“Siegfried” al Teatro Real di Madrid

Madrid, Teatro Real, Temporada 2020-2021
“SIEGFRIED”
Seconda giornata in tre atti del Festival scenico-sacro Der Ring des Nibelungen
Testo e musica di Richard Wagner
Mime ANDREAS CONRAD
Siegfried ANDREAS SCHAGER
Der Wanderer TOMASZ KONIECZNY
Alberich MARTIN WINKLER
Fafner JONGMIN PARK
Stimme des Waldvogels LEONOR BONILLA
Erda OKKA VON DER DAMERAU
Brünhilde RICARDA MERBETH
Orquesta Titular del Teatro Real
Direttore Pablo Heras-Casado
Regia Robert Carsen
Scene e costumi Patrick Kinmonth
Luci Manfred Voss
Produzione Oper Köln
Madrid, 25 febbraio 2021
Di tutta la Tetralogia wagneriana nella versione scenica di Robert Carsen, Siegfried potrebbe essere la giornata più efficace e formalmente unitaria, se non fosse per la scena iniziale del III atto, ambientata nel salotto del Walhall (giusta la struttura del II atto di Die Walküre), nel corso della quale Erda lava il pavimento, facendo attenzione a non rovinare i mobili e le suppellettili già imballate per l’imminente trasloco (o meglio, per l’inevitabile catastrofe). Le scene assolutamente statiche, corrispondenti a ogni atto, offrono uno spazio adeguato allo sviluppo dell’azione, anche grazie all’uso – sempre molto efficace – delle luci. Simbologia e ironia si intrecciano, anche se il tema principale della regia di Carsen (il degrado che la natura soffre a causa dell’uomo) in questa giornata non è così evidente; restano piuttosto nella memoria la gigantesca benna di draga che dà corpo a Fafner o l’ultima comparsa di Mime, abbigliato da maggiordomo, straccione e goffo. La stagione in corso del Teatro Real di Madrid offre per il terzo anno consecutivo l’appuntamento con la Tetralogia, inevitabilmente diluita in uno spazio temporale di quattro anni; ma è già molto che questo titolo si sia potuto conservare, a dispetto di tutte le circostanze contrarie. Sul versante musicale, soltanto il direttore d’orchestra e gli interpreti di Der Wanderer e Brünhilde sono già comparsi nei due titoli precedenti; gli altri cantanti sono tutte nuove acquisizioni. Lo spettacolo riscuote l’apprezzamento incondizionato del pubblico madrileno, che – pur nel numero ridotto delle presenze per motivi sanitari – ha seguito con molta attenzione i tre atti, intervallati da due brevi pause al fine di ridurre al massimo la permanenza all’interno del teatro, e applaudito con intensità alla fine. Se la regia non offre alcuna novità rispetto al passato (a parte la distanza di sicurezza tra i cantanti, che rende molto astratto il duetto finale), l’esito musicale non ha soddisfatto le aspettative suscitate dalle parti precedenti. La direzione di Pablo Heras-Casado è, infatti, al tempo stesso interessante e curiosa; da un lato molto analitica, attenta a porre in risalto tutti i disegni e le forme della scrittura wagneriana, dall’altro incapace di evitare frequenti difetti o sprezzature, diffusi in quasi tutte le famiglie dell’Orquesta Titular del Teatro Real (ma in particolare negli ottoni e nei fiati). Purtroppo ogni difetto si percepisce più del solito, perché ogni gruppo strumentale è, per così dire, messo a nudo: il rispetto delle disposizioni sanitarie ha obbligato a schierare parte degli ottoni e delle percussioni nei palchi laterali del primo ordine, per aumentare le distanza tra i singoli strumentisti. La rarefazione delle posizioni degli orchestrali amplifica così il problema della tenuta del suono, che risulta quasi sempre segmentato; è l’effetto opposto a quello che Wagner ricercava, ossia di un suono compatto e unitario che emergesse dal “golfo mistico”. Ma, tant’è: anche la dissoluzione dell’unità orchestrale è una conseguenza della pandemia, sebbene il difetto della disomogeneità diventi insopportabile ad apertura del III atto, proprio laddove sarebbe necessario