61º Festival Puccini, Torre del Lago: “Madama Butterfly”

Gran Teatro Giacomo Puccini – 61° Festival Puccini
“MADAMA BUTTERFLY”
Tragedia giapponese in due atti di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
Musica di Giacomo Puccini
Cio-Cio-San DONATA D’ANNUNZIO LOMBARDI
Suzuki LAURA BRIOLI
Pinkerton STEFANO SECCO
Sharpless ALBERTO MASTROMARINO
Goro NICOLA PAMIO
Il Principe Yamadori PEDRO CARRILLO
Lo Zio Bonzo ANGELO NARDINOCCHI
Il Commissario imperiale STEFANO MARCHISIO
L’ufficiale del registro MATTEO NARDINOCCHI
Kate Pinkerton MARIKA SPADAFINO
Orchestra del Festival Puccini
Coro del Festival Puccini
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del coro Francesca Tosi
Regia, scene, costumi Renzo Giacchieri
Luci Valerio Alfieri
Movimenti mimici Hal Yamanouchi
Torre del Lago, 1 agosto 2015

Terzo titolo della sessantunesima edizione del Festival Puccini è Madama Butterfly nell’allestimento di Renzo Giacchieri che inaugurò la stagione 2014, una messinscena nel solco della tradizione, stilizzata quanto basta per non cadere nella banalità o nel kitsch, ma fermamente ancorata all’epoca indicata dal libretto, semplice e sobria ma munita di un paio colpi di scena di forte impatto pensati per sollecitare un pronto applauso, e in più impreziosita dai movimenti mimici di Hai Yamanouchi. Se lo scorso anno l’esecuzione musicale fu severamente menomata da una protagonista in serie difficoltà vocali e da una direzione soporifera, in quest’occasione il pubblico ha potuto assistere ad una recita più che dignitosa in cui quasi tutti gli ingredienti, se non proprio amalgamati a dovere, erano tuttavia di prima scelta.  Francesco Ivan Ciampa ha istantaneamente sbalordito con una resa dell’introduzione asciutta, nervosa, persino scabra negli archi gravi (del resto “ruvidamente” è indicazione del compositore), ma anche cristallina e precisissima, in cui nonostante la famigerata acustica, si sono udite persine le acciaccature dei violini nelle battute che corrispondono all’alzata del sipario (in partitura ovviamente), una fuga in cui nel passaggio all’allegro moderato era perfettamente avvertibile l’effetto dell’incedere spigliato e scanzonato di Pinkerton ove in orchestra è scritto “trattenuto”. Ciampa non si è poi però mantenuto su tale livello, ed in generale ha dato l’impressione di esser più interessato ai momenti drammatici o energici che a quelli dolci e lirici; in particolare ha affrontato il duetto del primo atto senza molta vigoria, quasi remando contro soprano e tenore: la compulsione, l’intensificarsi della passione erotica di Pinkerton, la voglia crescente di consumare il matrimonio insomma, semplicemente non erano avvertibili. E così è avvenuto per tutto il corso dell’opera, in cui momenti trascinanti, soprattutto orchestrali (particolarmente emozionanti l’inizio “tristaniano” del secondo atto e l’intermezzo) si sono alternati ad altri in cui si procedeva battendo la fiacca, e fra questi, oltre al duetto, includerei “Un bel dì vedremo” e tutta la scena del colloquio fra Butterfly e Sharpless. In ogni caso è un direttore da tenere d’occhio che mi piacerebbe ascoltare alle prese con musica puramente strumentale. Buona la prestazione del coro, caldamente applaudito. Ho recensito più volte Donata D’Annunzio Lombardi nei panni di Cio-Cio-San, uno dei personaggi da lei più frequentati. Il volume è indubbiamente contenuto e penalizzato dal grande spazio aperto, ma il soprano, grazie alla buona tecnica e soprattutto all’intelligenza, non mostra il minimo segno di forzatura o tentativo di camuffare il suono nel registro medio-grave, che non di rado però viene coperto dall’orchestra. Salendo verso gli acuti il suono invece acquista intensità e brillantezza, permettendole di farsi valere in momenti specialmente rilevanti quali “Ei torna e m’ama!”. Interpretativamente parlando, la D’Annunzio Lombardi nel primo atto ritrae una Butterfly appropriatamente semplice ed aggraziata senza indulgere in tanti bamboleggiamenti: il timbro chiaro suggerisce certamente una “piccina mogliettina” ma la perspicacia e il buon gusto della cantante fanno in modo che la sfortunata giapponesina non diventi querula o eccessivamente infantile. La relativa delicatezza della voce non le permette di sfruttare completamente le potenzialità drammatiche di un’aria come “Tu, tu, piccolo Iddio”, ma il fraseggio sagace le consente ad ogni modo di comunicare l’annientamento interiore del personaggio. Per esser apprezzata appieno, la Butterfly della D’Annunzio Lombardi ha in ogni caso bisogno di spazi più intimi. Stefano Secco (Pinkerton) non avrà un timbro fra i più romantici e seducenti, ma possiede in cambio una tecnica ragguardevole con una proiezione del suono “tutto avanti”, e quindi assai squillante nel facilissimo registro acuto. Si avverte la lunga familiarità con il personaggio, affrontato con molte sfaccettature, dall’estroversione e senso dell’umorismo dimostrati durante i colloqui con Goro e Sharpless al tono ardente del duetto abbellito dall’uso dei legati in cui sia lui che il soprano si sono prodotti, brano in cui la carenza del velluto esibito da tenori più classicamente liricheggianti era ampiamente compensata dall’accento focoso e irruente, decisamente “caliente”.
Lo Sharpless ideale deve possedere una voce dotata di molti colori in quanto il suo personaggio è esclusivamente reattivo: esiste soltanto per rispondere alle passioni degli altri, e Alberto Mastromarino svolge tale ruolo encomiabilmente.
Laura Brioli (Suzuki) è alquanto gutturale ma almeno possiede gli acuti per alcune delle sue frasi più importanti come “Piangerà tanto”. Nicola Pamio era un Goro secco e angoloso: una legittima interpretazione alternativa al solito mezzano untuoso e mellifluo. Completavano degnamente il cast Pedro Carrillo (Yamadori), Angelo Nardinocchi (lo zio Bonzo), Stefano Marchisio (il Commissario Imperiale), Matteo Nardinocchi (L’Ufficiale del Registro) e Marika Spadafino (Kate Pinkerton). A conti fatti una Madama Butterfly con alcune magagne talora non indifferenti, ma in cui si avvertiva la volontà da parte di tutti gli artisti di offrire un prodotto che si elevasse al di sopra della solita routine. Foto Giorgio Andreuccetti