Torino: una Juive cristiana

Grand-opéra per una gran riapertura: questa è la sintesi per l’inaugurazione della Stagione 2023/2024 del Teatro Regio di Torino, che torna a dimostrare la sua forza e la sua capacità di essere teatro aperto al mondo, con quello sguardo internazionale, riaccendendo la fiamma dopo gli anni di crisi economica, di chiusura pandemica, di commissariamento. Tornare ad essere faro nella programmazione operistico-musicale, inaugurando con un’opera francese assente da Torino sin dal 1885. Ecco dunque La Juive di Fromental Halévy, composta nel 1835, che narra le vicende della giovane ebrea Rachel, innamorata di Samuel che si rivelerà essere il principe dell’Impero Léopold, già legato alla principessa Eudoxie: intorno a loro, in pieno 1400, si svolge il Concilio di Costanza che vede il cardinale Brogni guidare i religiosi cattolici nel giudizio contro il riformatore religioso Jan Hus. Qui già si distinguono le diatribe politiche e religiose tra ebrei e cristiani, che vedono emergere con forza il gioielliere ebreo Éléazar, smosso da sentimenti di odio e vendetta e che porterà sé stesso e la figlia (adottiva) Rachel sul rogo, condannati dal vero padre di lei, lo stesso cardinal Brogni. Si aggrovigliano tra di loro amore, fede, vendetta e tutta una serie di sentimenti e di conflitti che, attraverso diversi stati d’animo, si intersecano e prendono forma grazie alla musica di Fromental Halévy e al libretto di Eugène Scribe.

A dar nuova vita a questa complessa ed imponente opera, un secolo e mezzo dopo la sua ultima esecuzione a Torino, è chiamato il regista Stefano Poda, decisamente di casa al Teatro Regio, che come sempre, con il suo taglio visionario ed un’impostazione che trascende i riferimenti geografici e temporali della vicenda, si fa apprezzare per una delle sue (forse) più riuscite produzioni. Tiene in mano tutti gli aspetti registici, curando egli stesso regia, scene, costumi, coreografie e luci e facendosi affiancare dal sempre fidato collaboratore Paolo Giani Cei.

Imponente, forte e sovrastante è la religiosità presente in scena, con una fin troppi eccessiva presenza di simboli cristiani (croci, cristi, prelati, richiami cattolici) a dispetto di esigui accenni all’ebraismo: tra tutti, il gesto dello spezzare il pane azzimo durante la scena della Pasqua ebraica. Onnipresente è la croce, simbolo del soverchiamento della religione cristiana su quella ebraica, che si rivelerà essere lo stesso rogo di Rachel alla fine dell’ultimo atto: croce dunque che è simbolo di morte e di condanna, ma al contempo di fede e di appiglio per i fedeli stessi. Gesù Cristo accompagna l’evolversi delle vicende della povera e sventurata Rachel (e di chi la circonda), dalle palme che accompagnano la Pasqua nel primo atto alla via crucis verso il finale, come una vorticosa discesa verso l’abisso in cui sprofonderanno tutti alla fine.

Tantum religio potuit suadere malorum giganteggia durante tutta l’esecuzione, richiamando la critica di Lucrezio nei confronti della religione: i giochi di luci, l’imponente impianto scenico che si alterna in continue rotazioni, i saliscendi dall’alto dell’impressionante astrolabio in continuo e girevole movimento, mentre dal basso emerge prima la casa di Éléazar e Rachel che, successivamente, diventa la prigione dove si svolgono gli incontri che porteranno all’epilogo i protagonisti. Ancora una volta Poda impressiona, colpisce, fa discutere.

Sul podio torna Daniel Oren, che conosce assai bene i complessi del teatro e assai bene, come potremo vedere e sentire, la partitura de La Juive, che diresse per la prima volta nel 2006 a Londra alla ROH, ripresa poi a Parigi ed, infine, portata qui a Torino, tracciando un’immaginaria linea che collega le grandi capitali musicali europee. Partitura che il Maestro sente molto personale, dati i temi trattati, la provenienza geografica e la fede del direttore israeliano che dipinge con pennellate musicali su una grande ed immaginifica tela, rendendo vivo e drammaticamente forte il grand-opéra composto da Halèvy.

