Spettacoli 2022

Otello

20 agosto 2022

Il terzo titolo della quarantatreesima edizione del Rossini Opera Festival è Otello, seconda opera del cosiddetto periodo napoletano del Cigno Pesarese. 

Quando si dice Otello il pensiero corre, inevitabilmente, al dramma shakespeariano da cui è tratto, per altro, il grande capolavoro di Giuseppe Verdi (1884-1886). Il libretto dell’opera rossiniana, a cura di Francesco Maria Berio di Salsa, è ispirato, invece, ad “Othello, ou le More de Venise” del tragediografo francese Jean-François Ducis. Un foglio, e non un fazzoletto, diviene l’espediente con cui Iago scatena la gelosia di Otello; ma è soprattutto Desdemona a divenire il perno del dramma, unica donna oggetto del desiderio di tre uomini: Otello, Iago e Rodrigo, figlio del Doge. Sullo sfondo, nemmeno troppo soffuso, l’odio razziale per Otello, lo straniero, l’uomo dai costumi diversi.

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Eleonora Buratto

Rosetta Cucchi ambienta la vicenda nella metà del Novecento, all’interno di una residenza borghese (scene di Tiziano Santi). Durante la sinfonia vediamo Emilia sconsolata nel salone di rappresentanza, la donna si contorce disperata, come se le tornasse alla mente una tragica storia, quella di Desdemona ed Otello. Nel frattempo, sullo sfondo, vengono proiettati, come monito e richiamo all’attualità, stralci di giornale che parlano di violenza sulle donne. Con il primo atto ci troviamo trasportati nel flashback di Emilia (la quale rimane peraltro per tutto il tempo sullo sfondo della scena in quella che scopriremo più tardi essere l’ala del palazzo riservata ai domestici).  La scena è occupata da pochi elementi scenici, un grande tavolo, qualche poltrona, e una grande vetrata lascia intendere gli altri ambienti della residenza. Mentre i personaggi si muovono indossando eleganti abiti che rimandando agli anni quaranta del Novecento (costumi di Ursula Patzak), due schermi laterali mostrano le emozioni ed i ricordi di Desdemona e Otello: il rapporto problematico ed opprimente di Emiro verso la figlia, il riso diabolico di Iago, i volti delle comparse. Alla fine del primo atto, quando il dramma raggiunge il suo culmine con la pubblica accusa di infedeltà verso Desdemona, quest’ultima si copre il volto con un velo nero, un presagio della morte che la aspetta. Nel secondo atto la scena è capovolta e il dramma privato di Iago, Rodrigo, Otello e Desdemona si svolge nelle stanze dei domestici che osservano atterriti al duello e alle sfide tra i rivali in amore. Otello che, sino ad allora, ha indossato una elegante uniforme, si spoglia ora della giubba e rimane a nudo nella sua umanità mentre Iago ne approfitta per indossare lui stesso quella divisa manifestando il suo desiderio di potere. Uno dei momenti maggiormente riusciti dello spettacolo è il finale secondo: dopo essere stata schiaffeggiata da Otello al termine del terzetto con Rodrigo, Desdemona invoca la pietà del padre e mentre chiede notizie del suo innamorato (Otello) compaiono sulla scena donne con vesti imbrattate di sangue, vittime di violenza domestica proprio come lei; l’aria diviene quindi un manifesto contro il femminicidio e rappresenta una scena teatrale di sicuro effetto (merito anche delle belle luci di Daniele Naldi). Nel terzo atto, poi, ecco di nuovo il grande tavolo delle feste su cui Desdemona si accascia cantando la Canzone del salice; sopra la sua testa manichini (elementi scultorei a cura di Atelier Davide dall’Osso), abiti femminili che sembrano fantasmi, probabilmente donne vittime di violenza prima di lei e come lei. Sullo sfondo compare una ballerina che dà vita ad una coreografia accorata e disperata nella quale rivive il dramma della schiava Isaura, a sua volta vittima di un brutale assassinio nelle mura domestiche (movimenti danzati e tersicorea Yaimara Gomez). Nella semioscurità del palco si consuma la tragedia: Otello strangola Desdemona con il velo nero e, disperato, dopo averle dato un ultimo bacio, si accascia sul suo corpo esanime. Ecco allora che, quando tutto è compiuto, sullo sfondo, ci viene presentata la rievocazione di un banchetto: al centro della tavolata Otello e Desdemona sono felici, e dinanzi a tutti Emilia  esce di scena: forse tutto sta per ricominciare,  un episodio di violenza domestica che, ancora una volta, passa nel più assoluto silenzio e indifferenza. 

