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Viaggio ad Amsterdam per una rarità vivaldiana: Juditha triumphans, oratorio (in latino!) che si presta alla messa in scena. La storia è biblica: l’esercito di Nabucodonosor conquista la città ebrea di Betulia; la vedova ebrea Giuditta chiede udienza al generale Oloferne, chiedendo pace e libertà. Lo seduce, e quando lui si addormenta gli taglia la testa con la sua spada. L’esercito assiro è sperduto senza il suo comandante, e Betulia è salva. Questa storia è stata di ispirazione a molti quadri famosissimi, Caravaggio, Gentileschi, ecc. Qual è stato il colpo di genio del regista Floris Visser? Ma certo! L’occupazione nazista! Quando, nella prima scena, ho visito le acconciature anni ’40 delle donne nel coro, me la sono sentita colare. E, sicuro come la morte, ecco Oloferne entrare in uniforme da generale nazista. Giuro su dio che se vedo un’altra opera messa in scena in tempo di guerra vomito sul palco.

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Detto questo, la narrativa era coerente: la storia si adattava piuttosto bene a questa idea. Ma la scelta del regista di mettere la storia durante la seconda guerra mondiale è sembrata più estetica che altro. Le eleganti uniformi naziste sono molto popolari con i registi d’opera poveri di spirito. Inoltre, la produzione presentava ogni singolo stereotipo trito e ritrito: la ragazza violentata dai soldati, il disturbo da stress post-traumatico di Giuditta dopo l’omicidio. Nessun cliché ci è stato risparmiato. Il set girevole. E, naturalmente, il quadro di Caravaggio! Volevo morire.

A dire il vero, tutta questa trasposizione temporale è sembrata uno sporco trucchetto per mostrare il quadro, perché i nazisti portavano via opere d’arte dai luoghi conquistati. Quindi, il quadro è parte del bottino di guerra che Oloferne tira fuori per farsi bello con Giuditta. E a lei viene l’idea.

Il set girevole comprendeva una chiesa devastata dalle bombe, dove in nazisti mettono il loro quartier generale. Gli autoctoni non sono caratterizzati geograficamente: potrebbe essere qualunque Paese occupato dai tedeschi durante la guerra. I civili erano vestiti benissimo: nessuno sembrava pover, probabilmente perché i vestiti miseri non si adattavano all’idea estetica del regista.

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Gaelle Arquez

L’oratorio fu scritto per l’Ospedale della Pietà, un orfanatrofio per bambine, quindi le voci sono tutte femminili: tutti i personaggi, maschi o femmine, sono interpretati da cantanti donne. In questa produzione il coro era misto, con voci maschili che si univano alle donne, ma non so quanto sia filologicamente corretta questa operazione.

L’orchestra è stata spettacolare. Andrea Marcon ha uno stile barocco molto personale, entusiasta, rapito, mediterraneo. L’orchestra La Cetra ha fatto un lavoro stupendo; molti strumenti hanno parti soliste in diverse aire, e sono stati tutti perfetti. Le tiorbe mi hanno sciolto il cuore. All’inizio l’orchestra era un po’ troppo entusiasta, e finiva per soverchiare i cantanti, ma nel prosieguo Marcon ha trovato un equilibrio migliore.

E ora, i cantanti!

Era la prima volta che sentivo Gaelle Arquez dal vivo, mi è piaciuta tantissimo. La voce è morbidissima, ambrata, un mezzo soprano stupendo. L’emissione è sempre elegante, se devo farle una critica, è un po’ troppo leccata. È molto elegante anche fisicamente, alta, composta, aristocratica, un bel vedere sul palco. La sua recitazione, comunque, non ha mostrato repressione o ritegno: è apparsa veramente terrorizzata prima dell’omicidio, e distrutta dopo. La scena della decapitazione è stato uno dei momenti più d’effetto: l’orchestra ha fatto crescere la tensione meravigliosamente, e Arquez è riuscita a comunicare l’intensità dei sentimenti di Giuditta. Purtroppo, il momento è stato rovinato dal pubblico infantile, che ha iniziato a ridacchiare durante la decapitazione, per ridere a quattro ganasce quando Giuditta solleva la testa di Oloferne per i capelli. Imbecilli.

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La decapitazione

Oloferne era Teresa Iervolino, la mia cocchina!! È stata stupenda. Giovane com’è, mostra grande spavalderia in scena. L’uniforme nazista non le sta benissimo, ma lei la porta con sicurezza, e la scena di seduzione con Arquez è stata al calor bianco. La voce è stupenda, dal fondo del registro grave fino agli acuti brillanti e bellissimi, variazioni originali, ha tutto. Il timbro è naturalmente seducente, e l’ultima aria di conquista Noli o cara, con l’assolo di oboe, è stata irresistibile. La adoro sempre di più.

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Abra, la confidente di Giuditta, era il giovane soprano Polly Leech. Bravissima. La voce mancava un po’ di proiezione, ma forse è buon segno: non sta forzando. Leggera e brillante, con grande coloratura e ottima presenza scenica. Una cantante da tenere d’occhio. Così è pure Vasilisa Berzhanskaya, che interpretava la parte di Vagaus, l’attendente di Oloferne, che ha le arie con le agilità più assurde di tutto l’oratorio. Lei le ha affrontate senza paura, con sicurezza e competenza. Infine, il contralto Francesca Ascioti era il gran sacerdote ebreo Ozia (diventato qui il capo della resistenza) ha convinto con una voce calda e profonda.

Splendida serata! Viva Vivaldi!

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