Il contatto con l’orchestra è costante e saltuariamente si odono i brontolii e gli spasmi che da sempre contraddistinguono Oren: aspetti che non inficiano un’esecuzione profonda, mirabile, tesa sempre a sostenere i cantanti e il coro nell’evolversi delle vicende, senza mai soverchiare gli stessi ma, al contempo, senza mai risparmiarsi nel limitare l’orchestrazione, come nei delicatissimi passaggi quali la preghiera del II atto o la romanza Il va venir, passando attraverso i più dirompenti concertati e le strette. Ogni tema, ogni situazione musicale, è ben evidenziata, grazie anche alla complicità con l’Orchestra del Teatro Regio di Torino, che si trova ad affrontare temi musicali più noti (sono molteplici i richiami alla forma del melodramma italiano, essendo Halévy allievo di Cherubini e avendo una evidente influenza del belcanto italiano) in una struttura assai poco eseguita come quella del grand-opéra francese. Tuttavia, tutti gli strumenti risuonano in maniera eccellente, in termini di qualità strumentale ed esecutiva e lasciandosi apprezzare nel notevole dispiegamento orchestrale.

Il Coro risulta quasi un ulteriore protagonista all’interno dell’opera, poiché sono molteplici gli interventi che confermano le sempre più evidenti qualità, che fanno apprezzare l’omogeneità e la pastosità vocale, nonché la capacità di adattarsi ai dettami della regia e della direzione orchestrale. Un ottimo inizio stagione, dunque, per il maestro del Coro Ulisse Trabacchin, subentrato già in estate.

La Juive, ossia l’ebrea Rachel, vive grazie all’arte interpretativa di Mariangela Sicilia, che debutta il ruolo cogliendo tutte le sfumature di un personaggio sì innamorato, ma pronto a tutto, sino a morire, pur di far emergere i sentimenti di amore, di fede, di devozione verso coloro che immeritatamente, forse, le stanno intorno: l’amato Léopold che rinnegherà l’amore per lei, il cardinal Brogni che si scoprirà essere padre naturale e carnefice, sino al padre adottivo Éléazar, che accecato da odio e vendetta porterà entrambi sul rogo. In tutto ciò, illumina il canto sfumato, elegante ma al contempo dirompente del soprano calabrese, che sa fare magistrale uso dello strumento vocale, alternando momenti di toccante delicatezza come nei duetti amorosi o dialoganti col padre Éléazar e nella toccante romanza Il va venir, adorna di piani e mezzevoci perlate, sino a svettare con folgorante grinta nei numerosi concertati e nelle strette, sotto l’attenta direzione di Oren. Cantante completa e ormai affermata, Mariangela Sicilia continua il suo percorso di maturità vocale e scenica. Per chi oggi volesse approcciarsi al canto lirico e ad uno studio approfondito di questo, lo spassionato consiglio dello scrivente è di andare a teatro e sentire, vedere e meticolosamente studiare l’arte di Gregory Kunde. Il tenore americano vanta con orgoglio 69 anni di età e oltre 40 anni di carriera, arrivando a debuttare a Torino nel complesso e impegnativo ruolo di Éléazar, dimostrando che studio, tecnica e disciplina sono basi fondanti su cui costruire un percorso artistico, a cui sapientemente amalgamare musicalità, istinto e passione. Ecco dunque in scena un padre costantemente combattuto tra fede, onore e amore, dove la religiosità più volte prende il sopravvento a discapito, poi, della vita stessa. Kunde sfoggia una tenuta vocale ferrea, con una perfetta attenzione al porgere la parola e alla pronuncia francese, senza mai disperdere vocali o consonanti, anche laddove i momenti musicali si fanno irruenti o frenetici: gli acuti risultano vibranti e ricchi di brillantezza, così come il registro medio-grave, mai sfocato. Ma se durante tutta l’esecuzione si rimane ammaliati, è nell’atteso cantabile Rachel, quand du Seigneur, seguito dall’intrepida cabaletta Dieu m’éclaire, fille chère, che il tenore incanta, sorprende, commuove sino a rendere sospesa l’aria all’interno della sala, che esplode in boati di approvazione e scroscianti applausi a fine esecuzione.

