Salerno, Teatro Verdi:”Nabucco”

Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Salerno, Stagione Lirica 2012/2013
“NABUCCO”
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Temistocle Solera dal dramma Nabucodonosor di Agust Anicet- Bourgeois.
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco CHRISTOPHER ROBERTSON
Ismaele DOMENICO MENINI
Zaccaria CARLO COLOMBARA
Abigaille MARIA GULEGHINA
Fenena EUFEMIA TUFANO
Il gran sacerdote di Belo CARLO STRIULI
Abdallo NICOLA PAMIO
Anna FRANCESCA PAOLA NATALE
Orchestra Filarmonica Salernitana Giuseppe Verdi
Coro del Teatro dell’Opera di Salerno
Direttore Francesco Rosa
Maestro del Coro Marco Faelli
Regia e luci Renzo Giacchieri
Scene Flavio Arbetti
Costumi Teatro dell’Opera di Roma
Artista video Jean-Baptiste Warluzel
Salerno, 7 ottobre 2013 
L’omaggio salernitano a Giuseppe Verdi per il bicentenario della sua nascita,  dopo i precedenti allestimenti di  Rigoletto e di Simon Boccanegra, si conclude con la scelta di Nabucco, la terza Opera del compositore e  la prima a decretargli pieno successo. Nabucco, il cui titolo originale Nabucodonosor  con cui esordì fu poi abbreviato perché ritenuto alquanto “scomodo” per l’inserimento in cartellone,  ha come antefatto lo scontro tra Ebrei e Babilonesi alle porte di Gerusalemme. Si sostiene da sempre, parlando di Nabucco,  il  ruolo fondamentale del  Coro, sempre importante in quasi tutte le opere verdiane,  ma qui protagonista indiscusso a tal punto da far risultare ‘minori’ gli altri personaggi presenti e le loro vicende personali  quasi collaterali rispetto al punto centrale: l’ oppressione del popolo ebraico da parte dei  conquistatori Babilonesi.  La storia d’amore tra Fenena, figlia di Nabucco e destinata al trono, ed Ismaele, condottiero del popolo ebraico,  l’ira nefasta di Abigaille, presunta primogenita di Nabucco, che ama  Ismaele e odia ferocemente Fenena,  il mutamento di Nabucco da Re vittorioso e sprezzante del Credo dei vinti  a Re abbattuto miseramente proprio da quella stessa forza soprannaturale che ha osato sfidare, sono  descritti e sottolineati  da pagine musicali ricche di forza espressiva ma costituiscono soprattutto una sorta di arricchimento del sentimento di sconfitta e paura che pervade l’Opera intera, legato al popolo ebraico e alle sue pene. Da “Gli arredi festivi giù cadano infranti” alla prima scena,  in cui Ebrei, Leviti e Vergini gridano terrorizzati la loro sconfitta nella tremebonda attesa della profanazione del tempio,  al “Va’, pensiero,  sull’ali dorate”, alla fine della terza parte, l’espressione più alta in musica dell’amarezza di un popolo in schiavitù, si esprime questo “sentire”. Strutturalmente divisa in quattro parti invece che in Atti, Nabucco si apre con la Sinfonia eseguita dall’ Orchestra Filarmonica Salernitana, diretta da Francesco Rosa, in maniera soddisfacente, con “assoli” puliti e piacevoli,  livello di rendimento mantenuto poi, costante per tutta l’Opera. Nelle arie e nei concertati, efficace è il contatto di Francesco Rosa con il palcoscenico, con scelte di andamenti, in alcuni casi, forse lenti ma non tali da alterare in maniera negativa il risultato finale dell’’”assieme”. In scena campeggia il candelabro a sette bracci che, posto su un piano sopraelevato con gradini, occupa interamente lo spazio centrale del piccolo palcoscenico del Verdi. Attorno ad esso si ammassano TUTTI. Il fastidio visivo che ne deriva non è solo legato alla staticità, tra l’altro non necessariamente scontata in questa scena in cui predomina la paura e la disperazione, quanto alla sensazione di trovarsi di fronte  ad una scatola di cartone con tanti soldatini di piombo, rigidamente confinati nello spazio loro assegnato. Anche le luci, quasi sempre “piene”non aiutano a migliorare questo effetto.
