“La Traviata” al Teatro Massimo di Palermo

Palermo, Teatro Massimo, Stagione Lirica 2017
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave dal dramma La Dame aux camélias di Alexandre Dumas fils.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry JESSICA NUCCIO
Flora Bervoix PIERA BIVONA
Annina ADRIANA IOZZIA
Alfredo Germont RENÉ BARBERA
Giorgio Germont  LEO NUCCI
Gastone GIORGIO TRUCCO
Barone Douphol PAOLO ORECCHIA
Marchese D’Obogny ITALO PROFERISCE
Dottor Grenvil ROMANO DAL ZOVO
Giuseppe CARLO MORGANTE
Domestico di Flora COSIMO DIANO
Commissionario GIANFRANCO GIORDANO
Matador GIUSEPPE BONANNO
Zingarella MONICA PIAZZA
Orchestra e Coro del Teatro Massimo di Palermo
Direttore Giacomo Sagripanti
Maestro del coro Piero Monti
Regia Mario Pontiggia
Scene Francesco Zito e Antonella Conte
Costumi Francesco Zito e Ilaria Ariemme
Coreografia Giuseppe Bonanno
Luci Bruno Ciulli 
Nuovo allestimento del Teatro Massimo in occasione della tournée in Giappone.
Palermo, 19 marzo 2017
Una prima da ‘tutto esaurito’ quella dello scorso 19 marzo al Teatro Massimo di Palermo che riesce ancora a soddisfare le attese del suo pubblico con una nuova inebriante Traviata intrisa di profumata freschezza primaverile. Il palpito costante che muove il capolavoro verdiano è nelle mani di Giacomo Sagripanti: con delicate ma sicure movenze, il giovane direttore ci ha sollevati e trasportati per tutta l’opera, dal flebile suono degli archi fino all’apice dei voluttuosi valzer, trasmettendoci ora l’ansia di un crescendo frenetico, ora la serenità di un disteso cantabile, interpretando con consapevolezza drammaturgica i momenti salienti del dramma musicale. Tutto ciò è stato reso possibile grazie alla sensibilità che l’Orchestra del Teatro Massimo ha dimostrato anche in questa occasione, riuscendo a seguire compatta le non scontate variazioni dinamiche, sempre in equilibrio con l’elemento vocale, in un dialogo costante e continuo acceso dai contrasti della partitura.
Il suono leggero e frizzante del Brindisi del primo atto ha gradualmente inebriato la platea, complice il Coro del Teatro Massimo che, sotto la consueta direzione di Piero Monti, ha incarnato con festosi accenti il mondo in cui Violetta è immersa, un ‘popoloso deserto’ fatto di piaceri fugaci e ansia di vivere: in una parola, la solitudine che la circonda, suggellata poi dal concertato finale del secondo atto in cui voci, orchestra e coro hanno raggiunto un raffinato equilibrio.
La cifra prettamente tradizionalista di questo nuovo allestimento fa eccezione nella scelta di trasporre la vicenda da Parigi alla Palermo dei primi del Novecento. Espliciti sono infatti i riferimenti alla Belle Epoque siciliana sia nello stile Liberty delle incantevoli scene di Francesco Zito e Antonella Conte, che negli abiti arricchiti di perle e piume dello stesso Zito e di Ilaria Arieme: attorniata dai suoi ospiti eleganti e discreti nella sua casa che molto ha in comune con le ville della famiglia Florio, nel primo atto Violetta ricorda l’affascinante Donna Franca, signora dell’aristocrazia palermitana resa immortale dal celebre ritratto di Giovanni Boldini.
A far immergere totalmente lo spettatore nell’atmosfera luccicante del mondo di Violetta dovrebbero contribuire anche le essenze profumate che Emanuel Ungaro e Alberto Morillas hanno per l’occasione realizzato: diffuse in sala nei momenti salienti dell’opera, le tre essenze finiscono però col distogliere dall’azione scenica, soprattutto a causa dei rumori emessi dai macchinari appositi. Bastavano forse a completare il quadro scenico le luci di Bruno Ciulli, così raggianti nei momenti più accesi, calde e avvolgenti nell’intimità del focolare domestico, fredde e lapidarie di fronte alla morte.
