Catania: Turandot e il mistero dell’amore

C’era davvero bisogno di un allestimento di Turandot firmato da Alfonso Signorini? In un panorama teatrale tendenzialmente spaccato, tra registi immersi e forse eccessivamente concentrati nella complessa esibizione dei loro concetti artistici e nella manifestazione cervellotica dei propri pruriti, e registi timidamente legati ad una rappresentazione più tradizionale dell’opera (spesso con risultati noiosi), ecco che forse un audace ritorno alla sontuosa rappresentazione dal sapore zeffirelliano non è affatto fuori luogo.

Se poi, in mezzo a un vasto panorama di professionisti della regia, il dardo vincente è stato scoccato da un giornalista assai noto in altri ambiti, allora è inevitabile porsi delle domande. Questo allestimento di Turandot (prima esperienza di regia d’opera per Signorini) potrebbe già essere considerato iconico, considerando che è stato originariamente presentato con successo al Festival Puccini di Torre del Lago nel 2017 e replicato l’anno successivo nello stesso contesto. Ora lo spettacolo fa il suo debutto a Catania per inaugurare la stagione 2024 del Teatro Massimo Bellini (in scena dal 12 al 20 gennaio).

Ambientata nella Cina imperiale l’opera, in tre atti e cinque quadri su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, racconta la storia della principessa Turandot, che impone ai suoi pretendenti di risolvere tre enigmi o affrontare la morte. Calaf, un principe sconosciuto, accetta la sfida e con l’aiuto di Liù, una giovane schiava che si sacrificherà per lui, risolve gli enigmi e conquista il cuore di Turandot. Alla fine, la principessa cede all’amore di Calaf, sciogliendo così il suo gelido cuore.

Nel dicembre del 1923, Puccini completò gran parte della partitura, fino al momento della morte di Liù; tuttavia, la scomparsa del compositore, lasciò in eredità un incompiuto finale che rimase un enigma per molti musicisti che tentarono di portare a termine l’opera. Il più celebre e più eseguito dei finali si deve a Franco Alfano ma, per questa produzione, si è preferito puntare sul meraviglioso finale composto da Luciano Berio nel 2001. L’opera è intrisa di forti contrasti, evidenti sin dall’inizio, con un uso marcato di simboli che accentuano questa caratteristica.

Rappresenta il Mistero dell’Amore e dell’Altro attraverso un’intensa tessitura di elementi opposti (femminile-maschile, notte-giorno, luna-sole, freddezza-passione, morte-vita) presentando immagini diametralmente opposte di femminilità.

Impianto scenico essenzialmente tradizionalista, ma non mancano alcuni tocchi personali di Signorini che spiega chiaramente la sua idea di regia: «La messinscena sarà sempre al servizio della musica. Ho voluto rappresentare una Pechino vivida nelle sue luci e nei suoi colori, ma schiacciata dal cinismo e dal senso della morte. Soltanto alla fine dell’opera c’è una luce nuova, grazie al trionfo dell’amore che nutre il popolo di una nuova fiducia nella vita».

Il tema della femminilità e della condizione della donna è il fulcro della regia di Signorini, che ha voluto puntare i riflettori non tanto sulla misteriosa Turandot, ma su Liù, la donna che con il suo sacrificio d’amore, spinge la principessa a sciogliersi e lasciarsi andare ai suoi sentimenti. Operazione perfettamente riuscita grazie alla magistrale interpretazione di Elisa Balbo che, oltre ad evidenziare le sue eccellenti qualità vocali, è riuscita perfettamente ad incarnare una Liù profonda e coinvolgente. Il suo contributo è stato tale da meritare un’ovazione particolarmente calorosa, confermando la sua abilità nel trasmettere emozioni attraverso la voce e il corpo.

Nel complesso il cast è riuscito a tirar fuori una vasta gamma di sfumature emotive, con alcune voci che si sono distinte più di altre. Oltre ad Elisa Balbo nel ruolo di Liù, Daniela Schillaci ha vestito i panni di Turandot e nonostante abbia lasciato l’impressione di una bellezza vocale innegabile la sua voce sembra non trovare la pienezza timbrica ideale per il ruolo della principessa, forse mancando di quel carattere potente e maestoso che il personaggio richiede.

Angelo Villari, nei panni di Calaf, ha offerto una buona prestazione, ma forse è mancato quel tocco di intensità e profondità che avrebbe potuto dare maggiore risonanza al personaggio.

Non troppo brillante George Andguladze, nel ruolo di Timur, la cui interpretazione sembra essersi limitata al necessario e forse è mancato un approfondimento interpretativo.

Il trio composto da Vincenzo Taormina, Saverio Pugliese e Blagoj Nacoski nei ruoli di Ping, Pang e Pong ha reso bene nel complesso, regalando momenti divertenti ed efficaci; la loro performance ha contribuito a mantenere vivo il ritmo dell’opera, aggiungendo il giusto tocco di leggerezza al contesto drammatico.

L’interpretazione musicale di Eckehard Stier, alla guida dell’orchestra del Teatro Massimo Bellini, ha reso giustizia alla complessità e alla bellezza della partitura di Puccini, riuscendo a trasportare il pubblico nelle cupe e misteriose atmosfere del dramma. Eccellente anche la preparazione del coro. Alla fine dello spettacolo il teatro, stracolmo, ha tributato i giusti applausi per uno spettacolo decisamente gradevole.

Giuseppe Migliore
(14 gennaio 2024)

La locandina

Direttore Eckehard Stier
Regia Alfonso Signorini
Scene Carla Tolomeo,
riprese da  Leila Fteita
Costumi Fausto Puglisi
ripresi da Leila Fteita
Light designer Antonio Alario
Personaggi e interpreti:
Turandot Daniela Schillaci
Calaf Angelo Villari
Liù Elisa Balbo
Timur George Andguladze
Ping Vincenzo Taormina
Pang Saverio Pugliese
Pong Blagoj Nacoski
Un mandarino Tiziano Rosati
Altoum Mario Bolognesi
Orchestra, Coro e Tecnici del Teatro Massimo Bellini di Catania
Maestro del coro Luigi Petrozziello
Coro interscolastico Vincenzo Bellini
Diretto da Daniela Giambra

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