Salisburgo: Orphée danse

Un tradimento da parte di Gluck della riforma del teatro in musica da lui stesso concepita e promossa?

Niente di tutto questo, semplicemente un ripensare la propria estetica in funzione dei gusti del pubblico senza tuttavia venir meno ai propri principi: Orphée et Euydice, terza versione dell’opera – dopo la prima viennese del 1762 e quella di Parma del 1769 – andò in scena il 2 agosto al Palais Royal riscuotendo pieno successo, con buona pace dei sostenitori di Rameau e Lully che ne avevano preconizzato a torto il fiasco, riaccendendo l’interesse, che a Vienna si era andato appannando, sul Cavalier Gluck grazie anche all’influenza della sua ex allieva di canto Marie-Antoinette d’Asburgo divenuta nel frattempo Delfina di Francia.

Tra Orfeo ed Euridice opera-balletto a Orphée et Eurydice ballet-opéra le differenze non sono poi così tante; certo la danza diviene preponderante ma anche le voci vengono ricompensate dall’aggiunta di arie il tutto senza mai perdere di vista il rigore formale e il rifiuto di un’esteriorità fine a se stessa. Il cambiamento più sostanziale sta nel passaggio del registro del protagonista maschile da castrato – i francesi non amavano particolarmente i cantanti evirati – a haute-contre, ovvero a tenore acuto e all’aggiunta di numeri danzati che provocarono qualche battibecco tra cantanti e ballerini.

L’ Orphée et Eurydice visto al Festival di Pentecoste è quello pensato da John Neumaier – che cura magistralmente regia, coreografia, scene, costumi e luci – per il suo Hamburg Ballet e coprodotto dalla Lyric Opera of Chicago, la Los Angeles Opera e la Hamburgisches Staatsoper ed è uno di quei rarissimi spettacoli dai quali si esce sopraffatti, se non addirittura devastati, dalla bellezza e dalla dalla profondità di contenuto e forma.

Neumaier riporta tutto alla Danza – qui intesa come percorso catartico – calando l’azione all’interno di una compagnia di balletto di cui Orphée è il coreografo-direttore e Eurydice, bizzosa e diva, la prima ballerina e compagna, mente l’Amour è la fida assistente – con qualche analogia con Nicklausse/la Muse di Hoffmann – che smorza le tensioni crescenti della coppia: dopo l’ennesimo litigio Eurydice si allontana in auto rimanendo coinvolta in uno schianto mortale.

La sala prove si trasforma, grazie tre parallepipedi cangianti e mobilissimi – sullo sfondo la terza versione dell’“Isola dei Morti” di Böcklin – prima negli Inferi e poi nei Campi Elisi per tornare infine al punto da cui si era partiti ma con animo rinnovato e una consapevolezza diversa.

Orphée e Eurydice hanno un loro alter ego danzante che li accompagna insieme ad Amour mentre il corpo di ballo impersona le Furie e gli Spiriti Beati.

Alla fine Eurydice non ritroverà la vita, rimanendo in spirito accanto ad Orphée divenendone fonte ispiratrice permettendogli di elaborare il lutto.

La coreografia di Neumaier – che fa danzare anche i cantanti – è di sconvolgente bellezza, coinvolgente, densa, mai calligrafica, con il Sentimento che diventa Movimento, capace di passare dalla frammentazione convulsa dell’Ade alla serenità dei Campi Elisi ove tutto si rarefà in una filigrana cinetica di straniante bellezza.

Sugli scudi l’intero corpo di ballo e lodi incondizionate all’Orphée danzante dello statuario Edvin Revazov che sembra uscito da un bassorilievo canoviano e all’Eurydice nervosamente eterea di Anna Laudere.

Maxim Mironov, haute-contre dalla voce d’argento e di magnifica presenza scenica dà voce e corpo ad un Orphée attraversato da una vena quasi fanciullesca, percorso da mille dubbi ma sempre e comunque fiducioso, il tutto forte di una linea di canto cristallina e di un fraseggio elegantissimo oltre ad un’assoluta padronanza delle agilità.

Davvero brava Andriana Chuchman, Eurydice percorsa da mille sentimenti contrastanti tutti espressi attraverso un rigoglio di colori e di accenti.

Assai bene fa anche Lucía Martín-Cartón, Amour volitivo e mai zuccheroso.

Kazuki Yamada, e con lui l’impeccabile Camerata Salzburg con il suo suono che proviene da tempi passati, si rende protagonista di una prova corretta: senza sbavature ma senza particolari guizzi che pure la partitura avrebbe suggerito.

Sontuoso il Bachchor Salzburg preparato da Benjamin Hartmann.

Successo travolgente, con il pubblico della Grosses Festspielhaus tutto in piedi ad applaudire per quasi dieci minuti, con ovazioni strameritate per Mironov e Neumaier.

Alessandro Cammarano
(27 maggio 2023)

La locandina

Direttore Kazuki Yamada
Regia, coreografia, scene, costume e luci John Neumeier
Personaggi e interpreti:
Orphée Maxim Mironov
Orphée (Danzatore) Edvin Revazov
Eurydice Andriana Chuchman
Eurydice (Danzatrice) Anna Laudere
L’Amour  Lucía Martín-Cartón
Hamburg Ballett John Neumeier 
Bachchor Salzburg 
Camerata Salzburg
Maestro del coro Benjamin Hartmann

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