Pesaro: al ROF un Bruschino vanziniano

Sarà certamente vero, come si legge nel programma di sala (quelli del ROF sono una preziosa collana), che Il signor Bruschino, nato “sotto la cabala di un fiasco annunciato”, è destinato oggi “a sicuro successo”. Però è anche vero che nelle 42 edizioni del festival pesarese l’ultima delle cinque farse, composte a Venezia da Rossini all’alba della sua carriera, non ha goduto di particolare attenzione. Quella di cui è andata in scena ieri sera al teatro Rossini l’anteprima – la prima “ufficiale” con diretta Radiotre è in programma martedì 10 agosto – è infatti soltanto la terza produzione, per un totale (se non abbiamo consultato male l’archivio on line della rassegna) di cinque apparizioni di questo titolo, assai distanziate nel tempo. L’unica a essere ripresa è stata la storica edizione di Roberto De Simone, datata 1985, che è tornata nel 1988 e nel 1997. Poi sono passati quindici anni prima dello spettacolo affidato ai giovani fiorentini del Teatro Sotterraneo, che nel 2012 si sono inventati una sorta di “Luna Park Rossini” rutilante di gag dentro e fuori dallo spettacolo, di riuscita quanto meno dubbia e comunque mai ripreso.

Il non facile compito di ridare vita al Bruschino è stato affidato quest’anno – trascorso quasi un altro decennio – alla rinomata “sigla” Barbe & Doucet, che firma regia scene e costumi (luci di Guy Simard) e fa con questo spettacolo il suo debutto al ROF, dove giunge dopo avere raccolto molti successi da un capo all’altro dell’Europa. L’idea di base dello spettacolo, dal punto di vista scenografico, appare strampalata un po’ come la trama dell’operina, nella quale l’eterno plot di un matrimonio contrastato e alla fine raggiunto dai due “amorosi” della situazione passa attraverso gli equivoci di una sostituzione di persona. In base alla quale, il figlio del signor Bruschino, teoricamente destinato a impalmare la bella e passabilmente maliziosa Sofia, viene impersonato dal figlio di un acerrimo nemico del tutore della fanciulla, il senatore Florville. E naturalmente tutto gira intorno allo sconcerto e alle astuzie di Bruschino padre, coinvolto suo malgrado nel tourbillon.

Al teatro Rossini, dunque, la scena è occupata al centro da una ampia tartana da pesca, attraccata a una “riva” di veneziana memoria come l’origine di questa farsa. E tanto perché sia chiaro, una bricola chiarisce il contesto lagunare, anche se di acqua, dal punto di vista scenografico, non ce n’è e non se ne vede: la barca è appoggiata su un fondale inclinato color legno. La tartana ha nome “Il Mio Castello”, e ogni qualvolta un personaggio cita il castello del tutore di Sofia, la scritta si illumina e lampeggia. Il proprietario dell’imbarcazione, Gaudenzio, intrattiene gli ospiti vestito da yachtman, mentre intorno a lui girano due o tre famigli sicuramente abbigliati da pescatori: lo certificano i copricapi, le pipe e le barbe incolte.

Bruschino arriva in scena madido di sudore – perfino il suo soprabito è bagnato – e così si è subito introdotti nel tormentone del personaggio, che ad ogni istante sbotta lamentandosi del caldo. Per i registi-scenografi, la sua comicità consiste nel fatto che dopo aver dato la mano a Gaudenzio se la asciuga con aria un po’ schifata sul vestito. Ma soprattutto, nel fatto che dopo un pediluvio ristoratore offerto dal suo sollecito ospite, pensa bene di bersi d’un fiato l’acqua contenuta nella bacinella. E così la farsa diventa tale nel senso comune del termine (ma non in quello originale, che indicava un genere preciso e non necessariamente comico o troppo comico): una specie di sceneggiatura da commedia all’italiana di serie C nel quale il duetto fra tutore e pupilla si carica di doppi sensi mentre i due passano dalla barca grande a una scialuppa che oscilla pericolosamente, attraccata alla murata a mare dell’altra.

Una buona misura rossiniana, per fortuna, esprimono comunque i cantanti, a partire dall’esperto Pietro Spagnoli, che disegna un Bruschino caricaturale sì, secondo il volere dei registi, ma anche vocalmente corposo, duttile, espressivo quanto serve per provare a seguire l’idea di comicità del compositore oltre quella dei suoi registi. Sul versante debuttanti (o quasi) si fanno valere sia Giorgio Caoduro (prima assoluta al ROF), un Gaudenzio ironico e tutto sommato dominato dal suo buon cuore, capace di rotonda efficacia nella coloratura e di sorniona sottigliezza nel fraseggio, che il soprano valenciano Marina Monzó. Allieva dell’Accademia Rossiniana nel 2016 e l’anno seguente in scena nella ripresa della Pietra del paragone secondo Pizzi, Monzò segna qui un positivo debutto come primadonna sfoggiando voce ricca e ben controllata, facilità sull’acuto, eleganza di fraseggio e pertinenza stilistica.

Il tenore del Minnesota Jack Swanson, anch’egli debuttante assoluto al ROF, propone dell’amoroso Florville un’interpretazione ben calibrata, tutt’altro che esangue, espressivamente incisiva e vocalmente sostenuta da un timbro accattivante e omogeneo. Positivo l’apporto di tutti i comprimari. Manuel Amati (Bruschino figlio) Enrico Iviglia (commissario) e Chiara Tirotta (Marianna) si sono disimpegnati con disinvoltura, mentre Gianluca Margheri (Filiberto) ha fatto valere un interessante timbro baritonale e una buona presenza scenica.

A dimostrare quanto l’emergenza sanitaria sia lungi dall’essere archiviata e imponga ancora molte restrizioni, lo spettacolo si è svolto con l’orchestra – era la Filarmonica Gioacchino Rossini – posizionata in platea. Esattamente com’era accaduto l’anno scorso per La cambiale di matrimonio. Il rischio di problemi di concertazione rispetto ai cantanti in scena è stato risolto dal giovane direttore Michele Spotti con scelte dinamiche accorte, valide per rendere la brillantezza della partitura rossiniana senza generare squilibri. Nell’insieme, la sua è parsa una lettura corretta e approfondita, in grado di sottolineare i passaggi sentimentali senza esagerazioni e di giocare la carta di una brillantezza misurata ma non rinunciataria, riflessa anche nella nitida articolazione strumentale degli accompagnamenti.

All’anteprima, ottime accoglienze per tutti. Dopo la prima del 10 agosto, le repliche sono in calendario il 13, 15 e 18 agosto.

Cesare Galla
(7 agosto 2021)

La locandina

Direttore Michele Spotti
Regia, Scene e Costumi Barbe & Doucet
Luci Guy Simard
Personaggi e interpreti:
Gaudenzio  Giorgio Caoduro
Sofia Marina Monzó
Bruschino padre Pietro Spagnoli
Bruschino figlio Manuel Amati
Florville Jack Swanson
Commissario Enrico Iviglia
Filiberto Gianluca Margheri
Marianna Chiara Tirotta
Filarmonica Gioachino Rossini

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