Teatro San Carlo, l'Aida seduce il Plebiscito ma Kaufmann non brilla

Teatro San Carlo, l'Aida seduce il Plebiscito ma Kaufmann non brilla
di Stefano Valanzuolo
Mercoledì 29 Luglio 2020, 08:00
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Eviteremo di fare confronti tra la «Aida», che ha debuttato ieri, e la «Tosca» di una settimana fa, sempre targata San Carlo, sempre in piazza del Plebiscito. Sono proposte diverse accomunate, in generale, dalla straordinaria popolarità di cui godono i titoli e, nel caso specifico, dalla presenza di cast stellari. Parlando di «Aida», il motivo di attrattiva principale, sulla carta, coincide con la presenza di Jonas Kaufmann, che ai fan napoletani si sta regalando un po' alla volta, alimentando attese e passioni: tre anni fa un concerto di canzoni, quindi un recital classico, a Caserta; e adesso «Aida» (sia pure in forma d'oratorio e all'aperto), che è specialità della ditta. Il prossimo passo sarà vederlo, finalmente, in teatro, in abiti di scena. Per ora, comunque. è un bel sentire. Il suo Radames, collaudato, gronda eroismo: il fraseggio sa essere elegante, l'uso a tratti ardito del chiaroscuro dona enfasi drammatica ad un timbro sul quale spicca - con naturalezza indotta dalla tecnica di canto - lo squillo che seduce. Il controllo dello strumento permette a Kaufmann di limitare i danni all'inizio dell'opera, inopinatamente segnato da affanni, e di gestire con grazia il finale, nonostante l'umidità della piazza rischi di increspare leggermente la chiarezza dello sfumato suadente. Una performance importante, quella del cantante tedesco, affiancato, nella circostanza da due voci femminili di almeno pari pertinenza e valore, al di là del dislivello mediatico. Anna Pirozzi, nel ruolo del titolo, si conferma esemplare per espressività, eleganza della resa vocale e agilità: certi filati suscitano sincera emozione, ma tutta la zona centrale risulta omogenea e piena, senza sforzo. Magnifica Anita Rachvelishvili, tra le migliori Amneris oggi in circolazione: l'ampiezza di registro, la disinvoltura con cui modula lo strumento, la personalità interpretativa sono da fuoriclasse, così come la capacità di ricavare colori estremi, torbidi e teatrali, che sarebbero piaciuti tanto a Verdi.

Tutto il cast vocale, comunque, merita applausi: da Claudio Sgura, esperto Amonasro, a Selene Zanetti, la Sacerdotessa: senza dimenticare Roberto Tagliavini (Ramfis), Fabrizio Beggi (il Re), Gianluca Floris (il Messaggero)
 

 

Molto efficace il lavoro svolto dal direttore musicale Michele Mariotti, il quale ottiene un'esecuzione pulita e calibrata dall'inizio alla fine: risultato non scontato tenuto conto del peso della partitura e delle insidie della grande piazza amplificata. Colpisce, su un piano più dettagliato, la maniera in cui il direttore restituisca all'ascolto momenti di notevole spessore teatrale, seguendo da presso la linea di canto e rilevando in musica, con soluzioni spesso inconsuete, la sublime indagine psicologica verdiana che illumina specialmente il terzo atto e trova coronamento inarrivabile nel finale, disegnato quasi per sottrazione, attraverso il racconto dell'essenziale, invisibile agli occhi ma mai alle orecchie. L'Orchestra del San Carlo, consegnata dal podio (come già in «Tosca») ad un ruolo protagonistico, suona assai bene: compatta, precisa, senza sbavature né derive ridondanti.

Il tipo di microfoni (ad asta e non ad archetto come sei giorni fa) un po' complica l'amplificazione, specie nei momenti d'assieme, talora appiattiti (come nel pur solenne finale secondo) in un generico forte. Né i brusii di fondo della notte d'estate contribuiscono a tessere una trama discreta. Ma, giova ribadirlo, sono bravi i molti protagonisti in scena - e nel novero, ovviamente, rientra anche il coro, preparato da Gea Garatti Ansini - a far emergere e prevalere la straordinaria materia musicale verdiana su ogni altro elemento, persino di disturbo. Così che la dimensione oratoriale dello spettacolo, ottenuta rinunciando a qualsiasi movimento scenico (e cantando a leggio), non generi diffidenza ma, anzi, contribuisca a tenere alta la concentrazione su ciò che conta di più. Applausi frequenti, ogni tanto intempestivi, con apprezzamenti calorosi del pubblico (non foltissimo) nei confronti dei tre protagonisti e (anche) dell'orchestra per Mariotti. Si replica venerdì.

Stasera, intanto, gli amanti della musica classica si trasferiscono a Villa Rufolo, dove il festival di Ravello sfoggia Valery Gergiev che dirige l'orchestra del Mariinsky, o alla reggia di Carditello, dove Juraj Valcuha dirige l'orchestra e il coro del San Carlo, con il soprano Maria Agresta, il mezzosoprano Daniela Barcellona, il tenore Antonio Poli e il basso Roberto Tagliavini. 

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