Un progetto registico ben realizzato, efficace nella costruzione di una gestualità asciutta e quantomai contemporanea. 

Di altissimo livello anche il versante musicale dello spettacolo, che qui riunisce alcune tra le maggiori eccellenze rossiniane nell’attuale panorama lirico internazionale.

Enea Scala interpreta uno dei ruoli rossiniani “Nozzari”, ovvero pensati per la tipica vocalità da baritenore. Oggi, la voce di Scala, con il suo seducente colore mediterraneo e il timbro ricco di chiaroscuri, si mostra ideale per questo personaggio. La linea vocale si muove con duttilità e disinvoltura dalle regioni più gravi sino a quelle più acute, le interpolazioni sopracute vengono risolte con esibita facilità. Significativo, inoltre, il bel contrasto tra le vocalità di Scala e degli altri due tenori principali (Korchack e Siragusa) per specificità timbrica e colore. La cura per l’accento e le sfumature nel fraseggio testimoniano un grande scavo nel personaggio che passa dalla fiera baldanza del trionfo militaresco di primo atto, all’incertezza del dubbio dell’insinuato tradimento di Desdemona nell’atto successivo, sino alla cieca rassegnazione di un uomo distrutto dal dolore nel tragico finale. L’innegabile prestanza fisica di Scala, unitamente alla irruenza e alla passionalità con cui vengono risolti taluni movimenti sulla scena, rendono questo Otello un uomo moderno e contemporaneo.

Eleonora Buratto è una Desdemona straordinaria. Il soprano mantovano giunge a questo appuntamento pesarese in una forma smagliante, con un mezzo opulento e rigoglioso che colpisce per il timbro avvolgente, il colore vocale caldo e squisitamente lirico. I centri suonano pieni e vibranti, il registro superiore ampio e ricco di armonici. Dopo i recenti trionfi nella pucciniana Madama Butterfly al Metropolitan di New York, la Buratto si presenta ora mostrando una assoluta familiarità con la scrittura del Cigno Pesarese, tanto nei momenti più estatici, quanto in quelli di maggiore virtuosismo. Giganteggia nel secondo atto, dapprima nel terzetto con Otello e Rodrigo e quindi nella micidiale aria finale dove sfoggia un eccellente dominio tecnico unitamente ad una grande forza espressiva. Nel terzo atto dipinge letteralmente la “canzone del salice” con malinconico abbandono per poi affrontare, volitiva e passionale, il suo tragico destino nel duetto con Otello. Una prova maiuscola che rimarrà a lungo nella memoria degli appassionati (come dimostrato dal boato che ne accoglie l’uscita singola alla ribalta finale).

Dimitry Korchack è chiamato ad affrontare il temibile ruolo di Rodrigo (il cui primo interprete fu il celebre Giovanni David) e supera la prova con risultati eccellenti. La voce, dal timbro suadente, presenta un bel colore chiaro e si caratterizza per una ragguardevole elasticità tanto nella salita verso le più alte vette del pentagramma quanto nel canto di agilità. Degne di nota, inoltre, sono le interpolazioni e le variazioni, sempre di gusto e stilisticamente pertinenti. Da segnalare, in tal senso, l’ottima esecuzione dell’aria di secondo atto “Che ascolto”, vero banco di prova per chi esegue questo repertorio, nella quale il tenore sfoggia un registro superiore squillante ed esibito con sprezzante facilità. Sempre gradevole ed intensa la presenza scenica.

