Torino, Teatro Regio: “Die zauberflöte”

Torino, Teatro Regio, stagione d’opera 2023
“DIE ZAUBERFLÖTE”
Singspiel in due atti su libretto di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Pamina GABRIELA LEGUN
Tamino JOEL PRIETO
Papageno GURGEN BAVEYAN
La regina della notte SERENA SÁENZ
Sarastro, un oratore IN-SUNG SIM
Papagena AMÉLIS HOIS
Monostatos THOMAS CILUFFO
Prima dama LUCREZIA DREI
Seconda dama KSENIA CHUBANOVA
Terza dama MARGHERITA SALA
Primo armigero ENZO PERONI
Secondo armigero ROCCO LIA
Primo fanciullo VIOLA CONTARTESE
Secondo fanciullo ALICE GOSSA
Terzo fanciullo ISABEL MARTA SODANO
Orchestra e coro del Teatro Regio
Direttore Sesto Quatrini
Maestro del coro Andrea Secchi
Regia Suzanne Andrade e Barrie Kosky ripresa da Tobias Ribitzki
Animazioni Paul Barrit Ideazione «1927» (Suzanne Andrade e Paul Barrit) e Barry Kosky
Scene e costumi Esther Bialas
Torino, 02 aprile 2023
Arriva a Torino l’ormai storico allestimento di “Die Zauberflöte” creato per la Komische Oper di Berlino e che rivelò al mondo il talento anarchico e visionario di Barrie Kosky. Inutile negare che proprio l’allestimento del regista australiano fosse l’elemento di maggior attrattiva, anzi uno degli elementi più stimolanti dell’intera stagione lirica torinese.
La fruizione teatrale mostra tutto il fascino della produzione. Kosky, affiancato per l’occasione dal gruppo di video art berlinese “1927” si richiama a un immaginario visivo che è quello delle avanguardie berlinesi degli anni ’20 e in modo particolare all’estetica del cinema muto espressionista anche se non mancano suggestioni surrealiste e futuriste fino a un omaggio al Walt Disney più psichedelico, quello dei rosa-elefanti di “Dumbo”. L’impianto scenico è semplicemente elementare: un fondale vuoto su cui si aprivano alcune porte rotanti a varie altezze e praticabili laterali per il coro. Tutto quanto avviene è frutto delle proiezioni animate di Paul Barrit che creano ambienti e situazioni con una fantasia praticamente inesauribile. I costumi sono decisamente anni venti con espliciti riferimenti all’universo cinematografico e forte caratterizzazione espressionista per i personaggi oscuri – strepitosa la regina della notte tramutate in un mostruoso ragno dal corpo umanoide scheletrico e dagli arti infiniti. L’opera si apre con la scena della foresta, la corsa di Tamino è data dal vorticoso roteare dei filari di alberi tra cui volteggia un drago dalla bocca lamprediforme che finirà per ingoiare principe e dame trasportandoci nello stomaco del mostro colmo di ossa delle sue vittime. La cifra estetica così come il taglio ironico e scanzonato – Papageno che nel racconto uccide il drago a colpi di kung fu – sono segnate in modo definitivo.
In uno spettacolo così denso è quasi impossibile scegliere i momenti da sottolineare. Divertentissima la corte di Sarastro – luogo di scienza e tecnica – con i suoi eserciti di buffi automi animaleschi compreso un gigantesco elefante meccanico che serve da cavalcatura al mago; la scena della Regina nel II atto con l’angosciosa fuga di Pamina inseguita dalla mostruosa madre mentre le pareti circostanti acquisiscono tratti sempre più macabri; la discesa negli abissi dove avvengono le prove attraverso gli strati geologici della tecnica, dell’uomo e degli animali accomunati dall’inevitabile presenza della violenza. La scena delle prove del fuoco e dell’acqua – con un gigante meccanico e una discesa negli abissi oceanici – è tra le più suggestive che si siano viste in teatro. Centrale il tema della forza della musica che trova la sua rappresentazione più compiuta nella personificazione del suono del flauto, una Trilly flapper che volteggia nuda spargendo scie di note che animano le costellazioni e annullano le forze ostili. Non mancano momenti autenticamente poetici come quando Pamina raggiunge Tamino tra sciami di farfalle in volo.