far percepire l’evoluzione della scrittura (visto che tra II e III atto di Siegfried si collocano la composizione di Tristan und Isolde e dei Meistersinger von Nürnberg). Heras-Casado, al contrario, insiste su sonorità dal dosaggio fragoroso e gerarchie interne dei motivi e dei disegni davvero poco comprensibili. Andreas Schager è uno dei tenori wagneriani dalla carriera più articolata degli ultimi anni: ha cantato praticamente tutti i personaggi ritagliati su questo registro e nelle sedi teatrali più prestigiose (dalla Scala, dove fu Siegfried nella Götterdämmerung della Tetralogia completa nel 2013, a Bayreuth nel 2019, dove fu molto apprezzato come Parsifal). Un tempo la sua si sarebbe detta una voce “generosa”, per l’abbondanza dell’emissione e la predilezione per un canto dispiegato; oggi, questo tipo di sicurezza e solidità vocale si sviluppa anche a discapito del fraseggio e del porgere. In effetti, quasi ogni clausola di frase risulta aperta, come per uno sfogo verso l’alto che si ripete troppe volte; inoltre, sulle corone l’emissione indulge a micro-portamenti di dubbio gusto. Forse anche questo è indice di non perfetta gestione dell’emissione acuta; la puntatura del finale I, infatti, resta come schiacciata in gola. L’incontro con la femminilità di Brünhilde non produce nessun cambiamento emozionale nel personaggio: Schager continua a cantare a fiato spiegato, senza mai permettersi una mezza voce o un accento di umano smarrimento. Per certi aspetti è analoga l’impostazione vocale del basso baritono polacco Tomasz Konieczny, interprete di Der Wanderer, a continuazione del Wotan della prima giornata dello scorso anno; come si ebbe a dire in quell’occasione, Konieczny è un Wotan di indubbia resistenza e fermezza vocale, nonostante la qualità non eccezionale della voce; anche in questo caso, si disimpegna molto bene, soprattutto nel dialogo del I atto con Mime. Anche il soprano che dà voce a Brünhilde ritorna a Madrid esattamente un anno dopo Die Walküre, per risvegliarsi nel III atto di Siegfried e abbandonarsi all’ingenua passione del protagonista: Ricarda Merbeth è una grande professionista del repertorio wagneriano, ma tutti i dubbi sull’adeguatezza della sua voce alla tessitura di Brünhilde potrebbero essere di nuovo ripetuti adesso; in più, un vibrato largo molto percepibile, dovuto all’incipiente usura della voce, spesso compromette l’emissione del suono e la sua fruizione. Voce più compatta, ma dal registro come spezzato in due, a seconda dell’altezza, ha l’Erda di Okka von der Damerau. Il Mime  di Andreas Conrad è invece magnifico sotto ogni punto di vista: la sua linea vocale è certamente quella più variegata dell’intera compagnia, potendo gestire l’emissione lamentosa, insinuante, stizzita, entusiasta, senza soffrire alcun difetto di tenuta, proiezione o registro. Corretto, ma privo di personalità vocale originale, l’Alberich di Martin Winkler, mentre il basso coreano Jongmir Park è un ottimo Fafner. Incontrollata nell’emissione, tutt’altro che dolce o armoniosa, anzi dal trillare quasi nevrastenico, la voce dell’uccellino del bosco di Leonor Bonilla. La prestazione complessiva dei cantanti è buona, anche se quasi tutti accusano qualche difetto, specialmente quando si tratta di valutare la profondità di lettura del personaggio. Non è certo colpa loro se il direttore a volte li sommerge con sonorità orchestrali eccessive; al contrario, le limitazioni nell’uso dei colori, delle sfumature, delle mezze voci, insomma del fraseggio generale e dell’espressività del complesso testo wagneriano, possono sempre trasformarsi in occasione di miglioramento. È un auspicio necessario, in vista della Götterdämmerung che suggellerà il ciclo madrileno il prossimo anno.   Foto Javier del Real © Teatro Real de Madrid