Nel ruolo di Iago, Antonino Siragusa. Il tenore, oggi tra i più acclamati interpreti rossiniani e beniamino del ROF, forte della pluriennale frequentazione di questo repertorio, mostra una vocalità solida e corposa, compatta e ben proiettata verso l’acuto. Rilevante è poi, specialmente in questa occasione, la capacità con cui Siragusa sa piegare il suono ai fini espressivi: ed ecco, allora, uno Iago subdolo, insinuante ed arrivista. A ciò si aggiunga una presenza scenica riuscita a tutto tondo, sia per la naturalezza e la disinvoltura dei movimenti, sia per l’eleganza del portamento.  

Convincente l’Elmiro di Evgeny Stavinsky, grazie ad un mezzo brunito e musicale che ben si adatta alle esigenze della scrittura. Il fraseggio, aulico e ben scolpito, dona a questo ruolo la giusta ieraticità.

Adriana di Paola dona ad Emilia, che, come già ricordato, si rivela personaggio chiave nello svolgimento della vicenda secondo il progetto registico della Cucchi, una presenza scenica sempre partecipata e di grande espressività. Sotto il profilo meramente vocale, pur facendo sfoggio di un buon volume, si rivela perfettibile per intonazione.

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Evgeny Stavinsky, Eleonora Buratto, Dmitry Korchak ed Enea Scala

Note positive per Julian Henao Gonzalez, che interpreta il duplice ruolo di Lucio e un Gondoliero con freschezza vocale.

Completa la locandina il bravo Antonio Garés nei panni di un Doge.

Il Maestro Yves Abel, dal podio, offre una lettura convincente ed accorata del capolavoro rossiniano. Sin dalla sinfonia si coglie quella tensione narrativa che, con il proseguire del dramma, diventerà sempre più opprimente in un turbinio di emozioni contrastanti che porteranno al tragico epilogo. Grande è l’attenzione nella scelta dei colori, dei volumi e dei tempi in un quadro sonoro complessivo che funziona e che si rapporta con buona coesione rispetto alle voci impiegate sul palco.

In gran forma l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, attentissima e meticolosa nel seguire il gesto di Abel.

Di buon livello la prova del Coro del Teatro Ventidio Basso, diretto con solida professionalità dal Maestro Giovanni Farina.

L’ultima serata operistica di questa edizione del ROF è coronata, al termine, da un successo travolgente per tutta la compagnia di canto, direttore e anche per Rosetta Cucchi, presentatasi inaspettatamente alla ribalta finale.

Marco Faverzani Giorgio Panigati

20 agosto 2022

Secondo titolo del 43°mo Rossini Opera Festival è Otello, il conosciutissimo dramma dove lo scontro tra culture la fa da padrone. Nella visione di Rosetta Cucchi, regista di questa produzione, lo scontro si fa di classe e la condizione femminile è posta al centro, coadiuvata da un libretto in cui Desdemona è già assoluta protagonista. L’azione è spostata in un passato molto vicino a noi, forse gli anni ’60 del XX°mo secolo, e ci troviamo nei ricordi di Emilia. Otello è un militare in carriera (non di discendenza africana) circondato dalle invidie e dal disprezzo soprattutto per via del suo ceto. La famiglia altoborghese di Desdemona non può accettare un matrimonio con altri se non con il “figlio del Doge”, Rodrigo.

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Dmitry Korchak e Eleonora Buratto

Le splendide scenografie di Tiziano Santi riproducono una grande sala da pranzo nel primo atto, un ambiente di servizio nel secondo, e la stessa sala da pranzo ma spoglia e buia nel terzo. L’opulenza fa da cornice alle vite di questi personaggi intrappolati chi dalle circostanze e chi dal proprio carattere. Alcuni brevi video proiettati all’interno di due grandi cornici offrono inoltre uno spaccato dei pensieri e soprattutto dei ricordi che le situazioni sceniche evocano ai personaggi. Risalta la cura registica nella definizione dei caratteri e l’evidente collegamento tematico alla problematica del femminicidio. Desdemona è tartassata da ogni angolazione, il padre le vuole imporre un matrimonio che non desidera, l’uomo amato arriva a credere che le sia infedele (e risponde con enorme violenza a questa convinzione) a causa delle trame di Iago che le mette in atto per pura invidia e Rodrigo, pur professando amore nei suoi confronti, come tutti gli uomini intorno a lei, è possessivo e prepotente. Desdemona è oggetto, mai soggetto, come molte donne che hanno avuto modo di viverlo sulla propria pelle in passato e nel presente. Il no dipinto sulle mani di Desdemona e delle comparse alla fine del secondo atto e le bellissime, eteree creazioni scultoree dell’Atelier Davide dall’Osso che evocano tutte le donne vittime di femminicidio e che sovrastano i protagonisti nel terzo atto, sono di forte impatto emotivo. In Italia le vittime di femminicidio tra gennaio e agosto 2022 sono circa 60, una cifra che fa rabbrividire se si pensa a quanta altra violenza sommersa esista. Classici, elegantissimi e dai lussuosi materiali i costumi, ideati dalla pluripremiata Ursula Patzak.

