L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Inghiottita dalla folla

 di Luigi Raso

Per la stagione della Royal Opera House, Kát'a Kabanová entusiasma nella nuova produzione di Richard Jones, con la direzione di Edward Gardner e  Amanda Majeski nel ruolo eponimo.

LONDRA, 26 febbraio 2019 - Non sono i flutti del Volga a inghiottire, a conclusione del suo dramma esistenziale, Kát'a Kabanová, ma la folla, quell’insieme di persone meschine e perennemente in movimento che riempie l’opprimente mondo di Káťa: sparisce inghiottita dalla sua gente.

È con questa immagine fortemente suggestiva che si chiude la nuova produzione firmata da Richard Jones per la Royal Opera House di Londra. Una regia dal forte impatto emotivo, imperniata sul movimento costante dei personaggi e delle masse corali, sull’esaltazione fisica dei morbosi e malati rapporti interpersonali tra i protagonisti.

La ambientazione è posposta agli anni ‘60, più o meno centro anni dopo rispetto quella del dramma L’uragano di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij dal quale l’opera di Leoš Janáček è tratta. L’impianto scenico di Antony McDonald è basato su spazi ampi e scarni, evocativi di quel vuoto esistenziale, opprimente e pregno di desolazione, che connota l’intero dramma. A comprimere l’anelito alla libertà di Káťa c’è una sorta di grande scatola in legno, con le pareti nude; a esaltare l’abbandono del marito Tichon, invece, una squallida pensilina e una lussuosa auto; le relazioni simmetriche e notturne delle due coppie, Varvara - Kudrjas e Káťa - Boris, ruotano intorno a una panchina di periferia, sullo sfondo della facciata della casa di Káťa illuminata come un quadro di Magritte.

Quella di Jones è visione registica, nella sua scelta di fondo, coerente dall’inizio alla fine dell’opera, e nella quale il moto perpetuo dei protagonisti e delle masse in scena fa da eco all’intima confusione psicologica della protagonista. Tutta la produzione, assemblata con cura artigianale, anche per il significativo contributo del disegno luci di Lucy Carter e dei movimenti coreografici di Sarah Fahie, è nella sostanza fedele alle intenzioni dell’autore. La tempesta dell’atto III è resa con l’uso massiccio di flash, sparati sul e dal palcoscenico, che investono anche la sala gremita della Royal Opera House: un effetto che contribuisce a coinvolgere ancor di più il pubblico nel dramma.

Uno spettacolo del genere ha senso solo se si hanno a disposizione cantanti che, prima ancora di sapere cantar bene, siano degli ottimi attori: il soprano statunitense Amanda Majeski è un’attrice eccezionale, dal forte impatto scenico, perfettamente integrata nelle intenzioni registiche; emoziona, e tanto, nel monologo della chiave. 

A una regia tanto strutturata e intensa corrisponde anche la direzione musicale di Edward Gardner, raffinatissima, curata in ogni dettaglio, improntata all’esaltazione della tinta elegiaca del dramma, e che tende a smussare le asprezze ritmiche e armoniche della partitura. L’orchestra è sempre precisa, intensa nell’articolazione delle frasi sonore; il suono è rotondo in tutte le sue sezioni; a dir poco perfetto l’equilibrio sonoro tra palcoscenico e buca orchestrale. Una direzione senza sbavature, interrotta soltanto dall’intervallo tra atto II e atto III: se fosse stata proposta - come recentemente accade - l’edizione senza cesura, a giovarsene sarebbe stato il già fluido procedere musicale.

Il coro, diretto da William Spaulding, con i suoi interventi contribuisce a dare il giusto colore alle tinte crepuscolari delineate da Gardner.

Ottimo l’intero cast vocale: la già lodata Amanda Majeski è una Káťa d’intensità vocale pari a quella scenica. Il colore della voce, tendente allo scuro, si integra alla perfezione con quello orchestrale. Voce emessa perfettamente, ben proiettata, compatta nell’intera tessitura. La sua è un’interpretazione della parte di Káťa da manuale, per intensità, precisione e per senso del fraseggio. L’ovazione che il pubblico le riserva alla fine è del tutto meritata.

Il marito Tichon Kabanov è interpretato da Andrew Staples scenicamente goffo come richiede la parte, ma dotato di voce potente, dal timbro fin troppo virile per il personaggio soggiogato dalla figura materna.

Svetta con facilità verso l’acuto il Boris di Pavel Cernoch, credibile scenicamente nella sua baldanza giovanile e vestito con pantaloni a zampa d’elefante: eccellente la sua scanzonata canzone e il duetto con Varvara, una Emily Edmonds vivace, dal timbro giovanile e luminoso.

La Marfa Kabanová di Susan Bickley ha presenza scenica appropriata, ma smalto vocale abbastanza sfuocato e volume non sempre sufficiente, ma che comunque non inficiano un’interpretazione superba della terribile suocera.

Il cast è completato da eccellenti ruoli secondari, tutti integrati musicalmente e scenicamente nel pregevole spettacolo.

Gli applausi finali, da parte di una sala gremita in ogni ordine (e per un’opera sicuramente non tra le più accessibili e popolari del repertorio lirico!) sono scroscianti e prolungati, con vere e proprie ovazioni per la protagonista Amanda Majeski e il direttore Edward Gardner.

foto Clive Barda


 

 

 
 
 

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