L’impostazione dello spettacolo comporta una serie di modifiche strutturali. I parlati sono infatti soppressi, ne rimane una limitata soluzione proiettata sullo schermo al modo delle didascalie del cinema muto con l’accompagnamento di estratti di composizioni pianistiche di Mozart. Scelta certo impegnativa ma che nel contesto dello spettacolo riesce a funzionare perfettamente.
L’autentica regia è quasi assente. I cantanti sono quasi sempre fermi, quasi travolti dal caleidoscopico e soverchiante immaginario visivo. Va per altro riconosciuta la qualità straordinaria del lavoro che permette una perfetta interazione tra interpreti e proiezioni. Un senso di mancanza resta comunque. Lo spettacolo è visivamente straordinario ma resta incompiuto in quanto viene colto solo un aspetto dell’opera – quello più leggero e disincantato – manca invece tutta la componente più sprofonda e spirituale. “Die zauberflöte” è anche un mistero massonico imbevuto di simbolismi, quasi un viaggio iniziatico alla “ricerca di Iside” per citare il celebre studio di Jurgis Baltrušaitis che proprio dall’opera di Mozart prende l’avvio, e di questi aspetti non vi è traccia e non è carenza di poco conto. Inoltre il virtuosismo tecnico lascia l’impressione di una certa freddezza.
La direzione di Sesto Quatrini è perfettamente in linea con la parte visiva. Ritmi brillanti, sonorità chiare e nette, colori tersi e squillanti. Quello che manca è però anche qui un maggior approfondimento e una maggior profondità. A soffrirne sono non solo i momenti più solenni e sacrali ma anche quelli più lirici come gli assoli di Pamina dove non avrebbe guastato un maggior abbandono. Nulla da eccepire sulle ottime prove di coro e orchestra.
La compagnia di canto ha presentato alcune sostituzioni per indisposizione degli interpreti previsti. Il ruolo di Pamina – fortunatamente prima dei caratteri aracnomorfi della madre e ispirata sul piano scenico all’attrice Louise Brooks – è stato sostenuto per la terza sera consecutiva dalla polacca Gabriela Legun. Un po’ di ovvia cautela si è notato ma la giovane cantante dispone di un materiale interessante. Voce ampia, sicura, ricca di armonici e compatta su tutta la gamma manca invece un accento più trepidante e patetico che non guasterebbe.
L’altro elemento proveniente dalla seconda compagnia è stato il baritono Gurgen Baveyan. Voce non grande ma ben proiettata, dal timbro chiaro e piacevole e soprattutto capace di rendere molto bene la tenera ingenuità del Papageno – Buster Keaton voluto dalla regia.
Joel Prieto è un tenore lirico dalla bella voce morbida e luminosa che canta con gusto ed eleganza l’aria del ritratto ma nei momenti più drammatici tende ad aprire troppo il suono mostrando qualche durezza. Molto solido il Sarastro di In-Sung Sim con una voce ricca e pastosa che gli fa perdonare qualche difficoltà nel settore più grave. Nell’economia dello spettacolo è chiamato a interpretare anche l’Oratore cui dona giusta autorevolezza. Una menzione per la prova di Serena Sáenz. La giovanissima cantante spagnola non solo domina la parte dell’Astrifiammante con assoluta naturalezza, salendo facile e pulitissima agli acuti più estremi ma si mostra in possesso di una voce davvero bella, morbida e luminosa, unita a una personalità già non trascurabile capace di dare uno spessore drammatico alla parte, giustamente non ridotta solamente alla sicurezza sugli acuti.
Amélie Hois è una Papagena simpatica e spigliata, perfettamente a suo agio nei panni della ballerina d’avanspettacolo prevista dalla regia e soffre solo del taglio della scena del travestimento da vecchia. Thomas Ciluffo è un Monostatos vocalmente e scenicamente efficacie in un personaggio che la regia modella sul Nosferatu di Murnau. Lucrezia Drei e Margherita Sala sono quasi un lusso come Dame della regina – affiancate da Ksenia Chubunova. Completano ottimamente il cast gli armigeri di Renzo Peroni e Rocco Lia ed i geni di Viola Contartese, Alice Gossa, e Isabel Marta Sodano.