A Salisburgo il talent show di Tempo e Disinganno

Nel 1707 Händel giungeva a Roma da Halle – fuggendo da un padre che lo avrebbe voluto giurista e che gli aveva proibito, fortunatamente disatteso, lo studio della musica –  con all’attivo due opere già rappresentate e l’idea di metterne in scena una nuova; disgraziatamente non aveva tenuto conto delle “restrizioni” di papa Innocenzo XI Odescalchi controriformista di ferro, che all’epoca ancora perduravano.

Coniugando il senso pratico tedesco all’ inventiva italiana – e con l’appoggio determinante di cardinali illuminati come Benedetto Pamphilij e Pietro Ottoboni – il Sassone aggirò l’ostacolo componendo un oratorio profano in cui sono contenute tutte le caratteristiche di un’opera teatrale, come del resto saranno i suoi oratori a venire, su libretto del Cardinal Pamphilij e rappresentato privatamente con l’orchestra, la più sontuosa operante a Roma in quel periodo, del Cardinal Ottoboni: nasceva così il Trionfo del Tempo e del Disinganno.

Il genio sta nell’aver realizzato un oratorio didascalico-morale mantenendo però una struttura fortemente teatralizzata; una messa in scena senza scene, di meravigliosa pregnanza drammaturgica, con recitativi stringati e arie con strumento obbligato che non contravvengono al dettato della musica sacra ma strizzano inevitabilmente l’occhio a quella profana.

Robert Carsen fa dell’”oratorio” hendeliano – avvamendosi della geniale drammaturgia di Ian Burton – una parabola moderna in cui Bellezza è la vincitrice di un talent show del tipo “Next top model” i cui giurati sono l’arrembante Piacere e i quasi talari Tempo e Disinganno. La protagonista si ritrova combattuta tra le lusinghe del Piacere che la trascina in un mondo effimero e omologato fatto di sarti e truccatori, tra discoteche, “amici” plaudenti e incontri effimeri e i consigli – anche sottoforma di sedute psicoanalitiche – di Tempo e Disinganno.

Alla fine Piacere cede le armi anche perché ha già una lunga schiera di “Bellezza” pronta a seguirla e la protagonista esce dalla porta di fondo di un palcoscenico ormai vuoto incamminandosi, probabilmente, verso una vita reale.

Funziona tutto – Carsen è forse il più grande regista d’opera attualmente in carriera – grazie anche ad un impianto scenico realizzato “per sottrazione” da Gideon Davey che cura anche i costumi, alle luci che strizzano l’occhio alle ombre pensate dallo stesso regista e da Peter van Praet e alle coreografie perfette e ironicissime di Rebecca Howell, oltre che per i video di rocafilm in cui vediamo l’antefatto del talent.

Teatro vero, insomma, in cui tutto è coerente ed ogni cosa è perfettamente in linea con l’idea di fondo, vivo e meditato oltre che parecchio divertente.

Alla parte visiva corrisponde plasticamente un’esecuzione musicale che rasenta il sublime. Gianluca Capuano, alla testa degli impeccabili Musiciens du Prince-Monaco, ha il raro dono della sincerità del suono e la capacità di suggerire senza imporre; il suo Trionfo è un lavoro di filigrana, fatto di trame trasparenti, di accenni, di atmosfere sospese eppure sempre ricco di densità drammatica.

Formidabile il quartetto dei protagonisti. Mélissa Petit è Bellezza palpitante di mille dubbi, divisa tra l’immediato ed il futuro, il tutto poggiato su una linea di canto fulgida ed un fraseggio sempre meditato cui si aggiungono agilità facili e acuti luminosi.
Per Cecilia Bartoli – padrona di casa del Festival di Pentecoste e quest’anno impegnata in tre produzioni d’opere e un concerto – non ci sono aggettivi che bastino, alla faccia dei suoi detrattori: il suo Piacere è un capolavoro di fraseggio e di colori; “Lascia la spina” quasi sussurrato, eco di malinconie lontane, risuonerà a lungo nei ricordi di chi l’ha ascoltata. La Bartoli, trentaquattro anni di carriera ha il sommo potere di divertirsi facendo musica e la capacità di trasmettere il tutto al pubblico; vi sembra poco?

Lawrence Zazzo, al netto di qualche portamento di troppo, si conferma interprete di vaglia disegnando un Disinganno tanto dolente quanto propositivo mente l’inossidabile Charles Workman è Tempo di accattivante musicalità oltre che padrone di tecnica sopraffina.

Trionfo di pubblico; non avrebbe potuto essere altrimenti e ovazioni per Bartoli, Pétit, Capuano e Carsen. Il Trionfo, sarà replicato al prossimo Festival estivo, ergo non ci sono scuse per mancare l’appuntamento.

Alessandro Cammarano
(23 maggio 2021)

La locandina

Direttore Gianluca Capuano
Regia Robert Carsen
Scene e costumi Gideon Davey
Luci Robert Carsen, Peter Van Praet
Drammaturgia Ian Burton
Coreografia Rebecca Howell
Video rocafilm
Personaggi e interpreti:
Bellezza Mélissa Petit
Piacere Cecilia Bartoli
Disinganno Lawrence Zazzo
Tempo Charles Workman
Les Musiciens du Prince-Monaco

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