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Dmtry Korchak e Antonino Siragusa

Se la visione registica convince appieno non è da meno il versante musicale dello spettacolo: un cast di eccellenti interpreti dà vita ad una indimenticabile rappresentazione di questo splendido titolo rossiniano. Enea Scala nel ruolo del titolo dimostra fin dalla cavatina “Ah sì, per voi già sento” la notevolissima duttilità del proprio strumento, capace di grande risonanza nel registro più grave e prestanza muscolare in acuto. Il ruolo è impervio e Scala affronta con sicurezza ogni difficile richiesta della partitura. Eleonora Buratto dal canto suo è una pregevolissima Desdemona e se il libretto ritrae con efficacia anche la forza d’animo del personaggio oltre al duolo il soprano trasmette in ogni accento un vivido caleidoscopio di emozioni. Di forte impatto la sua grande aria che conclude il secondo atto. Straordinario il Rodrigo di Dmitry Korchak. Il tenore possiede uno strumento di rara luminosità che piega, con un fraseggio curatissimo, alle esigenze drammaturgiche cesellando un personaggio sfaccettato e multidimensionale. Sensazionale l’aria del secondo atto “Che ascolto! ahimè! che dici!” dove il tenore ricama ogni nota e sgrana le colorature con morbidezza (il legato è impressionante per la difficoltà dell’aria), riuscitissimo inoltre il terzetto seguente “Ah vieni, nel tuo sangue” dove le voci di Scala, Buratto e Korchak si intrecciano meravigliosamente.

Il ruolo di Iago è sapientemente affrontato da Antonino Siragusa ed il severo padre Elmiro da un tonante Evgeny Stavinsky. Convince meno la tremolante Emilia di Adriana di Paola. Bene Julian Henao Gonzalez e Antonio Garés, rispettivamente Lucio/Gondoliero e Doge. Sempre pertinente ed efficace la lettura musicale di Yves Abel alla testa dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai che da ottima prova di sé. Il dialogo buca/palcoscenico è pressoché perfetto e contribuisce grandemente alla riuscita dell’insieme. Applausi assordanti da parte di una platea quasi al completo portano meritatamente in trionfo l’intero cast al termine di una rappresentazione davvero emozionante per contenuto e per qualità artistica (il finale in cui sullo sfondo appare il futuro che avrebbe atteso tutti i protagonisti se le cose fossero andate diversamente scuoterebbe anche i sassi).

Margherita Panarelli

OTELLO
Dramma per musica in tre atti di Francesco Berio di Salsa
Musica Gioachino Rossini
Edizione critica della Fondazione Rossini, in collaborazione con Casa Ricordi, di Michael Collins
Otello Enea Scala
Desdemona Eleonora Buratto
Elmiro Evgeny Stavinsky
Rodrigo Dmitry Korchak
Iago Antonino Siragusa
Emilia Adriana di Paola
Doge Antonio GarésLucio
Gondoliero Julian Henao Gonzalez

Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Coro del Teatro Ventidio Basso
Direttore Yves Abel
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Elementi scultorei Atelier Davide Dall’Osso
Costumi Ursula Patzak
Luci Daniele Naldi
Movimenti danzati e Tersicorea Yaimara Gomez

FOTO: ROF – AMATI BACCIARDI