L’eleganza e la compostezza del mondo aristocratico fin de siècle dipinto da Mario Pontiggia – con l’assistenza tecnica di Angelica Dettori – tendono però a cristallizzare l’azione della vicenda: i protagonisti sembrano non farsi coinvolgere più di tanto dalle forti emozioni che li pervadono, esasperando quindi il contrasto tra ciò che dicono – e cantano – e ciò che vediamo. La regia fatica ad emergere; ne è un esempio il fatidico dialogo tra Alfredo e Violetta che prelude al duettino del primo atto, in cui i due futuri amanti assumono pose statuarie e non si scambiano uno sguardo che sia di stupore, di ironia o di struggimento; un botta e risposta frettoloso le cui battute appaiono fredde e distaccate.
Tale ‘apatia’ drammatica stona con la compenetrazione timbrica che le voci di Jessica Nuccio e René Barbera sfoggiano invece nel duetto “Un dì, felice, eterea”: quello di Barbera è un Alfredo gentile, dalla voce rotonda e ammaliante, la cui potenza emissiva è meticolosamente dosata a seconda delle necessità espressive; il suo canto fermo e sicuro è ciò che serve per domare gli sfuggenti guizzi vocali di Violetta che la Nuccio esprime con leggerezza e abilità. Grazie alla sua duttilità vocale, quest’ultima interpreta con personalità i diversi volti della protagonista; la padronanza tecnica e la forza d’emissione sono gestite con sicurezza e, a parte qualche inceppamento iniziale nei fraseggi – causato forse dall’emozione –, la giovane palermitana riesce ad assolvere con dignità al difficile ruolo della ‘traviata’, guadagnandosi quindi la benevolenza del pubblico.
Ma la vera attrazione della serata era Leo Nucci, interprete di Germont soltanto in questa prima rappresentazione, data la scelta del Teatro Massimo di aggiungere due star della lirica al consueto doppio cast (nell’ultima recita Violetta sarà infatti portata in scena dal soprano Maria Agresta). Applausi prolungati e richieste di bis per il baritono emiliano che si è magistralmente esibito in uno dei ruoli principali della sua lunga carriera operistica, riuscendo a far emergere dal suo personaggio la durezza del padre autoritario e la tenerezza del genitore preoccupato e ferito (“Di Provenza il mar, il suol”), quasi sempre nei momenti giusti. Interessante l’intreccio timbrico con la Nuccio nel duetto “Dite alla giovine”, in cui le voci raggiungono, insieme all’orchestra, un livello di espressività sublime.
Complessivamente di buona riuscita ci è sembrato l’intero cast: Adriana Iozzia ha interpretato una Annina dalla voce calda e consolatrice mentre la Flora di Piera Bivona ha saputo gestire la scena con estrema disinvoltura, soprattutto nella seconda parte del secondo atto insieme al Marchese di Italo Proferisce ; qui, grazie all’allegra coreografia di Giuseppe Bonanno – lui stesso Matador insieme alla Zingarella Monica Piazza – il contesto aristocratico assume un tono più licenzioso, mostrando con spettacolarità la sfrontatezza che sta dietro all’apparente perbenismo. Nulla da dire anche per gli altri personaggi minori; in particolare, Paolo Orecchia e Giorgio Trucco sono un Barone e un Gastone ben calati nel contesto festoso degli amici di Flora, mentre Romano Dal Zovo, Carlo Morgante, Cosimo Diano e Gianfranco Giordano ricoprono i ruoli più statici del Dottore, di Giuseppe del Domestico di flora e del Commissionario, con brevi seppur efficaci apparizioni. Foto Rosellina Garbo