Trieste, Teatro “Verdi”: “Tosca”

Trieste, Teatro Lirico Giuseppe Verdi – Stagione lirica e di balletto 2022
“TOSCA”
Opera lirica in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
dall’omonimo dramma di Victorien Sardou.
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca MARIA JOSÉ SIRI
Mario Cavaradossi  MIKHEIL SHESHEBERIDZE
Il barone Scarpia ALFREO DAZA
Cesare Angelotti CRISTIAN SAITTA  
Il sagrestano DARIO GIORGELÈ
Spoletta  MOTOHARU TAKEI
Sciarrone  MIN KIM
Un carceriere  GIULIANO PELIZON

Un pastore  MARIA VITTORIA CAPALDO
Orchestra Coro e Tecnici della Fondazione
Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Direttore Christopher Franklin
Maestro del coro Paolo Longo
I Piccoli Cantori della Città di Trieste
diretti da Cristina Semeraro
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Luci Valerio Alfieri
Allestimento Fondazione Teatro Comunale di Bologna
Trieste, 6 marzo 2022
Si tratta di un titolo molto amato, per la cui ripresa il teatro  si è affidato, come già fece poco più di quattro anni fa, ad Hugo de Ana, che adatta al palcoscenico triestino lo spettacolo da poco andato in scena al Comunale di Bologna. Diciamo subito che questa volta il lavoro del regista, scenografo e costumista è sembrato meno convincente del solito, caratterizzato da una marcata autocitazione, con elementi già visti, come i video  che accompagnano la narrazione; la processione dei prelati del Te Deum, quasi una cifra stilistica;  la croce ed i frammenti di statua sperimentati in Arena. Sono mancati, a parte alcuni momenti realmente riusciti come l’uccisione di Scarpia e la ricerca concitata del lasciapassare, il pathos autentico  ed il coinvolgimento nella narrazione drammatica, che a tratti è sembrata scontata ed inficiata da una certa maniera attoriale. Cavaradossi che dorme prima di essere fucilato, Tosca che canta Vissi d’Arte fuori dal salone  dove ucciderà Scarpia, certe citazioni pittoriche, il buio incombente,   sono risultate scelte di difficile comprensione. Forse questo risultato parziale è in parte dovuto all’obbligo di doversi  confrontare con le nuove esigenze teatrali legate al covid, con un cambio sia degli spazi che del peso sonoro, ulteriormente penalizzato dalla presenza costante di un velario per le proiezioni, che probabilmente  ha penalizzato la resa di alcuni degli interpreti e sicuramente marcato il senso di distanza fra palcoscenico e platea.
Il direttore Christopher  Frankiling, più volte ospite del teatro triestino, ha offerto una  lettura non sempre omogenea, con momenti di raffinata suggestione che si alternavano ad altri piuttosto concitati. Difficile anche l’equilibrio dei volumi, con un secondo atto nel quale il suono della recita in lontananza di Tosca risultava preponderante sulle vicende che si svolgevano a Palazzo Farnese.Sembra che la volontà di cesellare certi passaggi  abbia fatto perdere di vista la visione complessiva ed è un peccato, visto il lavoro che il direttore ha fatto  sui cantanti, che sono stati guidati con mano sicura ed efficace.
Dal punto di vista delle voci, luci ed alcune ombre. Convince solo in parte lo Scarpia di  Alfredo DazaIl baritono messicano tratteggia la figura di un uomo elegante, controllato, al posto del barone tracotante e compiaciuto della propria potenza che Puccini tratteggia con sagacia. Emerge anche qualche limite di peso vocale che  non gli permette di emergere in come il Te Deum che chiude il primo atto. Mikheil Sheshaberidze (Mario Cavaradossi). La voce è solida in tutti i registri, in particolare in quello acuto esibito con una certa spavalderia. Un dettaglio, questo, che ci fa capire che Sheshaberidze ha fatto prevalere il cantante sul personaggio. Ne esce così un Cavaradossi dal fraseggio generico, povero di colore e teatralmente poco credibile. Emblematica la sua interpretazione di “E lucean le stelle”, affrontata muscolarmente, d’impeto. Certo ottiene l’apprezzamento del pubblico, ma di certo non ha emozionato. La terna dei protagonisti è completata da Maria Josè Siri (Floria Tosca) l’assoluta trionfatrice della serata. La sua è una prova maiuscola: morbidezza unita a pienezza e omogeneità nei registri, con acuti luminosissimi. A questa sicurezza vocale la Siri ha unito un’interpretazione intensa, supportata da un’ampia gamma espressiva. Una prova che fa entrare la Siri a pienissimo diritto nel ristretto numero delle grandissime interpreti di questo ruolo.
Per questo
spettacolo ha potuto contare su un’ottima compagine anche nelle parti di fianco, nessuno escluso e  questa non è cosa comune. Cristian Saitta è stato un solido Angelotti,  capace di trovare le giuste sfumature per quello che di fatto è l’elemento scatenante della storia. Perfettamente  in parte, sia scenicamente che vocalmente, lo Spoletta di Motoharu Takei, che ha messo in evidenza uno strumento vocale sempre più interessante.Min Kim è uno Sciarrone in parte e Giuliano Pelizon, il carceriere, è sempre una presenza affidabile. Un discorso a parte merita Dario Giorgelè, che costruisce un cameo per il ruolo del Sacrestano, evitando manierismi su un ruolo nel  quale era evidente il lavoro di de Hana, ma mostrando ancora una volta una affidabilità  vocale unita a una naturale disivoltura scenica. Il coro del Verdi, diretto da Paolo Longo, ha eseguito una buona prova, ma certamente la soluzione scenica individuata per il finale del primo atto non lo ha gratificato. Piacevolissima la prova dei sempre bravi Piccoli Cantori della Città di Trieste, diretti da Cristina Semeraro, che ha preparato anche le due giovani interpreti che si alternano nel ruolo del pastore: Isabella Bisacchi e Maria Vittoria Capaldo. Alla fine abbondanti applausi per tutti e meritato trionfo per la Signora Siri, acclamata dal numeroso pubblico.