Altro grande artista che Torino ben conosce è Riccardo Zanellato, impegnato qui nella somma veste del potente cardinale Brogni, presidente del Concilio che si scoprirà essere padre naturale della povera Rachel e al contempo suo giudice mortale. Il basso veneto, più volte impegnato in ruoli religiosi nel grande repertorio melodrammatico, dimostra anche questa volta la sapiente capacità di adattare la sua voce di basso cantabile ad una parte che prevede spesso affondi assai grave, mai travolto dall’imponente orchestrazione ma anzi, eseguendo con eleganza anche i passi più drammatici.

Contraltare alla voce più scura e corposa di Rachel è quella più brillante di Eudoxie, la principessa nipote dell’Imperatore che è interpretata dalla giovane Martina Russomanno, che seppur giovanissima dimostra sin dalla sua entrata in scena la capacità di muoversi sul palcoscenico e facendo intuire che, se ben percorsa, la strada del belcanto sarà la sua: la voce è interessante, ancora da affinare in alcuni passaggi nel registro acuto, ma sono buone le intenzioni e la proiezione del suono, considerata la virilità di alcuni momenti, è ragguardevole.

Ioan Hotea è il doppiamente innamorato principe Léopold, diviso tra l’ebrea Rachel e la cristiana Eudoxie, complice nello scatenarsi delle vicende che lo vedranno tuttavia graziato rispetto al giudizio di coloro che tradiscono i dettami della fede. Il tenore romeno dà prova di una vocalità da che sa arrampicarsi bene lungo le altezze previste per la sua parte (talvolta scivolando lievemente), ma sapendo comunque reggere una scrittura impervia, esposta sul passaggio e sul registro acuto, avendo altrettanta robustezza nel medio-grave. L’interprete è coinvolto e convincente, lasciando emergere la giovialità amorosa e sapendo trascinare lo spettatore nel coinvolgimento affettivo per Rachel, in particolare nell’applaudito duo Que ton coeur m’appartienne.

Convince per musicalità e vocalità il Ruggiero del basso-baritono canadese Gordon Bintner, nelle astiose vesti di colui che aizza la folla cristiana contro gli ebrei, con voce brunita e svettante; altrettanto apprezzate e a modo le voci gravi del baritono Daniele Terenzi nei panni del sergente Albert e del basso Rocco Lia nei panni di un araldo. A completamento del cast, come spesso accade, sono stati coinvolti alcuni membri del Coro del Teatro Regio: qui il tenore Leopoldo Lo Sciuto come ufficiale dell’imperatore e i due baritoni Lorenzo Battagion e Roberto Calamo come uomini del popolo.

Successo di pubblico, di attenzione mediatica e, soprattutto, di esiti artistici per quella che speriamo essere la rinata vita del Teatro Regio di Torino, che vedrà una ricca stagione con un’attenzione particolare ai festeggiamenti pucciniani.

Leonardo Crosetti
(21 settembre 2023)

La locandina

Direttore Daniel Oren
Regia, scene, costumi, coreografia e luci Stefano Poda
Regista collaboratore Paolo Giani Cei
Personaggi e interpreti:
Rachel Mariangela Sicilia
Éléazar Gregory Kunde
Eudoxie Martina Russomanno
Léopold Ioan Hotea
Brogni Riccardo Zanellato
Ruggiero Gordon Bintner
Albert Daniele Terenzi
Un araldo Rocco Lia
Un ufficiale dell’imperatore Leopoldo Lo Sciuto
Un uomo del popolo Lorenzo Battagion
Un altro uomo del popolo Roberto Calamo
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Maestro del coro Ulisse Trabacchin

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