Recensioni - Opera

Siegfried fra teatro di regia e accenti borghesi a Erl

Ironica ma non sempre convincente la regia di Brigitte Fassbaender. Solida la compagnia di canto

Si conclude nell’estate 2023 la messa in scena della tetralogia wagneriana a cura di Brigitte Fassbaender, il ciclo verrà presentato integralmente per due volte nella prossima estate del 2024.

Prima dell’atteso finale con la Götterdämmerung (Il Crepuscolo degli Dei) è andato in scena al Passionspielhaus di Erl Siegfried di Richard Wagner. Seconda giornata della tetralogia del Nibelungo, affidata alla regia di Brigitte Fassbaender e alle scene e costumi di Kaspar Glarner.

La regista procede con un allestimento che punta spesso sull’ironia e sull’accento borghese dei personaggi, frequentemente visti, Dei compresi, come piccoli borghesi che si arrabattano nelle cose della vita comune. Intuizione non sbagliata poiché, se si tralasciano le istanze più filosofiche, Wagner parla di oro rubato, di una casa non pagata (la reggia del Walhalla), di contratti e di matrimoni. Ne deriva una messa in scena a tratti minimalista, a tratti ispirata al “Regietheater”, a tratti piccolo borghese, che se in certi momenti convince con l’ironia creando qualche illuminazione drammaturgica inaspettata, in altri tarpa inevitabilmente i grandi momenti epici, riducendo spesso i personaggi a pure parodie. Insomma la Fassbaender osa qualcosa, ma subito pare tirarsi indietro, tornare al libretto in modo scontato; fa l’occhiolino al contemporaneo per poi rifugiarsi nel classico.

In Siegfried questa incertezza, che avevamo segnalato anche nella Walchiria dello scorso anno, si accentua, mescolando istanze diverse che guardano al simbolismo, al naturalismo, con alcuni sprazzi ironici che però risultano abbastanza slegati e avulsi dal contesto generale. Non mancano le “trovate”: l’anello è un tirapugni dorato, l’elmo magico occhiali da sole, mentre la spada resta semplicemente una spada. Si ha l’impressione che la Fassbaender si limiti a mettere in scena, affastellando via via soluzioni registiche disparate. Alla lunga la confusione prevale e alcune buone idee si perdono in un ripetersi di trovate per lo più fini a sé stesse.

Ma andiamo con ordine. Buona l’idea, forse la migliore di tutta la messa in scena, di teatralizzare il preludio mostrando un Siegfried bambino, accudito da Mime in una culla che è una specie di gabbia. Un Siegfried già irruento, ruzzante e aggressivo con la sua spada giocattolo, e che il nano solo difficilmente riesce a controllare.

La scena del primo atto è fin troppo naturalistica: l’incudine al centro in bella evidenza, un trituratore da cui Siegfried ricaverà la tornitura per rifondere Nothung, un tavolaccio per gli intrugli di cucina di Mime e così via. Al di là dell’inevitabile effetto chincaglieria, nulla funziona realmente, tutto sembra finto, artefatto, anche perché Vincent Wolfsteiner, che interpreta Siegfried, raramente riesce ad essere convincente nella serie di compiti a lui affidati dalla regia. Inverosimile dunque sia la rottura che la successiva forgiatura della spada (dalla cui forma cola inesorabile il liquido colorato atto a rappresentare il metallo fuso). I cantanti sono impegnati in continue azioni naturalistiche che non funzionano e che appesantiscono solo la narrazione senza illuminarla. Non per niente registi anche classici, pensiamo alla tetralogia del centenario di Chereau, saggiamente optano quasi sempre per un’azione defilata, che avviene di spalle, consapevoli della difficoltà di rendere credibile in particolare la lunga forgiatura della spada. L’incudine che nel finale si spezza sotto la lama di Nothung, non senza che il cantante debba prima visibilmente staccarne la sicura, è il coronamento di una serie di soluzioni sceniche poco convincenti.

Nel secondo atto si cambia strada e la foresta diventa un reticolo di assi stilizzate su cui si proiettano fiori o foglie a seconda delle circostanze. Alberich vive in una specie di tenda a lato del palcoscenico, mentre Wotan arriva dal pubblico e riparte dal pubblico nel suo peregrinare per il mondo. Il drago prima viene proiettato sullo sfondo ed è una immensa bestia dormiente, ricoperta di squame e scaglie. Successivamente però ci troviamo davanti ad un samurai distopico armato di lanciafiamme che, per fortuna di Siegfried, si inceppa al momento opportuno. È un tentativo di ironizzare sull’immaginario wagneriano? Va bene, ma allora perché far seguire un duello che tenta di essere credibile e scade nel ridicolo visto la poca mobilità degli interpreti? Ritorna perciò l’impressione di un lavoro registico condotto assommando una scena dopo l’altra, pescando in varie soluzioni senza curarsi troppo del progetto generale.

