Torino: è Riccardo Muti a condurre il Ballo

Non è forse l’opera un eterno oscillare tra tragedia e allegrezza? Tra sorriso e pianto? Tra storicità e fantasia? Ecco allora che in questo oscillare musicale si sviluppa e continua con molto successo la stagione del Teatro Regio di Torino, che dopo il brillante e accattivante Don Pasquale donizettiano, propone al pubblico torinese Un ballo in maschera, uno dei grandi melodrammi operistici di Giuseppe Verdi, a distanza di oltre 10 anni dall’ultima esecuzione sul palco del Regio. Si sa che il Ballo fu una di quelle opere verdiane che ebbe notevoli problemi con la censura dell’epoca: nell’anno del suo debutto sulla scena, il 1859, era ritenuto uno scandaloso il fatto che un dramma potesse prevedere contestualmente scene di magia e predizione del futuro, l’adulterio e il regicidio. Ecco quindi che a Torino vediamo in scena la versione “rivista”, dove il protagonista non è il Re Gustavo III di Svezia (soggetto che ispirò diversi drammi, tra cui quello verdiano, riguardante l’assassinio politico di Gustavo III avvenuto nel 1792 durante una festa in maschera all’Opera di Stoccolma), ma bensì Riccardo, governatore di Boston, vittima di una congiura in occasione di un ballo mascherato. Al centro della vicenda vi è la storia che lega il citato Riccardo, inconsapevole del pericolo che lo minaccia, ed innamorato di Amelia, moglie del suo fedele amico Renato. Sarà proprio Renato, pazzo di gelosia per la scoperta del tradimento a suo danno, ad unirsi ai congiurati e uccidendo il più fido amico, dando seguito alla predizione di Ulrica, indovina di razza nera.

Questa nuova produzione del Teatro Regio di Torino vede in scena il nuovo allestimento firmato da Andrea De Rosa, circondato da un nutritissimo team fatto di professionisti, assistenti e assistenti volontari (alla regia, citiamo l’affiancamento di Luca Baracchini e Paola Brunello). A dirla tutta, questa nuova produzione vede di nuovo ben poco, nella misura in cui il regista resta su una neutralità fin troppo evidente, senza agire sullo scavo psicoanalitico dei personaggi e lasciando i cantanti spesso in balia di sé stessi. Possiamo notare l’uso continuo della maschera da parte degli amanti protagonisti (ed in particolare di Amelia), mentre suscita un certo effetto visivo l’ingresso plumbeo e terrificante della “nera” Ulrica e fa riflettere il duetto d’amore di Amelia e Riccardo intonato nell’orrido campo che risulta essere un altare (o tomba, se non anche patibolo mortale?) circondato da cadaveri scheletrici. Tutto il resto, desta una plumbea e drammatica sensazione. Le scene di Nicolas Bovey, coadiuvato dalla assistente Nathalie Deana, riproducono un palazzo del ‘700 napoletano di meticolosa simmetria, andando poi a dividersi a metà scorrendo verso l’esterno per permettere l’ingresso, teatralmente oscuro, di Ulrica, di nero velata a sormontare un altare e circondata da sei spettrali compagne. Come già citato, nel secondo atto l’orrido campo risulta essere una distesa disseminata di cadaveri, mentre nel terzo ed ultimo atto la stanza di Renato e il sontuoso gabinetto di Riccardo sono uno spazio chiuso ricavato all’interno di un grande ambiente avente un’altra scalinata, andando poi a lasciare spazio grande e ricca sala da ballo, teatro del fatale ballo in maschera. I costumi di Ilaria Ariemme, assistita da Valentina Volpi ed Elena Gasparotto, risultano di gran pregio e di ricca eleganza, volendo ricreare, senza troppa fedeltà, il periodo storico dello svolgimento, mentre le luci sono di Pasquale Mari assistito da Gianni Bertoli e i movimenti coreografici (semplici e funzionali, soprattutto nel ballo) di Alessio Maria Romano.

Per questo capolavoro verdiano torna a dirigere al Regio di Torino il maestro Riccardo Muti, confermando non solo il legame con la città ed il Teatro, ma soprattutto con l’Orchestra e il Coro del Regio. Legame che si percepisce sin dalle prime note, dove inizia uno scorrere impetuoso di verdiana teatralità, con una attenta ricerca di essenza del melodramma e sottolineando tutte le molteplici tinte di una composizione così ricca di intenzioni e sentimenti. Prevale sicuramente una drammaticità oscura, dubbiosa ed intensa. Rispetto all’ardore degli anni giovani, che lo scrivente non può narrare in prima persona per motivi anagrafici ma che ben si possono cogliere nelle numerosi registrazioni del maestro, vi è oggi nella direzione di Muti la sapienza del compiuto, la conoscenza approfondita dell’intenzione di Verdi, dove risaltano i colori drammatici, a discapito di un sorriso amaro, lasciando intendere che quell’ilarità provocata dallo scherzo, dalla follia e dal baccano sul caso strano altro non sono che lo sfondo invece della vendetta, dell’amore proibito, dell’amicizia infranta e del complotto politico. Il gesto di Riccardo Muti guida con magnificenza i complessi orchestrali torinesi, traendo sonorità mai ampollose, mai distaccate, ma vibranti, avvolgendo lo spettatore e restituendo un lavoro di cesello, attento alle sfumature e alle dinamiche della partitura. Traspare il lavoro di concertazione, di accompagnamento continuo con i cantanti e con il Coro, sostenendo e motivando ogni passaggio più impetuoso e ogni slancio più languido. Un brivido, vibrante e possente, corre lungo la schiena nel finale, in particolare al Cor sì grande e generoso! Tu ci serba, o Dio pietoso: raggio in terra a noi miserrimi è del tuo celeste amor! Stupendo. Dei colori e del suono meraviglioso dell’Orchestra si è già detto, dando risalto a tutte le sue componenti ma con una menzione d’onore per la sezione degli archi; così come risponde prontamente il Coro, preparato dal suo maestro Ulisse Trabacchin, che canta in maniera eccelsa.

