Recensioni - Opera

La Walchiria di Wagner al festival di Erl in Tirolo

Buona esecuzione musicale con un cast all’altezza per la prima giornata della tetralogia wagneriana. Illustrativa la regia di Brigitte Fassbaender

Al rinomato festival tirolese di Erl arriva la prima giornata della tetralogia, programmata al Passionspielhaus dal 2021 al 2024. Nel 2025 tornerà poi la messa in scena della passione per cui il grande teatro nel verde delle colline tirolesi è stato concepito e costruito a metà del secolo scorso.

Si conferma di notevole impatto sia sonoro che scenico la presenza della grande orchestra dei Tiroler Festspiele posizionata in fondo alla scena, quasi in verticale, divisa dall’azione solo da un velario, mentre l’opera si svolge a proscenio.

Lo spazio del Passionspielhaus è particolare e sicuramente di non facile gestione. La regista Brigitte Fassbaender nell’allestimento dell’Oro del reno, seppur minimale, era riuscita a convincere con alcune scelte interessanti e ricorrendo spesso all’ironia; meno convincente nel complesso invece l’allestimento della Walchiria.

Brigitte Fassbaender non riesce a trovare la quadra per utilizzare in modo originale e coinvolgente lo spazio e si limita ad una regia illustrativa, narrando con accuratezza i fatti e organizzando bene gli interpreti, senza tuttavia delineare mai una linea chiara e senza introdurre una direzione e una lettura propria e originale. La preparazione scenica dei cantanti è sempre precisa e accurata, tuttavia spesso si scivola verso un’interpretazione tradizionale della drammaturgia.

Il primo atto si apre su un triste salottino, con vecchi divani ricoperti di broccato, dove Sieglinde guarda la televisione da un apparecchio anni cinquanta. La tempesta interrompe le trasmissioni e poco dopo entra Siegmund in fuga. Hunding arriva poi insieme a due compari in cappotto e armati di lupara, tanto che per un attimo sembra di vedere compar Alfio arrivato direttamente dalla Cavalleria mascagnana. Si cerca di creare la tensione attraverso una finta ospitalità, tuttavia la merenda con pane e salame, servita da Sieglinde, risulta poco efficace, anche perché mangiata avidamente soltanto dai mimi con effetto quasi comico. Il resto dell’azione si svolge nel salottino in modo abbastanza statico. Non mancano certo l’albero e la spada sistemati in centro alla scena. L’azione è costantemente accompagnata da immagini proiettate che però di nuovo illustrano più che interpretare, tanto che la famosa primavera nel finale dell’atto irrompe con un profluvio di immagini di foglie e fiori creando un effetto suggestivo ma puramente decorativo.

Ancora più spoglio il secondo atto, non manca però un tavolo dove Wotan scrive e ragiona probabilmente sul contratto che lo incatena al destino dell’anello. L’irrompere di Brünhilde è semplice e cerca l’effetto ironico sul suo celebre grido di battaglia, che diventa una specie di gioco fra lei e il padre Wotan. Si percepisce un tentativo di dare alla recitazione una direzione ironica, quasi borghese, dei rapporti familiari, ma questa cosa passa con chiarezza solo dal personaggio di Wotan, che Simon Bailey riesce a rendere con efficacia; non traspare tuttavia dagli altri interpreti, che si appoggiano su una recitazione ben più schematica e di routine, inficiando probabilmente gli intenti registici. Due pedane mobili ai lati della scena creano un qualche dislivello, mentre le immagini onnipresenti rappresentano rocce e montagne. (Scene di Kaspar Glarner e immagini di Bibi Abel). Da qui in poi nulla più accade se non una tutto sommato coerente organizzazione delle posizioni e qualche ascesa o discesa a livelli superiori o inferiori grazie alle pedane laterali.

