Torino, Teatro Regio: “La fille du régiment”

Torino, Teatro Regio, Stagione lirica 2023
“LA FILLE DU RÉGIMENT”
Opéra-comique in due atti su libretto di  Jean-François Bayard e Jules-Henri Vernoy de Saint-Georges.
Musica di Gaetano Donizetti
Marie GIULIANA GIANFALDONI
Tonio JOHN OSBORN
Sulpice SIMONE ALBERGHINI
La marchesa di Berkenfield MANUELA CUSTER
La duchessa di Crakentorp ARTURO BRACHETTI
Hortensius GUILLAUME ANDRIEUX
Un caporale LORENZO BATTAGION
Un notaio FEDERICO VAZZOLA
Un contadino ALEJANDRO ESCOBAR
Orchestra e coro del Teatro Regio
Direttore Evelino Pidò
Maestro del coro Andrea Secchi
Regia, scene e costumi Barbe & Doucet
Luci Guy Simard
Torino, Teatro Regio, 21 maggio 2023
Penultimo titolo del cartellone 2023 del Teatro Regio di Torino “La fille du régiment” in arrivo dal Teatro La Fenice di Venezia convince pur con qualche inciampo.
Lo spettacolo firmato dal duo Barbe & Doucet si fa guardare ma non entusiasma. Pur risultando complessivamente godibile manca il gusto e lo stile di questo repertorio. La vicenda è vista attraverso i ricordi di Marie anziana. Durante l’ouverture vediamo la donna in casa di riposo ricordare la sua partecipazione alla guerra e poi ricevere la visita dei nipoti cui racconto il proprio passato che prende vita animando gli oggetti ricordo conservati dalla donna. Dopo questo inizio – fin troppo melanconico – la vicenda si svolge sul ripiano di un mobile tra souvenir tirolesi di gusto fin troppo kitsch, scatole di medicinali, carillon e giocattoli. Il tema della casa di riposo ritorna nel II atto con gli ospiti della stessa che sostituiscono i nobili invitati alla festa. L’idea di un piccolo popolo che agisce in contesto umano ricorda un poco quella vista nei “Die meistersinger von Nürnberg” allestiti da Stefan Herheim a Salisburgo nel 2013 ma rimanendone ben lontana dalla qualità complessiva. La regia indugia in movimenti stereotipati, quasi da bamboline da carillon, ritmi danzanti, colori accesi. Il tutto ha un sapore più da operetta che da opéra-comique di retrogusto patetico come questa dando un’impressione di generale superficialità. Va riconosciuto che il pubblico si diverte e appare coinvolto il che è sempre positivo ma uno sguardo più attendo non fatica a trovare elementi una non bilanciata corrispondenza tra musica e scena.A compensare gli sbandamenti stilistici della regia vi è per fortuna la direzione di Evelino Pidò che questo repertorio conosce e ama come pochi e che sa esaltarlo nel modo migliore. Il maestro torinese alterna ritmi spumeggianti e ripiegamenti lirici, con mano ferma e sguardo attento coglie tutte le sfumature della partitura, ne evidenzia il carattere perennemente oscillante tra brio e malinconia che procedono affiancati in un gioco caleidoscopico di sfumature. L’ottimo rapporto con Pidò porta l’orchestra del Regio a suonare al suo meglio così come ottima è la prova del coro ancora guidato da Andrea Secchi che purtroppo a breve lascerà il teatro torinese.
Il cast – ottimo sulla carta – ha un po’ risentito delle non facili condizioni climatiche vissute in queste settimane dal Piemonte che hanno giocato qualche scherzo alla salute degli interpreti. La prima vittima della situazione è stato Roberto De Candia, costretto a rinunciare già dopo la prima al ruolo di Sulpice e sostituito per l’occasione da Simone Alberghini. Il baritono bolognese si è subito ben inserito nello spettacolo e alle prese con un ruolo che ben conosce ha saputo realizzare un personaggio assai interessante. La voce è solida su tutta la gamma, di bel coloro e ben controllata mentre sul piano interpretativo non si può non apprezzare una lettura sobria e misurata, prima di eccessi o di tratti caricaturali, che valorizza soprattutto il versante umano e paterno del personaggio.
Un po’ di stanchezza – e uno stato di salute non impeccabile stando almeno ai mormorii circolanti – hanno bagnato un poco le polveri anche a John Osborn il quale resta un cantante di qualità superiore, sicuro e squillante sugli acuti – “Ah! Mes amis” è bissata a furor di popolo e senza sbandamenti – ma si percepiva una certa prudenza. Ci è parso meno acrobatico del solito, prudente nelle mezzevoci e smorzature e con un leggero senso di insicurezza nell’aria del II atto. Il freddo e l’umidità di questi giorni evidentemente possono aver avuto qualche comprensibile conseguenza.
Giuliana Gianfaldoni è una Marie musicale e precisa ma la voce è piccola e manca un po’ di autentica propensione virtuosistica che alcuni momenti dell’opera richiedono. Canta però con gusto, con controllo – anche se si vorrebbe un maggior squillo nel registro acuto – e l’accento giusto e pertinente sia nei momenti più patetici – che appaiono quelli più naturalmente nelle sue corde – sia nei tratti un po’ parodistici del II atto dove non manca di simpatia.Manuela Custer è impeccabile come Marchesa di Berkenfield. Ottima presenza vocale con l’innegabile talento di interprete e di attrice, mai eccessiva o sopra le righe, sempre capace di cogliere il tratto umano e sofferto del personaggio sottratto a qualunque cliché puramente buffo per darne una lettura assai più ricca e sfaccettata.
Lo spirito quasi offenbachiano della regia calza invece come un guanto ad Arturo Brachetti che sfoggia il suo talento nei panni della Duchessa di Crakentorp – ma compare in scena anche nei panni di un’infermiera psicopatica che insegue armata di siringa tutti gli ospiti del castello. Brachetti gioca alla perfezione la parte della gran dama un po’ blasé parodia perfetta delle dive dei telefoni bianchi, si concede qualche esempio del suo straordinario talento di trasformista e si cimenta pure in una parentesi cantata eseguendo quella “Cinciribin” che del repertorio popolare torinese è tra le canzoni più iconiche e amate.
Ottima presenza vocale per il caporale Lorenzo Battagion e riuscitissimo il sussiegoso Hortensius di Guillaume Andrieux. Completano il cast Alejandro Escobar (un contadino) e Federico Vazzola (un notaio).