Torna al Teatro Regio di Torino il tenore Piero Pretti, qui nei panni del nobile Riccardo, governatore di Boston, che conferma le qualità ben note al pubblico torinese e non solo: la sua è una voce tipicamente all’italiana, solare e squillante, che sa imporsi anche laddove l’orchestrazione si fa predominante, forte di dinamiche ed intensità drammatica. Pretti canta con incisività di parola e buon fraseggio, senza tuttavia scavare a fondo la profondità di un personaggio che non riesce ad emergere del tutto: dalla sua, è apprezzabile il cercare di bilanciare il tono scanzonato e scherzoso come nell’ E’ scherzo od è follia?, rispetto ai momenti più intensi e drammatici, come nell’attesa aria Forse la soglia attinse.. Ma se m’è forza perderti. Accanto a lui, al debutto nel ruolo di Amelia, troviamo il giovane soprano Lidia Fridman, artista in ascesa dopo una serie di successi nei principali festival d’opera italiani e che a Torino aveva già fatto una sua incursione con una sostituzione lampo in una recita di Norma, vista nella passata stagione. La Fridman attira subito l’attenzione su di sé per una voce certamente importante, con una voluminosità notevole che sovrasta e s’impone sull’oceano musicale sottostante, proveniente dall’orchestra: l’artista ha un’ottima estensione, nonostante il registro acuto tenda leggermente ad assottigliarsi rispetto alla corposità del registro medio e grave e avendo un timbro poco dolce, quasi metallico. Quello che viene a mancare, tuttavia, è lo sviluppo del personaggio, restituendo un’interpretazione piuttosto algida e che non rende completamente giustizia ad un ruolo che dovrebbe evidenziare sentimenti d’amore e di dolcezza.

Chi è anche al debutto del ruolo è il baritono Luca Micheletti, che veste i panni del “fido” amico Renato, tornando a cantare al Regio dopo il Don Giovanni della scorsa stagione. L’atteso debutto è purtroppo inficiato da un’indisposizione dell’artista, accusando già alcune difficoltà nel primo atto, come alla fine dell’aria Alla vita che t’arride, facendosi annunciare indisposto all’inizio del secondo atto dal Sovrintendente Jouvin. Sono indubbie la qualità artistica e vocale di Micheletti, che si distingue per una voce brunita e pastosa, avendo intelligenza nel gestire i passaggi più intensi e drammatici della parte, nonostante le difficoltà poc’anzi citate. Resta il dubbio sull’approccio ad un ruolo non forse tra i più ideali per il baritono bresciano, che risulta comunque essere il più scenicamente ed interpretativamente centrato tra i protagonisti sul palco.

Tenebrosa, oscura e scenicamente paurosa è la Ulrica di Alla Pozniak, con una voce spesso tonitruante e non troppo omogenea; al contrario è frizzante, scanzonata e mai sopra le righe il soprano Damiana Mizzi nei panni del paggio Oscar, unico personaggio en travesti di tutto il teatro verdiano che ben evidenzia l’altra anima dell’opera, con il sorriso e l’ironia di Verdi.

Ottimi nei rispettivi ruoli, sono il Silvano del baritono Sergio Vitale, mentre i due bassi Daniel Giulianini e Luca Dall’Amico danno voce e corpo ai due nemici di Riccardo, Samuel e Tom; completa, nel doppio ruolo di un giudice e servo d’Amelia, il tenore Riccardo Rados.

Clima di festa e di grande serata in teatro, con una platea ricca di ospiti di varie estrazioni, direttori artistici e sovrintendenti di mezza Italia e una palpabile sensazione di orgoglio sabaudo per una recita che ha visto quale trionfatore di applausi Riccardo Muti, accolto con ovazioni ad ogni ingresso in sala.

Leonardo Crosetti
(22 febbraio 2024)

La locandina

Direttore Riccardo Muti
Regia Andrea de Rosa
Scene Nicolas Bovey
Costumi Ilaria Ariemme
Movimenti coreografici Alessio Maria Romano
Luci Pasquale Mari
Personaggi e interpreti:
Riccardo Piero Pretti
Renato Luca Micheletti
Amelia Lidia Fridman
Ulrica Alla Pozniak
Oscar Damiana Mizzi
Silvano Sergio Vitale
Samuel Daniel Giulianini
Tom Luca Dall’Amico
Un giudice / Un servo d’Amelia Riccardo Rados
Orchestra e Coro del Teatro Regio Torino
Maestro del coro Ulisse Trabacchin

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