L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Rataplan, circo e marinai

 di Luigi Raso

La Fille du règiment apre la stagione del Verdi di Salerno all'insegna del divertimento, con Gilda Fiume e Shalva Mukeria sfavillanti protagonisti.

SALERNO, 12 aprile 2019 - Sospesa tra genuino melodismo italiano e raffinatezze musicali francesi, La fille du règiment è un condensato di brio, vitalità, eleganza; una spruzzata di essenze francesi su un elegante abito di sartoria italiana. È il Rossini del Comte Ory ad aleggiare sornione nel terzetto "Tous les trois rèunis", ma non mancano nella partitura anticipazioni delle squisite melodie di Jacques Offenbach. Il risultato è, dunque, un’opéra comique raffinata, dalla ritmica esasperata, militaresca, con un sapiente e gustoso utilizzo dei mezzi parodistici (la lezione di canto di Marie che apre l’Atto II), dall’andamento piacevolmente danzante.

Caratteristiche, queste, che si ritrovano nel garbato e delizioso allestimento firmato da Riccardo Canessa e con il quale si inaugura la Stagione Lirica, di Balletto e di Concerti 2019 del Teatro Verdi di Salerno. L’azione è posposta a fine ‘800; il primo atto è ambientato nel porto di Salerno, che pullula di marinai e scaricatori; il secondo atto nel circo di cui è titolare la marchesa di Berckenfield, con tanto di artisti circensi, acrobati e mangiatori di spade.

Il ritmo teatrale corre rapido tra scoppiettanti pezzi musicali e dialoghi in francese, sfoltiti e parzialmente riscritti (Tonio diventa un ragazzo salernitano); per quel possono concedere le ridotte dimensioni del palcoscenico del teatro Verdi, non mancano piccole parate militari, giocose sessioni di boxe tra Marie e Sulpice, numeri d’acrobati all’interno del circo che è un tripudio di colori, in cui ben si fondono le scene e i costumi di Flavio Arbetti, improntati a colori sgargianti.

Un movimento ininterrotto, speculare alla generale cifra “ballabile” dell’opera, si fa strada sin dalla sinfonia, corredata dalla coreografia, di Pina Testa, coerente con l'ambientazione del primo atto: sei piccoli marinai ubriachi, appena scesi dalla nave, continuano a bere.

La connotazione briosa e danzante della messinscena trova un’eco sonora nella concertazione pulita, precisa e spumeggiante di Antonello Allemandi che imprime vivacità e humor all’intera partitura, esaltando senza eccedere le sonorità militaresche e fortemente percussive. L’orchestra, la Filarmonica salernitana “Giuseppe Verdi”, è in buona forma e si mostra strumento duttile e preciso nell’accompagnamento degli elegiaci cantabili di cui è farcita la partitura, e compagine ben organizzata nei più arroventati episodi d’insieme e corali dalla ritmica marcata e scoppiettante o soavemente accennata. Supera la prova anche il coro, diretto da Tiziana Carlini: sicuro e preciso, dal suono rotondo e poderoso, soprattutto per il settore maschile.

E in questo contesto musicale a fare da ciliegine sulla torta di uno spettacolo riuscito, divertente e ben costruito, ci sono i protagonisti.

La Marie di Gilda Fiume non fa che confermare le doti vocali e artistiche della giovane artista campana, ora ben più che promessa della lirica. Il timbro è affascinante e puro, omogeneo, ricco di armonici, corposo nell’intera tessitura. La linea di canto pulita, il legato ottimo e ben sostenuto dal fiato: basta ascoltare l’articolazione di poche frasi musicali, la preparazione di qualche acuto e sovracuto (luminoso e pieno quello nel finale!) per rendersi conto che gli insegnamenti di Mariella Devia hanno dato ottimi risultati. Risulta, infatti, precisa, timbrata e con giusta indole battagliera negli acuti di "Chacun le sait, chacun le dit"; languida e melanconica nel sublime e “donizettianissimo” "Il faut partir". Spigliata in scena, Gilda Fiume offre, inoltre,  un’incisiva e convincente parodia nella scena della lezione di canto che apre il secondo atto, laddove la tecnica vocale le consente di emettere una voce artefatta, con tutte note fisse dall’esito estremamente divertente.

Eccellente anche il Tonio di Shalva Mukeria, tenore georgiano e spagnolo d’adozione, che padroneggia con estrema sicurezza la parte sparando una girandola di do (e in tono!) in un "Ah! mes amis", cantato con veemenza, ardore, perfetto appoggio e proiezione del suono, linea di canto composta e sobria e con una gestione del registro acuto sbalorditiva per solidità e intonazione. Le doti espressive emergono ancor più di più nella romanza del secondo atto "Pour me rapprocher de Marie", laddove l’abbandono al canto lirico, pur con la puntatura ben sfumata, arricchisce il fraseggio e la corposità timbrica. Una prova, quella di Mukeria, che fa del tenore georgiano uno degli interpreti di riferimento di Tonio dei nostri giorni, e che conferma il recente successo riscosso a Trieste nei panni del giovane tirolese (qui, per l’occasione, diventato salernitano).

Sprizza simpatia, bontà e affetto paterno il Sulpice di Filippo Morace, sempre ben cantato, e al quale il genio di Donizetti non destina un’articolata aria; eppure nel terzetto "Le jour naissant dans le bocage" Morace è perfetto nell’instillare in Maria la nostalgia per il “papà reggimento” con quel sussurro insinuante di "Rataplan! rataplan!": la prova che possono bastare anche poche frasi musicali, purché cesellate con intelligenza e musicalità, per illuminare ruoli non destinatari di grandi gemme musicali. L’esperienza teatrale del basso baritono napoletano è evidente anche nella recitazione, nel duello a boxe con Marie e in tutti i parlati, padroneggiati con francese eccellente.

Perfettamente aderente alla parte, sin dalla sortita del primo atto, la Marquise de Berckenfield di Claudia Marchi, spiritosa e generosa nel secondo atto, come la parte richiede.

L’Hortensius di Claudio Levantino ha voce ben timbrata e spiccata personalità scenica.

Completano il cast degnamente la Duchessa di Giulia Sensati, il caporale di Nicola Ciancio, il paesano di Paolo Gloriante e il musico di Maurizio Iaccarino, il notaio di Alessandro Menduto e il duchino, macchiettistico nel portamento e nei tic, di Giovanni Germano, che sembra uscito da una pochade di Eduardo Scarpetta e nell’abbigliamento e nell’acconciatura sembra alludere al celebre dagherrotipo del 1847 di Donizetti ormai devastato dalla lue e assistito dal nipote.

Il pubblico, folto e partecipe, tributa un convinto successo per tutti, con prolungati applausi finali.

Il motto/hastag del Teatro Verdi di Salerno è #cimuovelapassione: un’inaugurazione di stagione che sprigiona passione da parte di tutti gli artefici dello spettacolo lascia ben sperare per il prosieguo.

foto Massimo Pica


 

 

 
 
 

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