L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Nei cieli bigi

di Antonino Trotta

È La Bohème il primo titolo con cui il Teatro Regio di Torino celebra, in una stagione quasi interamente a lui dedicata, il centenario della morte di Giacomo Puccini: riproposta nell’ormai storico allestimento di Patroni Griffi ripreso da Vittorio Borrelli, può contare sull’alternarsi di due valide compagnie di canto, entrambe chiamate a fare i conti con la plumbea concertazione di Andrea Battistoni.

Torino, 24-25 ottobre 2023 – C’è poco da fare, non esiste al mondo una ripresa di Bohème che non si concluda tra applausi e lacrime: imbevuta com’è di comunissimo vissuto, tra storie di ristrettezze economiche, giovinezza spensierata, amori impetuosi consumati nella tromba delle scale e vite che si sciolgono come neve al sole, il capolavoro di Puccini dà del tu, in un modo o nell’altro, a ciascuno di noi. Lungo lo scorrere, inesorabile, di quei quattro quadri è così facile pensare «ma quello sono io!» che alla fine non si può non rimanere travolti dal quel tragico finale che graffia l’anima e riga il volto, ogni volta con un’identica ma rinnovata intensità. Anche al Regio di Torino, dove La Bohème va in scena come primo della lunga serie di titoli (seguiranno La rondine, La fanciulla del West, Le villi e il trittico) che omaggia Puccini nel centenario della scomparsa, l’effetto è lo stesso, pur trattandosi, a conti fatti, di una produzione di routine.

Lo spettacolo è quello storico firmato da Giuseppe Patroni Griffi – con scene e costumi di Aldo Terlizzi Patroni Griffi –, che proietta il pubblico in una Parigi nuda, fredda e grigiolina, capace di colorarsi appena qui e lì solo grazie alla gioia di vivere dei giovinotti che la abitano in maniera più o meno consapevole. Vittorio Borrelli, che ne cura la ripresa, sa giocare bene le sue carte col linguaggio della commedia scanzonata che senza dubbio innerva l’ossatura drammatica del testo – molto simpatica, ad esempio, è la chiusura del secondo atto – ma si rivela più ingessato altrove.

Ingessatissimo, invece, è Andrea Battistoni che in buca marcia e guida i complessi del Teatro Regio di Torino con una bacchetta di piombo. Talvolta lezioso nelle agogiche e nel fraseggio, spesso eccessivo nel dosaggio di volumi, pesante anche quando dall’orchestra emerge un solo dettaglio strumentale, Battistoni intavola una lettura di cui si fatica a intuire il taglio – Bohème, per carità, è un dramma, ma un dramma non deve essere necessariamente urlato – e che, in definitiva, zavorra considerevolmente lo spettacolo.

Due le compagnie di canto che si alternano in questa produzione, entrambe valide. Erika Grimaldi porta in scena una Mimì molto delicata: omogenea nelle gamma a discapito dell’udibilità in basso, garbata nel porgere e misurata nel fraseggio, risulta particolarmente convincente nel finale, dove la protagonista si spegna a suon di morbidissimi filati. Non è da meno Maria Teresa Leva, che al netto di qualche piano un po’ troppo artificioso, sfoggia una voce ampia, piena e drammatica, tant’è che «Donde lieta uscì» le vale calorosi riconoscimenti. Non deludono nemmeno i due Rodolfo in scena: Liparit Avetisyan mostra il fianco per qualche acuto mal girato e per un vibrato piuttosto insistente, ma canta con franchezza d’intenzione e mezzi; più pulito nell’emissione è il poeta di Galeano Salas, che ha meno voce del collega ma si concede qualche sfumatura e qualche colore in più. Federica Guida, per freschezza e brillantezza di timbro, coadiuvato da una spiccata sensibilità d’interprete, è una Musetta assai più convincente di Cristin Arsenova, penalizzata da un registro acuto asprino. Tra gli altri bohemiens s’impone per qualità vocali e sceniche Biagio Pizzuti (seconda compagnia): accento fragrante, voce timbrata, volume generoso, Pizzuti si rivela un cantante attore partecipe in grado di donare a Marcello il magnetismo di un protagonista. Un discorso molto simile si può riproporre parimenti per Riccardo Fassi (primo cast) che fa intonare al suo Colline una toccante «Vecchia zimarra». Fanno bene senza brillare Andrey Zhilikhovsky (il primo Marcello), Manel Esteve e Jan Antem (Schaunard), Ugo Guagliardo (secondo Colline) e completano correttamente il cast Nicolò Ceriani (Benoît e Alcindoro), Luigi Della Monica e Marino Capettini (Parpignol), Franco Rizzo e Desaret Lika (sergente), Riccardo Mattiotto e Marco Tognozzi (doganiere). Eccellente la prova del cori del Teatro Regio di Torino, istruiti da Claudio Fenoglio e Ulisse Trabacchin.

Entrambe le serate, pienissime, sono state salutate festosamente da un pubblico sinceramente commosso.


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