L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tutti fan così

 di Luigi Raso

Non convince lo spettacolo firmato da Jan Philipp Gloger per l'opera di Mozart e Da Ponte, così come destano qualche perplessità gli estremi agogici della concertazione di Stefano Montanari. Si apprezzano, invece, nel cast Salome Jicia, Serena Malfi, Serena Gamberoni e Paolo Fanale, affiancati dal Sir Thomas Allen, un Don Alfonso di classe superiore e intramontabile.

Comincia dalla fine e abolendo i confini tra realtà e finzione il Così fan lo spettacolo firmato da Jan Philipp Gloger, già andato in scena alla Royal Opera House nel 2016. Nel finale, quello reale, diventerà Così fan tutti, salvando la reputazione di “tutto il sesso femminino”Sulle note dell’ouverture, infatti, si presentano alla ribalta i personaggi dell’opera in abiti settecenteschi, applauditi da due coppie di amanti - in sala - che saranno i protagonisti dell’opera. Terminata l’ouverture, questi ultimi guadagnano il palcoscenico e il sottile gioco di finzione e seduzione potrà iniziare.

La regia di Gloger e le scenografie di Ben Baur collocano l’azione in ambienti eterogenei: una lussuosa casa con alle pareti quadri di Jean Antoine Watteau nella quale le sorelle Fiodiligi e Dorabella si sparano selfie proprio come due teenagers, una stazione ferroviaria per la partenza di Guglielmo e Ferrando, il Giardino dell’Eden con tanto di serpente tentatore attorcigliato al melo, un coktail bar dove Despina fa da barlady e shakera coktails sin dal primo recitativo. C’è poi un teatro di verzura nel quale si svolge gran parte dell’azione: dove, se non nell’astrazione teatrale, può risultare verosimile la messinscena ordita da Don Alfonso?

Tante ambientazioni non sembrano, però, legate tra loro da un discorso registico coerente e unitario, finendo, invece, per dare l’impressione di trovarsi davanti a distinti bozzetti privi di interconnessione tra loro. Rispetto a recenti regie del Così fan tutte, innovative, tanto originali quanto coerenti come, ad esempio, quella firmata da Graham Vick per il Teatro dell’opera di Roma nel 2017 (leggi la recensione) questa di Glober dista anni luce.

Nel finale Dorabella e Fiordiligi sono due ragazze arrabbiate per essere state l’oggetto della dimostrazione di un teorema da parte di Don Alfonso e dei rispettivi amanti; non mostrano nessun segnale di pentimento, né richiesta di perdono: tutti tradiscono - Così fan tutti sentenziano le lampadine luminose alla fine - vuol dimostrarci il regista, uomini e donne.

A questa visione registica  fanno da complemento i costumi, di per sé belli, di Karin Jud: contemporanei quelli del quartetto di amanti e di Despina, chiaramente settecenteschi quelli di Don Alfonso. Suggestivo, soprattutto nella serenata dell’atto I, l’effetto luci di Bernd Purkrabek per uno spettacolo, tuttavia, complessivamente anodino, privo di un’individuabile idea guida, eccessivamente frammentato nella narrazione.

La direzione di Stefano Montanari alterna scelte dinamiche agli antipodi: vi sono momenti in cui i tempi sono fin troppo stretti e altri, penso a “Un’aura amorosa”, talmente lenti da sfociare in letargismo che compromette non poco la coesione del fluire musicale, scomposto in un susseguirsi di scelte agogiche tra loro eccessivamente contrastanti. L’orchestra è in generale precisa, salvo qualche sbandamento e qualche nota poco pulita dei corni; il suono tendenzialmente leggero, trasparente, graffiante e ironico nell’accompagnamento di “Di scrivermi ogni giorno”.

Quando non dirige, Montanari accompagna anche i recitati al fortepiano, calcando però troppo spesso la mano nella fiorettatura.

Il coro diretto da William Spaulding è tendenzialmente preciso, ma manca di idiomaticità.

Meglio assortito è il cast vocale. Bastano, infatti, poche note e qualche gesto scenico misurato a Sir Thomas Allen per dimostrare di essere ancora, a quasi 75 anni, l’artista dalla personalità musicale magnetica. La sua interpretazione di Don Alfonso è di quelle che si imprimono nella memoria immediatamente; non può certo pretendersi che la voce, alla sua età, sia quella del periodo d’oro, ma la personalità artistica, la musicalità, se possibile, risultano ingigantite dall’avanzare dell’età. La recitazione è curata e analitica come da attore consumato: un capolavoro il suo Don Alfonso, una lezione artistica rara e pregiata.

Paolo Fanale è un Ferrando convincente, con voce ben timbrata e ben proiettata, benché a volte sia messo in difficoltà dai tempi eccessivamente lenti che gli rendono difficoltoso il sostegno del fiato e il fraseggio. Gyula Orendt, nei panni di Guglielmo, ha un’emissione e organizzazione vocale troppo legata alle tecniche esecutive barocche, risultando a tratti legnosa e non sempre messa a fuoco: dal punto di vista scenico, però, il suo Guglielmo è complessivamente efficace.

Ha grande voce, timbrata, omogenea in tutti i registri, dal notevole peso specifico la Fiordiligi di Salome Jicia, che risolve le due arie con precisione e partecipazione, delineando una dama ferrarese che si dimostra ben poco astratta, ma molto femminile. Serena Malfi è una Dorabella dal colore vocale suggestivo e intenso, perfettamente a suo agio nella scrittura vocale: il suo “È amore un ladroncello” è molto ben cantato. La Despina di Serena Gamberoni è un distillato di simpatia e spiritosaggine, piena di verve e arguzia; canta sempre con gusto e senso della parola, con voce di bel colore e penetrante, incanta e diverte il pubblico che la premia con calorosissimi applausi.

Gli spetattori del Covent Garden si divertono e ridono molto (fin troppo!) durante tutto lo spettacolo e alla fine tributano a tutto il cast e il direttore applausi prolungati e calorosi.

foto Stephen Cummiskey


 

 

 
 
 

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