Il momento peggiore è quello dei duelli ….…forse sarebbe stato meglio soltanto  “evocare” la furia della battaglia che,  di fatto non c’è, visto che i guerrieri combattono da fermi con spade-giocattolo ridicole, tutti stagliati in fondo, ordinati  e piantati nelle loro posizioni stabilite e rigorose. Anche gli oggetti del saccheggio,  lanciati ai piedi del candelabro,  sono decisamente troppo finti e non solo visivamente parlando  (il rumore al contatto con il legno del palcoscenico, quando vengono lanciati, lo indica  chiaramente)  e suscitano ilarità e commenti  del tipo: “Meno male che c’è la musica di Verdi!”. I costumi, datati 1991 e creati dallo stesso Renzo Giacchieri per un allestimento alle Terme di Caracalla, non hanno particolarità rilevanti, a mio avviso, fatta eccezione per i mantelli-copricapo dei Babilonesi, nella seconda scena,  riccamente colorati come pregevoli arazzi indiani.
Sul piano vocale e musicale si distingue Maria Guleghina (Abigaille) che offre una bellezza timbrica di grande impatto emotivo, mantenuta efficacemente anche nei momenti più aspri del temibile ruolo, per toccare nella cabaletta “Salgo già del trono aurato”, della seconda parte, il momento artisticamente più coinvolgente. Scenicamente a suo agio, senza forzature nella gestualità, è anche la più bella, tra le donne in scena, in virtù di una naturalezza nel canto piacevole alla vista. Per contro, l’”angelica” Fenena,  di Eufemia Tufano, ha perennemente un’aria truce: imprime vistose vibrazioni al viso e alla parte  superiore del collo ad ogni emissione, anche la più semplice…..….e la cosa risulta strana considerando la linea essenzialmente mordida della tessitura del suo personaggio che dovrebbe essere “dolce”, sentimento che dovrebbe emergere almeno dall’espressione del viso. Nulla di tutto questo, la cattiva in scena, è lei. La voce poi è innaturalmente intubata e afflitta da uno sgradevole vibrato.  Si può dire la stessa cosa di  Francesca Paola Natale (Anna). Iidentica “scuola” di canto: nei suoi pochi interventi  trema completamente nella parte superiore del corpo: sembra un’indemoniata pronta all’esorcismo più che la dolente sorella di Zaccaria. Peccato per Carlo Colombara, Zaccaria appunto, apprezzatissimo in Simon Boccanegra, sicuramente non in serata. Scenicamente impeccabile, Colombara, già dalle prime note, si presenta con un suono poco  morbido, il legato e la dizione chiarissima  che lo hanno distinto come Fiesco, sono poco curati. Infatti  alla fine della sua aria di sortita,  molti suoni sono sporchi e sgranati. La notevole professionalità di Colombare emerge comunque e gli consente di portare a termine la recita in modo più che onorevole.  Domenico Menini (Ismaele) usa bene i suoi mezzi vocali e convince in un ruolo sicuramente non bellissimo per un tenore; scenicamente ritaglia bene il proprio spazio, nel caos generale, in una maniera che lo rende sempre ‘individuabile’. E veniamo al Nabucco del baritono Christopher Robertson. Poco credibile scenicamente (l’aspetto è più simile al Mangiafuoco di collodiana memoria che al re babilonese) è assai deludente anche sul piano vocale. Il canto verdiano gli è estraneo e in più  la voce non è proiettata, la dizione problematica e molte sfumature espressive di cui la parte di Nabucco è ricca, vengono completamente a mancare. Non saprei aggiungere altro sulla sua ‘idea’ di Nabucco che, purtroppo, non passa. Corretti il veterano di questo Teatro,  Carlo Striuli (il Gran Sacerdote di Belo) e Nicola Pamio (Abdallo). Menzione speciale va al Coro, preciso nell’intonazione  e dal suono sempre presente,  con qualche forzatura e asprezza soprattutto da parte delle voci maschili ‘scure’.  Applauditissimo il ‘Va’,  Pensiero’, voluto da Renzo Giacchieri ‘in sala’, tra il pubblico, alla presenza di tre figuranti in veste di soldati ottocenteschi  che sorreggono delle donne svenute, ognuna delle quali  indossa una veste di  un colore: rosso, bianco e verde. Sulle note finali della pagina tanto amata, giungono dall’alto biglietti con suscritto VIVA VERDI e si spargono ovunque. Mi chiedo….al momento e senza pensarci: semplice ‘citazione’ …… o  rappresentazione  simbolica della nostra bella Italia allo sbando? Non ho risposta. Forse l’intento era proprio questo. Foto Massimo Pica