Un po’ disuguale il cast. Il Mandryka di Josef Wagner (non imparentato con Jacquelyn) è bravo nella caratterizzazione del suo personaggio, prigioniero della sua propria violenta fierezza, quasi incapace di dominare le proprie passioni (e dunque perfetto per il vagheggiare romantico della crocerossina Arabella alla ricerca di “quello giusto”). Vocalmente, però, l’intonazione è instabile e la voce spesso forzata non riesce a trasmettere il fascino esotico e “internazionale” che il personaggio dovrebbe emettere. Più convincente Annett Fritsch nei panni di Zdenka, la quale, abile sia attorialmente che vocalmente, ha condotto con solidità e con voce piena tutta l’opera, con solo qualche piccola imprecisione e una plateale stecca. Ma questa era facilmente dimenticabile, osservandola rendere magnificamente il tormento della ragazza che non può confessare il suo amore all’uomo che ama e cerca di sublimarlo nel proprio sacrificio (evitato), volto alla felicità tanto di Matteo quanto della sorella. Bene la Adelaide di Judith Schmid, che si è fatta apprezzare anche nel suo flirtare con i pretendenti della figlia, e meno bene il Conte Waldner di Michael Hauenstein. Questi è riuscito sicuramente nell’aspetto più comico (in quell’umorismo tutto austriaco che ha fatto gorgogliare molte signore intorno a me), ma quando si trattava poi effettivamente di cantare, la voce usciva a fatica e Hauenstein buttava subito su un caricaturale un po’ di salvataggio. Molto bene Pavol Breslik, che è riuscito ad affrontare una parte tenorile di Strauss (Matteo) e uscirne vivo. Anche Matteo è soggetto all’isteria viennese che controlla tutti i personaggi e il tenore è riuscito a rendere il carattere appassionato fino alla malattia del giovane ufficiale. Aleksandra Kubas-Kruk è una accettabile Fiakermilli, Zerbinetta tirolese tutta sensi che si contrappone alla più seria Arianna/Arabella. Il carattere da locandiera di provincia c’era tutto, la voce per percorrere i vertiginosi salti e i pirotecnici squilli un po’ meno. Bene i tre pretendenti Nathan Haller (Elmer), Yannick Debus (Dominik) e Brent Michael Smith (Lamoral), così come gli altri comprimari. Nessuno di sensazionale, ma hanno tutti svolto bene la loro parte. In tutto il cast era veramente notevole la preparazione attoriale, grazie alla quale ognuno si muoveva con estrema disinvoltura sul palco. Questo ha permesso anche a Jacquelyn Wagner di avere una rete di sicurezza su cui atterrare, tra i volteggianti valzer di quest’opera.

Buona anche la direzione di Markus Poschner, capace di lanciare una irriducibile Philharmonia Zürich verso gli svettanti virtuosismi cui Strauss sottopone i suoi sventurati esecutori, ma anche di godere delle incredibili preziosità di orchestrazione che il compositore spiega a piene mani anche in questa partitura. In particolare, la dichiarazione d’amore tra Arabella e Mandryka, con il loro primo bacio, è riuscita veramente a fermare il tempo, complici anche le studiatissime luci di Carsen e Peter van Praet. Per il resto, una prova abbastanza di routine, un po’ affaticata e un po’ disuguale in alcuni passaggi di insieme, ma godibile. Pubblico contento e soddisfatto, anche se non con l’entusiasmo del concerto al mattino (con Noseda e Janine Jansen) e del Rheingold della sera prima. Viste le condizioni e la perdita della protagonista, però, anche in questo caso l’Opernhaus ha portato a casa un risultato ben superiore alle prospettive.

Alessandro Tommasi
(15 maggio 2022)

La locandina

Direttore Markus Poschner
Regia Robert Carsen
Scene e costumi Gideon Davey
Luci Robert Carsen, Peter van Praet
Coreografia Philippe Giraudeau
Drammaturgia Ian Burton, Kathrin Brunner
Personaggi e interpreti:
Graf Waldner Michael Hauenstein
Adelaide Judith Schmid
Arabella Jacquelyn Wagner
Zdenka Anett Fritsch
Mandryka Josef Wagner
Matteo Pavol Breslik
Graf Elemer Nathan Haller
Graf Dominik Yannick Debus
Graf Lamoral Brent Michael Smith
Die Fiakermilli Aleksandra Kubas-Kruk
Eine Kartenaufschlägerin Irène Friedli
Ein Zimmerkellner Alejandro Del Angel
Welko Cheyne Davidson
Djura Mentor Bajrami
Jankel Nick Lulgjuraj
Philharmonia Zürich
Chor der Oper Zürich
Statistenverein am Opernhaus Zürich
Maestro del coro Ernst Raffelsberger

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