Più movimentato il terzo atto, con al centro una piscina dove le Walkirie lavano i cadaveri degli eroi prima di resuscitarli e condurli al Walhalla. Curiosa e inspiegabile la presenza di un manichino accanto a due figuranti in carne e d’ossa. La famosa cavalcata è risolta con qualche pedana idraulica che si solleva a proscenio, su cui le Walkirie salgono per salutare festose il prossimo arrivo della sorella Brünhilde. Non mancano ovviamente i lampi e immagini di nuvolaglia imbizzarrita. Wotan arriva tranquillamente dalla platea e, scomparse le Walkirie, l’azione torna sostanzialmente convenzionale. Loge è un ragazzo vestito di giallo che gioca con un accendino, si scotta ovviamente con il fuoco, creando con la sua presenza una sorta di straniamento. Tuttavia la sua apparizione dall’alto è troppo anticipata e crea distrazione. Il finale è impostato nel più classico dei modi con Brünhilde addormentata su un letto di pietra, qualche fiammata qua e là e un perimetro luminoso inondato di fumo. Indubbiamente suggestivo l’effetto, ma di nuovo prevale il decoro e l’illustrazione scenica più che una lettura innovativa dell’azione.

Decisamente più a fuoco il versante musicale con l’ottima orchestra ben diretta da Erik Nielsen, nominato da poco direttore musicale del festival tirolese. Nielsen sceglie un approccio non particolarmente muscolare, privilegiando una versione meditativa della partitura, con un suono pieno e amalgamato che sa però sciogliersi nel pieno orchestrale ove necessario. Nielsen e l’orchestra danno il loro meglio nel terzo atto ove riescono a stagliare in modo convincente il sinfonismo wagneriano. Un’ottima prova d’insieme per la compagine tirolese.

Ad essa si affianca un cast ben selezionato e nel complesso di ottimo livello.

Simon Bailey è un baritono musicale e intelligente nell’amministrare uno strumento ottimamente sorvegliato ma di non strabordante potenza. Egli disegna un Wotan quasi nevrotico, intimista, facendo sfoggio di un canto musicale, ben appoggiato e dallo smalto piacevole e adamantino in particolare nel registro medio. A questo si aggiunga una recitazione spigliata, ironica e molto spesso caricata, con espressioni quasi da commedia in particolare nel duetto con l’insopportabile moglie Fricka. Un personaggio a tutto tondo il suo, ben riuscito nel complesso a cui si perdona volentieri un qualche comprensibile affaticamento nel finale della lunga parte. Al suo fianco la navigata esperienza wagneriana di Christiane Libor come Brünhilde. Cantante sicura e dalla voce svettante, impressiona per l’acuto facile e il fraseggio accurato anche se non sempre ficcante. Affronta la parte con grande professionalità, restando sempre algida e distante nella recitazione.

Splendido debutto come Sieglinde per Irina Simmes, che convince pienamente sia vocalmente che scenicamente. Dotata di grande carisma scenico e di una recitazione accurata e calibrata, sfoggia altresì una voce sonora, ben centrata sui fiati, equilibrata nel registro medio e con facile ascesa agli acuti. Al suo fianco non sfigura il Siegmund di Clay Hilley, che convince grazie ad una facile propensione a incanalare acuti timbrati e squillanti, dotati di grande spessore, con cui scavalca con facilità la spesso rigonfia massa sonora dell’orchestra wagneriana. Rimane da migliorare il fraseggio a tratti generico e la calibratura dei fiati e dei volumi nella discesa al registro medio. Da mettere a fuoco la resa scenica del personaggio, in particolare nel coinvolgimento sentimentale così fondamentale al personaggio di Siegmund.

Completavano il cast in modo corretto Claire Barnett Jones, Fricka, e Anthony Robin Schneider, Hunding. Ben amalgamate anche se non indimenticabili il gruppo delle Walkirie: Ekin Su Paker, Mojca Bitenc, Nina Tarandek, Corinna Scheurle, Anna Werle, Anna-Katharina Tonauer, Marta Herman, Ksenia Leonidova.

Pubblico numeroso per questa prima. Grandi applausi per tutti nel finale.

Raffaello Malesci (9 Luglio 2022)