PARMA. Pelléas et Mélisande di Debussy era il titolo scelto dal Regio per inaugurare la sua programmazione per Parma capitale italiana della Cultura nel ‘20-’21. Ovviamente la pestilenza si è messa di traverso, l’opera è per il momento morta, idem la cultura, che già in Italia non si sentiva troppo bene. E tuttavia ci si prova comunque: a Parma lo spettacolo l’hanno montato lo stesso, domenica scorsa, senza spettatori a parte i soliti privilegiati della kasta (però no, non ci hanno fatto il vaccino come a Scanzi). Sarà trasmesso da Rai Cultura su Rai5 il 22 aprile. Solite regole antiCovid: orchestra distanziata e mascherata in platea, spettacolo sul palco e sala deserta. Peraltro, conoscendo un po’ il pubblico di Parma, non credo che per Debussy sarebbe stato necessario transennare la biglietteria.

Comunque, in tivù (e sulla solita preziosa RaiPlay) non perdetevi questo Debussy: musicalmente, è molto bello. Intanto, l’Orchestra Toscanini suona benissimo; e benissimo dirige Marco Angius, fortunatamente senza accodarsi alla tradizione esecutiva francese che rende questa musica ancora più flou ed evanescente di quanto non sia. Al contrario, Angius sottolinea i contrasti, dà contorni netti alle non rare aperture melodiche e in generale fa teatro in un’opera che troppo spesso viene letta come una specie di fragile cantata da maneggiare con cautela. 

La compagnia è dominata da Monica Bacelli. La voce è alquanto usurata: e tuttavia Bacelli, da artista vera, riesce a fare di questo limite un atout, disegnando una Mélisande preda di un taedium vitae di cui la morte è conseguenza, si direbbe, attesa, anzi auspicata fin dall’inizio. Già nel ‘15, a Firenze con Gatti, Bacelli era stata interessantissima: qui la sua interpretazione si è ancora affinata e raffinata, e pazienza per qualche suono malfermo. Che però il cast sia stato scelto con attenzione è confermato dal contrasto fra i due baritoni, chiarissimo, giovanile e quasi tenorile il timbro di Philipp Addis, Pelléas, più scuro, robusto e corposo quello di Michael Bachtadze, Golaud. Vincent Le Texier fa Arkel: anche lui appare un po’ affievolito ma è sempre molto autorevole, provocando semmai il solito guaio del madrelingua che fa risultare alieno il francese altrui (però rispetto alla solita ridicolaggine del francese cantato dai non francofoni, qui l’effetto è sembrato meno stridente. Poiché non credo che il merito sia della tipica «erre» locale, vuol dire che la compagnia è stata ben preparata). A postissimo anche Enkelejda Shkoza, Geneviève, Silvia Frigato, Yniold, e il notevole Medico di Andrea Pellegrini.

Lo spettacolo è griffato in toto, regia scene e costumi, dalla coppia franco-canadese Barbe & Doucet. Da vedere, è molto bello: piscinone centrale che occupa gran parte della scena, piscinino al proscenio, prato-praticabile centrale, alberi e castelli che scendono dal soffitto e da cui sbucano lunghe radici che diventano i capelli di Mélisande nella famigerata scena di lei alla finestra, dove quasi sempre viene da ridere. Il riferimento è allo spiritismo tardottocentesco, una mania molto diffusa anche fra le élite intellettuali. Ma forse sono già morti anche gli inquilini del regno di Allemonde, una Toteninsel dove tutti hanno i capelli bianchi, compreso il giovin signore Pelléas (quanto a Golaud, ha bianco anche il barbone e sembra davvero Babbo Natale). Per il resto, si va molto dentro e fuori dall’acqua, un pediluvio generalizzato che ricorda il celebre Lohengrin «di» Guth alla Scala (di tutt’altro livello, però). Questo Pelléas è il genere di spettacolo elegante e raffinato che in Italia piace moltissimo. Sommessamente, ci sembra che in realtà manchi un’idea registica vera, una chiave interpretativa forte che non sia la semplice illustrazione del datatissimo testo di Maeterlinck, che così finisce per svelare ancor di più le sue debolezze e svagatezze. Prima fra tutte, quella di dare l’impressione che Allemonde sia il Paese delle meraviglie, popolato da Alici perennemente stupefatte per le scoperte più banali, tipo che sì, pensa un po’, chi l’avrebbe mai detto?, l’acqua è davvero bagnata.  

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