Torino, Teatro Regio: “Un ballo in maschera”

Torino, Teatro Regio, stagione d’opera e balletto 2023/24
“UN BALLO IN MASCHERA”
Dramma lirico in tre atti di Antonio Somma

Musica di Giuseppe Verdi
Riccardo PIERO PRETTI

Renato LUCA MICHELETTI
Amelia LIDIA FRIDMAN
Ulrica ALLA POZNIAK
Oscar DAMIANA MIZZI
Silvano SERGIO VITALE
Samuel DANIEL GIULIANINI
Tom LUCA DALL’AMICO
Un giudice – Un servo d’Amelia RICCARDO RADOS
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Riccardo Muti
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia Andrea de Rosa
Scene Nicolas Bovey
Costumi Ilaria Ariemme
Luci Pasquale Mari
Movimenti coreografici Alessio Maria Romano
Torino, 25 febbraio 2024
Sicuramente è lo s
pettacolo più atteso di questa stagione di rilancio del Teatro Regio di Torino la nuova produzione de “Un ballo in maschera” ha attirato il pubblico delle grandi occasioni ed è stato bello vedere la sala di Mollino gremita in ogni ordine di posto. L’attesa non è stata delusa almeno per quanto riguarda la parte direttoriale con Riccardo Muti autore di una prova assolutamente superlativa. Il maestro conferma non solo di essere ancora il maggior interprete verdiano dei nostri tempi ma di aver raggiunto una maturità interpretativa da rendere queste prove un’autentica sintesi di una vita al servizio della musica verdiana. Elemento essenziale di quest’ approccio è una nuova concezione del valore e del ruolo orchestrale. La frequentazione wagneriana ha lasciato più di un segno ed è evidente come l’idea del maestro tedesco in cui l’orchestra non accompagna ma il canto ma diventa non solo il crogiolo da cui lo stesso canto nasce ma acquisisce una personalità autonoma che fa di essa un personaggio – anzi, il personaggio fondamentale sia intimamente acquisita. L’idea wagneriana dell’orchestra che come il coro della tragedia classica vive il dramma e lo interpreta è calata nell’universo verdiano esaltandone con intensità quasi ignota la ricchezza umana e spirituale.
La visione di Muti è quella di un cupo dramma attraversato fin dall’inizio da fremiti di morte. I colori scuri sono attraversati da gelide scariche elettriche e un’ombra di disfacimento si estende anche sui momenti apparentemente più leggeri – mai sentito personalmente un “E’ scherzo od è follia” così carico di ansia e tensione dove il riso vanamente esorcizza un brivido di terrore. L’intera scena di Ulrica è di grandiosità shakespeariana dove gli schianti tellurici che inchiodano alla sedia si affiancano a dissolvenze raggelanti così come raggelante nel contrasto tra l’ironia untuosa dei congiurati e il grumo sempre più oscuro della tragedia è il finale secondo. Persino pleonastico ridire quanto canti meravigliosamente l’orchestra nei grandi squarci lirici e di come Muti sappia farla suonare con una qualità raramente ascoltata. Magnifica la prova del coro pienamente coinvolto dall’atmosfera generale. Il cast non si pone purtroppo sul livello della direzione. Piero Pretti è un serio professionista e mostra come sempre impegno e attenzione. La voce non bellissima di natura è usata però con intelligenza, innegabili sono le doti di musicalità e la cura del fraseggio così come il registro acuto risulta nel complesso facile e ben controllato – meno quello grave dove si nota qualche sporcatura. Una prova nel complesso valida ma resta il settore della mancanza di una personalità più autorevole, di una maggior capacità di scavare tutte le pieghe del personaggio.
Giudizio sospeso sul Renato di Luca Micheletti la cui prestazione è stata compromessa da uno stato di salute non ottimale. Annunciato indisposto conferma la situazione fin da subito con una problematica esecuzione di “Alla vita che t’arride”. Con il prosieguo dell’opera la voce si scalda e si fa più sicura ma tensione e prudenza sono sempre percepibili fino a un “Eri tu” corretto ma povero di sfumature e troppo concentrato sulla tenuta vocale. Micheletti è però forse l’unico ad avere il senso della parola scenica mostrandosi al riguardo pietra di paragone per tutti gli altri. Vocalità molto personale, particolare, quella di Lidia Fridman ricchissima e potente ma tendenzialmente  aspra, metallica. Amelia è incarnazione di una dolce femminilità di donna innamorata, ma anche materna,  cui mal si addice il carattere vocale della Fridman. Nei brani più scopertamente drammatici – come la grande aria del II atto – il temperamento si fa valere ma nell’abbandono lirico di “Morrò ma prima in grazia” ci è parsa un po’ persa in un territorio che non è ancora il suo. La formidabile presenza scenica è ampiamente sfruttata dal regista. Ancora molto giovane e al debutto nel ruolo ha tutto il tempo per centrare maggiormente la sua lettura anche se riteniamo possa meglio esprimersi in ruoli meno intimistici. Vocalmente e interpretativamente spigliata Damiana Mizzi è un Oscar ben centrato anche se forse un poco leggero. Alla Pozniak è un’Ulrica fin troppo anonima e abbastanza scomposta come emissione e non impeccabile come intonazione anche se non disprezzabile come pasta vocale. Buone le parti di contorno con una nota per il sonoro Silvano di Sergio Vitale. La regia di Andrea De Rosa cupa e funerea è pienamente in linea con il senso tragico di Muti. La vicenda si svolge in un sontuoso palazzo barocco dove alberga un’aria stagnante e malsana, un senso di decadenza e corruzione che permea una corte in cui il gioco delle maschere – presenti fin dall’inizio – è al contempo fuga e travestimento da un disfacimento inevitabile che evoca certe atmosfere di Kubrick tra “Barry Lyndon” e un “Eyes Wide Shut” in chiave barocca. Il palazzo è il centro della vicenda e si apre per far entrare il trono catafalco di Ulrica, pizia in nere vesti, oscura profetessa cui la regia dona un fortissimo rilievo. Unica eccezione il secondo atto con il palco quasi vuoto con in scena solo il catafalco citato e intorno cadaveri abbandonati che ricordano i calchi morelliani di Pompei. Di grande effetto le luci di Pasquale Mari che nel finale d’atto offrono uno dei momenti più intensi dello spettacolo con la Fridman bianco vestita, immersa in un fascio di luce, i capelli rossi che scendono sulla schiena nuda circondata dalle figure maschili ridotte a oscure larve come una martire in un dipinto preraffaellita. Spettacolo forse a tratti autoreferenziale ma d’innegabile impatto visivo.