L’uccellino del bosco è una signorina in stile punk anni novanta affiancata da un mimo in capelli verdi, di nuovo varie suggestioni difficilmente collegabili e intellegibili. In generale poco azzeccati i costumi di Kaspar Glarner, veramente brutto poi il costume di Siegfried, camicia in flanella verde con gilet tecnico da operaio.

Bisogna anche oggettivamente dire che, ove gli interpreti funzionano scenicamente, lo spettacolo risulta immediatamente più credibile: molto efficace sia la scena Wotan Alberich, che Wotan Erda.

Infatti è il terzo l’atto più riuscito. Il palcoscenico rimane sgombro e sia Erda che Brünnhilde salgono lentamente da una pedana mobile a proscenio. La prima distesa in un letto che richiama l’unione fra lei e Wotan, che ritorna un giovanotto insicuro e si prepara all’incontro mescendo champagne; la seconda si leva davanti ad un cerchio di fuoco molto discreto che svanisce all’avvicinarsi di Siegfried. Iconica semplicità per un atto che la regista finalmente azzecca in pieno, senza creare sovrastrutture improbabili o mal riusciti tentativi di teatro realistico.

Fra gli interpreti spiccano sicuramente il Wotan di Simon Bailey e l’Alberich Craig Colclough, entrambi confermano l’ottima prova data in occasione dell’Oro del Reno e della Walchiria.

Simon Bailey è un cantante interprete a tutto tondo che, sorretto da una voce piena, omogenea, timbrata e duttile, riesce sempre ad essere credibile nel personaggio e a comunicare gli accenti di ironia ricercati dalla regista e spesso disattesi dagli altri interpreti. Ieratico e imponente nella rappresentazione della divinità, sa piegarsi ad accenti borghesi nella bella scena con Erda. Una prova maiuscola per lui.

Lo stesso dicasi di Craig Colclough, che riesce nel suo breve intervento a ridare tutta la disperazione ossessiva di Alberich, giocando con precisione, da attore studiato, con i pochi oggetti scenici a lui affidati, comprese lattine di bevanda energetica da cui beve in modo compulsivo. L’interprete è supportato poi da una voce stentorea, dal timbro particolare, quasi aspro; perfetta per il malvagio nibelungo.

Buona nell’insieme anche la prova di Peter Marsh come Mime, il tenore americano è dotato di voce ben educata e bilanciata e di discreta verve interpretativa. Si destreggia bene anche se non sempre riesce ad essere completamente a proprio agio, specialmente nell’azione del primo atto.

Christiane Libor si riconferma una Brünnhilde estremamente solida, con un canto spiegato, facilità agli acuti e una recitazione scarna e sorvegliata.

Siegfried era Vincent Wolfsteiner, cantante di notevole esperienza wagneriana. Ha dalla sua una bella voce, timbrata e omogenea, si mantiene prudente nei primi due atti per poi dare il massimo nel terzo in cui convince vocalmente particolarmente nel duetto finale. Purtroppo l’interprete è risultato fisicamente affaticato, con una figura molto lontana dall’idea del giovinetto senza paura che è Siegfried. Lento e appesantito nei movimenti non è mai riuscito ad essere credibile in particolare nei primi due atti in cui la regia richiedeva una serie di azioni eseguite con difficoltà e poca convinzione.

Completavano il cast l’ottima Erda di Marvic Monreal, cantante sicura e con una voce brunita di grande fascino; l’uccellino del Bosco di Anna Nekhames, non sempre immacolata negli acuti e il Fafner tonitruante di Anthony Robin Schneider.

Convincente e calibrata la concertazione di Erik Nielsen, che stacca tempi rilassati ma appropriati, illuminando la partitura wagneriana con un bel contrasto di sonorità ed un suono orchestrale turgido e pieno. Bella prova per l’orchestra dei Tiroler Festspiele Erl.

Ottimo successo di pubblico nel finale.

Raffaello Malesci (Giovedì 27 Luglio 2023)