Recensioni - Opera

Macerata: torna la Traviata degli specchi

Si difende ancora bene lo storico allestimento di Josef Svoboda e Henning Brockhaus risalente al 1992. Modesto invece il versante musicale

L’Arena Sferisterio torna a proporre un allestimento che ha fatto in parte la storia del recente teatro d’opera. Infatti la cosiddetta Traviata degli specchi fece sensazione al suo debutto nel 1992 ed è finita in molti manuali di storia del teatro e della scenografia.

L’allestimento regge ancora alla prova dopo trent’anni, grazie soprattutto alle magnifiche scene di quello che è l’indiscusso maestro della scenografia del ventesimo secolo, il ceco Josef Svoboda. Infatti il grande specchio che incombe sul palcoscenico dello sferisterio rimanda immagini dipinte che si trovano a terra, ma gioca anche con una doppia visione dei cantanti, riverbera arredi e ballerini, creando una scenografia cangiante ed evanescente quasi come l’impossibile felicità a cui agogna la sfortunata Violetta, oppressa nel suo tentativo di redenzione dalle regole e dalle convenienze della società borghese ottocentesca.

Magistrale in questo senso nel secondo atto è l’accartocciarsi della casa di campagna, il nido d’amore sognato e agognato da Violetta e Alfredo, esattamente all’arrivo di Germont padre; pregnante e geniale artificio simbolico che rende l’arte scenografica parte integrante del messaggio poetico dell’opera. Mitico resta poi nel finale il sollevarsi dello specchio ad inglobare, durante gli ultimi aneliti di Violetta, nel gioco dei riflessi tutto il pubblico, spettatore ma simbolicamente carnefice della sventurata “traviata” sul palco.

Ciò che rende grande il Teatro di Dumas (autore de La Dame aux Camélias) e la trasposizione musicale di Verdi è proprio la consapevolezza che è la società, nella sua indifferenza, a provocare il tragico epilogo delle vicende di Marguerite Gautier e di Violetta Valery. La scena di Svoboda resta geniale proprio perché, con la sua incombente e silenziosa presenza, amplifica, rimanda, riflette in un gioco di specchi questo messaggio.

Sempre coerente e ispirata la regia di Henning Brockhaus, anche se si notavano diverse incertezze da parte degli interpreti, forse dovute alla fretta con cui è stato ripreso il lavoro. Le riprese infatti raramente nascondono gli strascichi del tempo che passa, il che, unito a interpreti giovani e con scarsa propensione recitativa, stendeva su tutto una certa patina di imprecisione e approssimazione che non ha giovato allo spettacolo.

Purtroppo sul versante musicale e interpretativo non si è andati oltre esiti modesti. Paolo Bartolameolli staccava tempi colpevolmente soporiferi, affondando l’orchestra in un grigiore indistinto che, oltre ad affaticare i cantanti, rendeva il teatro di Verdi un noioso esercizio di stile. Sonorità dimesse e pianissimi eccessivi si perdevano nell’ampio contesto dell’Arena Sferisterio, anche il rapporto buca palcoscenico non risultava mai ben calibrato e a fuoco.

Traviata è teatro allo stato puro, va sì cantata, ma va soprattutto vissuta, interpretata, non è un concerto oppure una palestra di gorgheggi vocali. Purtroppo i giovani cantanti coinvolti non sono riusciti a riportarci il teatro e, complice primario la direzione, il tutto risultava noioso, assolutamente non coinvolgente.

Si distingueva il baritono Sergio Vitale, che comunque è riuscito a risollevare il suo personaggio grazie ad una voce chiara, ben calibrata e proiettata. Claudia Pavone è stata una Traviata affaticata nell’impervio primo atto, ma a cui principalmente mancava il graffio della protagonista, il coinvolgimento dell’attrice. Spesso vocalmente in difficoltà anche l’Alfredo di Marco Ciaponi che non si liberava dal punto di vista scenico di una certa legnosità scolastica. Poco incisivo il resto del cast.

Nell’intervista introduttiva presente nel libretto di sala, il regista Henning Brockhaus, sollecitato a rispondere sulle differenze fra oggi e il 1992, chiosa: “Naturalmente il festival era molto diverso, ma del resto tutto il mondo dell’opera lo era. La prima differenza, persino più marcata delle condizioni economiche ugualmente molto cambiate, sta nel numero delle prove che avevamo: forse non ho mai avuto così tanto tempo a disposizione, sarebbe impensabile nel sistema attuale.”

Esattamente questo abbiamo visto in palco, una Traviata ripresa troppo frettolosamente. Peccato.

R. Malesci (31 Luglio 2021)